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Lavoro

Un gruppo nutrito di rider contro il decreto, peggiora condizioni di lavoro

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No al contratto, si’ al cottimo: un gruppo di rider si schiera contro la definizione di una paga oraria collegata ai contratti nazionali di lavoro ed in generale contro le norme inserite nel cosiddetto decreto Salva-imprese: “peggiorano le condizioni di lavoro”, sostengono. Promotore di una petizione online, che viaggia controcorrente rispetto alle richieste riecheggiate in questi mesi e sostenute anche dai sindacati, questo gruppo di ciclo-fattorini si rivolge direttamente alla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, chiedendo un incontro, perche’ anche le modifiche in arrivo non piacciono. La petizione, raccontano, in meno di un mese ha gia’ superato le 700 firme. Chiedono soltanto una copertura assicurativa, che sia “con l’Inail o con compagnie private”. E se non riceveranno risposte nel giro delle prossime 48 ore, si dicono gia’ pronti a protestare davanti alla sede del ministero a Via Veneto lunedi’ mattina. Sul banco degli imputati, dunque, le norme del decreto “per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali”, ora all’esame del Senato nelle commissioni riunite Industria e Lavoro, dove martedi’ primo ottobre prenderanno il via le audizioni (il termine per la presentazione degli emendamenti e’ fissato a giovedi’ 3 ottobre). Secondo il dl, questi lavoratori possono essere pagati, in misura non prevalente, in base alle consegne effettuate: in un mix tra cottimo e paga oraria. Ma non piace neppure, tra le modifiche annunciate dalla ministra, la volonta’ di garantire ai ciclo-fattorini “un nucleo minimo inderogabile di tutele, tra cui una retribuzione dignitosa collegata ai contratti collettivi”. Superando quindi del tutto il sistema a cottimo. Che loro, invece, difendono senza tanti scrupoli: “non e’ una parolaccia, e’ una forma di retribuzione prevista dal Codice civile, e per un lavoro come il nostro e’ la forma piu’ meritocratica che ci sia”. In questo modo, sostengono infatti, rischiano di guadagnare molto meno. Una tesi sostenuta nei giorni scorsi anche da Assodelivery, l’associazione delle piattaforme di cibo a domicilio, secondo cui le norme del decreto prevedono un meccanismo complesso e poco chiaro per il calcolo dei compensi, che determinera’ “una riduzione significativa” dei guadagni dei rider fino al 40%. Ad oggi, sempre secondo i loro calcoli, il guadagno medio orario viaggia tra i 6 e i 16 euro lordi l’ora, con picchi che possono superare anche i 30 euro nelle fasce serali. Di qui la richiesta rivolta dai rider firmatari a Catalfo di un incontro, “per raccontarle come funziona il nostro lavoro, perche’ la legge che propone rischia di farci del male. Vorremmo chiederle di ascoltare la nostra voce, ci sono altre soluzioni che possiamo trovare insieme”.

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Lavoro

Disoccupazione mai così bassa. Mini calo sul lavoro

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Mai così basso: il tasso di disoccupazione a novembre scorso scende ancora in Italia e tocca il minimo, attestandosi al 5,7%. Un livello che piazza il Paese sotto la media europea. Anche se non va altrettanto bene per quello giovanile: nella fascia tra i 15 e i 24 anni il tasso dei senza lavoro sale al 19,2%. Sul fronte degli occupati, gli ultimi dati Istat certificano un lieve calo mensile ma che coinvolge di fatto solo i dipendenti a termine. Insieme ad una crescita degli inattivi, ovvero di coloro che non hanno un posto e neppure lo cercano.

L’inflazione chiude intanto il 2024 in forte frenata, con l’aumento dei prezzi che si ferma all’1%. Plaude il governo, con la ministra del Lavoro Marina Calderone che parla di “un risultato storico” per la disoccupazione, al livello più basso dall’inizio delle serie storiche partite nel 2004, che “il governo Meloni può rivendicare con orgoglio”. E pur riconoscendo che c’è da fare ancora tanto per l’occupazione femminile e soprattutto giovanile, evidenzia come crescano i rapporti di lavoro stabili e diminuiscano quelli a tempo determinato e assicura l’impegno ad “andare avanti con rinnovata fiducia e con misure sempre più attente” a chi lavora e a chi produce. Il dato italiano al 5,7% è inferiore alla media dell’eurozona dove a novembre il tasso di disoccupazione resta stabile al 6,3%. Agli opposti ci sono la Spagna (con il tasso all’11,2%) e la Germania (al 3,4%).

