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Un anestetico svela come nel cervello si spegne la coscienza

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Osservato per la prima volta negli esseri umani il meccanismo con cui un comune anestetico induce la perdita di coscienza: la risonanza magnetica funzionale del cervello dimostra infatti che il farmaco agisce spegnendo i neuroni del talamo che inviano le informazioni sensoriali alla corteccia cerebrale affinché vengano integrate e rielaborate. La scoperta, che rappresenta un importante passo avanti nella comprensione delle radici neurobiologiche della coscienza, è pubblicata sulla rivista Nature Communications dai ricercatori dell’Università del Michigan.

Lo studio mette finalmente un punto fermo dopo che per anni gli esperti si sono divisi sul meccanismo d’azione degli anestetici, e in particolare sulla possibilità che questi farmaci spengano la coscienza agendo a livello del talamo, la struttura a forma d’uovo al centro del cervello dove arrivano gli input sensoriali, oppure a livello della corteccia cerebrale, che rielabora le informazioni sensoriali in modo più complesso. Sottoponendo un gruppo di volontari sani alla risonanza magnetica funzionale, i ricercatori sono riusciti a ottenere la mappa dei cambiamenti che avvengono nel cervello prima, durante e dopo la sedazione con l’anestetico propofol.

Hanno così scoperto che durante la sedazione profonda si verifica una drastica riduzione dell’attività di un tipo di cellule del talamo (le cellule della matrice) che inviano le informazioni sensoriali agli strati più alti della corteccia cerebrale: questo suggerisce che gli input sensoriali vengono ancora ricevuti ma non vengono integrati e rielaborati. A sorpresa, si è anche scoperto che il neurotrasmettitore inibitorio Gaba, solitamente ritenuto fondamentale per l’azione del propofol, in realtà non gioca un ruolo così importante come ipotizzato finora.

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Arriva l’assistente infermiere, i sindacati protestano

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Nonostante una raccolta firme con migliaia di adesioni e il parere fortemente critico espresso anche dalla comunità internazionale, che si è appellata alle istituzioni per un cambio di rotta, l’Assistente Infermiere sta arrivando nelle corsi di strutture pubbliche e private. Gli infermieri temono la nuova figura, un “ibrido” che secondo i sindacati non garantisce la sicurezza garantita da una formazione più completa, indispensabile per mettere le mani sui pazienti. A spiegarlo sono Antonio De Palma, Presidente di Nursing Up, e Walter De Caro, Presidente di CNAI (la Consociazione Nazionale Associazioni Infermiere/i). Gli infermieri sono pronti a protestare contro la nuova figura per la quale e’ arrivato queste settimana il via libera in Conferenza Stato-Regioni. “Governo e Regioni hanno ignorato i pareri negativi degli esperti nazionali ed internazionali tra cui quello Federazione Europea degli Infermieri (EFN)”.

La nuova figura con 500 ore di formazione, per fare alcuni esempi, potrà intervenire sul paziente per la medicazioni, le iniezioni e anche per l’uso del sondino oro-tracheale, “con i rischi che ne conseguono” spiega De Palma. Oltre alla petizione, il 20 novembre gli infermieri scenderanno in piazza per protestare assieme ai medici per il destino del Servizio Sanitario Nazionale. Le principali criticità sollevate dalla comunità scientifica includono la formazione degli Assistenti Infermieri che potrebbe non essere sufficientemente rigorosa, compromettendo la qualità dell’assistenza e la sicurezza dei pazienti e la mancanza di esperienza e competenze adeguate potrebbe aumentare il rischio di errori clinici. La nuova figura, a metà fra l’infermiere e l’operatore sociosanitario, potrà operare nella sanità pubblica e privata. In sostanza, spiega il decreto, sarà “un operatore in possesso della qualifica di Oss che ha seguito di un ulteriore percorso formativo consegue la qualifica di assistente infermiere”. Il suo compito sarà quello di “collaborare con gli infermieri assicurando le attività sanitarie oltre a svolgere le attività proprie del profilo di operatore socio sanitario”. E l’obiettivo, come sancisce lo stesso atto, serve “alla generale necessità di rispondere in maniera differenziata ai crescenti bisogni di salute della popolazione”.