A novembre gli occupati diminuiscono lievemente rispetto al mese precedente (-0,1%, pari a -13mila unità): un calo che si deve in effetti quasi esclusivamente alla contrazione dei dipendenti a termine, 39mila in meno in un mese (-1,4%) e 280mila in meno rispetto a novembre 2023 (-9,6%). Nel confronto annuo il bilancio generale resta positivo, con un aumento di 328mila occupati (+1,4%). La spinta maggiore arriva dai dipendenti permanenti (+3,2%, pari a +500mila) e a seguire dagli autonomi (+2,1%, pari a +108mila). Recuperano le donne.

L’occupazione femminile cresce infatti più di quella maschile: i dati ne indicano 200mila in più al lavoro in un anno contro +128mila uomini. Resta però aperta la questione giovanile. I protagonisti continuano ad essere gli over 50 e aumentano gli inattivi: sono 323mila in più nei dodici mesi (con una crescita del 2,6%, superiore a quella degli occupati). Su base mensile, il tasso di occupazione resta stabile al 62,4%, quello di inattività sale al 33,7%. “Il lieve calo degli occupati in termini congiunturali, pur sintomatico di una fase del mercato del lavoro meno dinamica, non desta particolari preoccupazioni”, commenta l’Ufficio studi di Confcommercio. Senz’altro favorevole l’andamento dell’inflazione, scesa ai livelli ben lontani dalle fiammate degli ultimi due anni.

A dicembre scorso i prezzi al consumo mettono a segno un aumento dello 0,1% su base mensile e dell’1,3% su base annua, secondo la stima preliminare dell’Istat. Con il risultato che nel 2024 registrano in media una crescita dell’1,0%: in forte calo rispetto alla media del 2023 quando l’inflazione si era attestata al 5,7%. Un’attenuazione per lo più imputabile alla marcata discesa dei prezzi dei beni energetici. Diversa la dinamica nell’area euro, dove l’inflazione a dicembre si attesta al 2,4%, in aumento rispetto al 2,2% di novembre, sulla base della stima flash dell’Eurostat che usa gli indici armonizzati dei prezzi al consumo (Ipca); in Italia in calo all’1,4%. Frena nell’ultimo mese dell’anno, anche se corre più del tasso di inflazione, il cosiddetto carrello della spesa: i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona segnano +1,9% annuo. I consumatori parlano comunque di stangata per le famiglie, ultimi i rincari di Natale.

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Economia

Mezzo milione di occupati in più, rischi dall’industria

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Sale ancora l’occupazione, con mezzo milione di lavoratori in più nel terzo trimestre e il tasso ad un nuovo massimo, mentre la disoccupazione scende ai minimi da 17 anni. Ma non tutto va bene e la caduta dell’industria per il comparto metalmeccanico si fa ancora più pesante, con la produzione che tra luglio e settembre scende di quasi il 4% annuo, schiacciata dal crollo del settore auto. Anche le prospettive restano negative, con il rischio di impattare sul resto dell’economia. Tanto che aumentano le imprese meccaniche che prospettano una riduzione dei livelli occupazionali nei prossimi sei mesi: sono una su cinque. Il quadro che viene fuori dai dati Istat e dall’indagine di Federmeccanica, riferiti in entrambi i casi al terzo trimestre dell’anno, è con luci e ombre. L’Istituto di statistica indica un aumento di 117mila occupati (+0,5%) rispetto al secondo trimestre, e di 517mila unità (+2,2%) rispetto al terzo trimestre 2023.

La spinta maggiore arriva ancora dai dipendenti a tempo indeterminato e poi dagli autonomi, mentre diminuiscono i dipendenti a termine. Il tasso di occupazione raggiunge così il 62,4%, toccando il nuovo livello più alto mai registrato nelle relative serie storiche trimestrali. Il tasso di disoccupazione scende al 6,1% attestandosi invece al livello più basso dopo il secondo trimestre 2007. Anche se sale il tasso di inattività al 33,4% e quindi aumentano le persone che non hanno un lavoro e neppure lo cercano. I dati Istat “confermano il buon andamento del mercato del lavoro”, sono “un segnale molto incoraggiante”, commenta la premier Giorgia Meloni. La strada su cui andare avanti, assicura, è quella di “sostenere le imprese che creano occupazione e ricchezza”, perché “è quella giusta per far tornare l’Italia a correre e ad essere competitiva”.