Del resto oggi la carenza di infermieri in Italia è di almeno 65.000 unità, secondo la Corte dei conti, ma nei prossimi dieci anni usciranno dalla professione per raggiunti limiti di età, rispetto al decennio precedente, almeno il quadruplo dei professionisti. L’Italia è il Paese OCSE con meno infermieri per 1.000 abitanti: 6,4 contro una media europea di 9,5 ed è fanalino di coda (sempre nell’OCSE) per laureati in infermieristica ogni 100.000 abitanti: solo 17 contro una media di 48. Il decreto sull’Assistente Infermiere, a parere dei sindacati serve anche a eludere gli investimenti attesi ma, spiegano “studi autorevoli, dimostrano che la mortalità si riduce del 30% quando almeno il 60% del personale assistenziale ha una formazione specifica infermieristica”.

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Ospedale virtuale con IA, cure e riduzione liste attesa

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Cure più efficienti senza fare sempre ricorso al ricovero, agevolando la sanità per ridurre le liste d’attesa con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale. E’ una delle sfide dell’ospedale virtuale gestito con l’IA, uno dei progetti presentati ad un evento Extra G7 ad Ancona: “Intelligenza artificiale in Sanità. Stato dell’arte e progetti applicativi per una migliore cura della popolazione”. Il modello innovativo integra tecnologia avanzata e IA, per monitorare a distanza i parametri vitali del paziente, fare diagnosi in tempo reale per interventi tempestivi, per gestire molte patologie croniche e acute senza un ricovero. Tra i casi di applicazione concreta, il triage virtuale per il dolore toracico, per ridurre gli accessi ai pronto soccorso con una valutazione tramite avatar digitali; l’uso di elettrocardiografi miniaturizzati, dotati di IA, per esami in casa dei pazienti tramite guida virtuale di assistente medico.

Il tema dell’Intelligenza artificiale in Sanità sarà in focus anche nei lavori ministeriali del G7, ad Ancona il 9, 10 e 11 ottobre, ha ricordato in un videomessaggio trasmesso durante l’incontro il ministro della Salute Orazio Schillaci. L’IA “sta mostrando le sue potenzialità in diversi ambiti: diagnosi più accurate, terapie più mirate, razionalizzazione delle priorità mediche” e la “digitalizzazione è una leva fondamentale per promuovere una sanità di prossimità e superare le diseguaglianze”. Telemedicina e teleassistenza “aprono nuove prospettive per un’assistenza più accessibile e personalizzata, diminuendo i tempi d’attesa ed eliminando i disagi legati agli spostamenti”, “senza compromettere il rapporto diretto e personale paziente-medico”. Ad Ancona, nel corso dell’evento che aveva tra i protagonisti l’Azienda ospedaliero universitaria delle Marche e l’Università Politecnica delle Marche, di ospedale virtuale ha parlato il dottor Marco Mazzanti, direttore di Framework intelligenza artificiale in Cardiologia di Londra.

“Il nostro obiettivo – dice – è trasformare la sanità, offrendo a tutti l’accesso a cure di qualità senza tradizionali vincoli logistici”. L’ospedale virtuale “prende in carico il paziente con assistenti virtuali”: “un assistente umanoide conserva in modo umano l’empatia del rapporto medico-paziente, raccoglie informazioni da remoto, verifica se il paziente deve fare test o andare in Pronto soccorso”. Ciò “decongestiona i pronto soccorso, fa girare informazioni e non il paziente”. “L’ospedale virtuale tende a ridurre le liste di attesa, – aggiunge Mazzanti -: se faccio risparmiare tempo al paziente, non gli faccio fare tutti i test ma solo quelli necessari, realizzo l’appropriatezza clinica”, dunque “non un medico per vedere un paziente ma un medico che vede cento pazienti”. Il rapporto “continua a essere diretto perché il paziente conosce chi sta dietro l’assistente virtuale: io – spiega il dottor Mazzanti – ho il mio avatar che è me, con la mia voce e le mie sembianze, io autorizzo, come nel Regno Unito, a utilizzarlo con i pazienti. Così la diffidenza verso tali strumenti si abbatte e l’attrattiva aumenta. Il paziente sa che sono io a guardare le informazioni che mi arrivano, come specialista, così come al medico di medicina generale e al pronto soccorso”.

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Anziani e in salute, si può invecchiare restando giovani

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Invecchiare restando giovani, attraverso una sana alimentazione e una regolare attività fisica, è possibile lavorando su se stessi in maniera scientifica. Anche per aumentare così l’aspettativa di vita in salute delle persone, che in Italia oggi non supera i 60 anni. La longevità, la nutrizione e la lotta allo stress sono gli argomenti al centro della due giorni a Milano del congresso internazionale ‘Healthy Lifespan – Positive Nutrition, Antiinflammation Diet, Physical Activity and Sport’ organizzato dalla Fondazione Paolo Sorbini, e promosso da Enervit e Technogym.

Evento durante il quale è stata anche presentata una ricerca, condotta dall’Equipe Enervit, che dimostra come l’assunzione di maltodestrine e fruttosio prima, durante e subito dopo una corsa o un’attività fisica a intensità moderata-alta, sia in grado di ridurre significativamente l’infiammazione post-esercizio. In Italia, secondo i dati Istat, a fine 2022 gli ultra65enni erano più di 14 milioni, con 4,5 milioni di over 80.

Numeri in crescita in tutto il Paese, anche a Milano: “Già oggi più dell’8% della popolazione milanese è over 80” ha spiegato il sindaco Giuseppe Sala, sottolineando anche che la promozione di buone politiche alimentari “è alla base del sistema Milan Urban Food Policy Pact”, programma che raccoglie idee e best practices di oltre 200 città.

“Il nostro stile di vita ha un impatto molto importante sul sistema immunitario. Sono estremamente preoccupato perché l’Italia è seconda solo alla Spagna per il numero di bambini in sovrappeso e abbiamo il record di bimbi inattivi che non fanno attività fisica” è invece l’allarme lanciato da Alberto Mantovani, professor emerito di Humanitas University, preoccupato anche dalla diffusione delle sigarette elettroniche, utilizzate anche da chi prima non fumava. “In Italia l’aspettativa di vita media di uomini e donne è poco più di 81 anni mentre quella in salute è a stento 60 anni. Questo vuol dire che ognuno di noi dovrebbe aspettarsi di vivere un quarto della propria vita in uno stato di malattia” ha detto Giovanni Scapagnini, professore ordinario di Nutrizione Clinica all’Università del Molise e vicepresidente della Società italiana di Nutraceutica (Sinut).

In questo quadro si inserisce il tema dell’alimentazione, soprattutto – ha aggiunto Scapagnini – per quanto riguarda il tema della ‘positive nutrition’, ossia una dieta in cui non vengono soltanto allontanati i pasti ‘negativi’ ma inclusi anche cibi che fanno bene alla salute. “La medicina deve essere in grado di predire le malattie. E la nutrizione deve essere funzionale a questo, deve gestire le funzioni organiche, qualsiasi dieta deve essere approcciata in modo funzionale” ha continuato Sara Farnetti, specialista in Medicina Interna, che ha messo l’accento anche sulla preparazione e la cottura degli alimenti “fondamentale per garantire le corrette funzioni organiche”.

Mentre Alberto Albanese, professore dell’Istituto Clinico Humanitas Rozzano, ha ricordato che una corretta alimentazione, associata allo sport, “può ridurre significativamente” il rischio di insorgenza di patologie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. La ricerca dell’Equipe Enervit ha invece dimostrato l’utilità dei carboidrati prima, durante e dopo l’attività fisica. Sono stati coinvolti 29 maratoneti esperti sottoposti a due sessioni di corsa su strada da 15 km e i risultati hanno mostrato una significativa riduzione dei livelli infiammatori negli atleti che hanno assunto la miscela di maltodestrine e fruttosio in rapporto 2:1. “Questo – ha concluso Stefano Righetti, medico chirurgo presso la Fondazione IRCCS S. Gerardo di Monza – è un aspetto che può essere cruciale per atleti alle prese costantemente con allenamenti intensi”.

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