Un sostegno che le imprese continuano a chiedere, a partire dalle aziende metalmeccaniche: “Siamo in grandissima difficoltà”, avverte Federmeccanica. I dati lo certificano: nel terzo trimestre, la produzione metalmeccanica-meccatronica segna una contrazione dell’1,6% rispetto al secondo trimestre e addirittura del 3,9% su base annua. Un calo più marcato di quello rilevato per l’attività di tutta l’industria (diminuita rispettivamente dello 0,6% e dell’1,9%). E che potrebbe anche peggiorare. La quota di imprese metalmeccaniche che prevede un calo dei livelli occupazionali nei prossimi sei mesi sale al 20% (dal 14% di fine giugno). “Quando andiamo male tutti ne risentono considerando il peso del nostro settore che vale l’8% del Pil e circa il 50% dell’export. Occorre fare tanto, a partire dalle politiche industriali a livello europeo e nazionale.

I fondi vanno aggiunti, non tolti”, ammonisce il vicepresidente di Federmeccanica, Diego Andreis. Il riferimento è alle risorse del fondo automotive in manovra. Nella Pa arriva, intanto, il via libera al reclutamento e all’assunzione a tempo indeterminato, in favore di varie amministrazioni pubbliche, per 19.615 unità di personale. Il ministro Paolo Zangrillo ha firmato i dpcm (decreti del presidente del Consiglio dei ministri) che autorizzano le procedure, ora inviati al Mef per il concerto del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Sono 16.663 le assunzioni per il settore sicurezza: Arma dei carabinieri, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria, Polizia di Stato e Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

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Lavoro

Su ricavi e occupati, il bilancio di Transizione 4.0

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Aumento dei ricavi fino a 25 euro per ogni euro di credito ricevuto, 40mila nuovi posti di lavoro creati, tasso d’investimento salito, soprattutto per le imprese micro: a quattro anni dal varo, Mef, Mimit e Bankitalia danno il primo bilancio intermedio di Transizione 4.0, il piano che ha assegnato alle imprese 29 miliardi di euro sotto forma di credito d’imposta a fronte di investimenti in beni strumentali materiali e immateriali, attività di ricerca, sviluppo, innovazione tecnologica (R&D&I), design e formazione del personale.

La quasi totalità degli incentivi è stato maturato da società di capitali: l’83% per gli investimenti materiali come macchinari e fabbricati, il 91% per gli investimenti immateriali in software e applicazioni, il 98% per ricerca e sviluppo e il 92% per la formazione. Nel triennio 2020-2022, le micro e piccole imprese hanno assorbito quasi il 50% del totale dei crediti, e superano di gran lunga il numero delle richiedenti grandi e medie. Le richieste arrivano soprattutto dal Nord (64%), poche dal Sud (14%).

E la maggior parte dei crediti (52%) sono stati maturati dalle manifatturiere. Eccezione per i crediti in R&D&I, dove le grandi imprese assorbono il 33% del totale, certificando la complessità delle attività di R&S che richiede l’impiego di notevoli risorse finanziarie e umane. Invece i crediti per la formazione piacciono molto alle micro e piccole che ne hanno ottenuti il 78%, e il 37% di queste realtà è al Sud. Il rapporto spiega anche che i beneficiari di Transizione 4.0 hanno aumentato il loro tasso d’investimento: è salito tra 0,5 e 0,8 punti percentuali per le imprese di grandi e medie dimensioni, mentre aumenta fino a 1,8 punti per le imprese piccole. L’effetto maggiore è stimato per le imprese micro, con incrementi tra 3,3 e 3,7 punti. Si tratta, spiega il rapporto, di effetti molto elevati, tenuto conto che il tasso medio di investimento medio nel periodo pre-incentivo è di circa il 2%. Buoni risultati anche per l’occupazione, aumentata fino all’8%. Complessivamente si stima che il piano finora abbia contribuito a generare circa 40.000 posti di lavoro.

Le imprese piccole e medie sono quelle che in termini assoluti hanno assunto di più (rispettivamente 18.000 e 15.000 occupati), seguite dalle imprese grandi (5.000) e dalle micro (1.600). Significativi gli incrementi di fatturato: circa 26 miliardi di euro ripartiti quasi equamente tra piccole, medie e grandi aziende. Ma sono le grandi che hanno massimizzato i ricavi: a fronte di ogni euro di credito concesso si stima siano stati generati ricavi per circa 24 euro nel 2020, poi dimezzati nel 2021 e 2022. Per le imprese di medie dimensioni, invece, ogni euro di credito ha fruttato un aumento di fatturato di 7,7 euro, per le piccole tra 2,5 e 4,8 euro.

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