A poche ore dalla data fissata dalla questura per la funzione in forma privata al cimitero di Prima Porta, continua il braccio di ferro per i funerali di Fabrizio Piscitelli, l’ex capo ultras degli Irriducibili della Lazio ucciso mercoledi’ sera con un colpo di pistola nel parco degli Acquedotti a Roma. Oggi il Tar ha respinto il ricorso della famiglia del tifoso biancoceleste, conosciuto come Diabolik, per sospendere il provvedimento firmato dal questore in cui si vietano i funerali in forma pubblica “per motivi di ordine e sicurezza”. Ma i familiari non arretrano e annunciano di disertare domani mattina la funzione “imposta” alle 6 al cimitero Flaminio. Una decisione che, se confermata, fara’ saltare il rito in programma all’alba perche’ la salma rimarrebbe all’obitorio di Tor Vergata. “Alla luce della decisione del Tar ribadisco che tutta la famiglia di Fabrizio domani non si presentera’ al funerale. Ad oggi non ho neanche fatto il riconoscimento della salma di mio marito”, ha detto Rita Corazza, la moglie di Piscitelli. “Faccio appello a tutte le persone che gli volevano bene e intendevano dargli l’ultimo saluto di non presentarsi domani all’alba al cimitero Flaminio.
Solo cosi’ – ha aggiunto – possiamo rendergli giustizia e stringerci insieme in un unico dolore”. Sulle medesime posizioni la figlia Giorgia che in un post sul suo profilo Fb ha sottolineato: “Domani noi non ci presenteremo!”. Mentre la sorella Ginevra ha tenuto a precisare: “Il nostro obiettivo non era nessun funerale di Stato, bensi’ un funerale normale dove potevamo dare un saluto a mio padre alla luce del sole, sostenuto da tutti i suoi amici e parenti”. Il questore di Roma, Carmine Esposito, a sua volta ha spiegato che “l’obiettivo dell’ordinanza e’ di evitare che ci possano essere delicati problemi legati alla sicurezza o all’ordine pubblico. La mia intenzione – ha aggiunto – non e’ assolutamente quella di interferire con la cerimonia religiosa o di negare questo momento ai familiari”. In serata i parenti sono stati ricevuti in questura e avrebbero ribadito la loro volonta’ di celebrare i funerali in forma pubblica. A loro sarebbe stato fatto presente che, qualora si dovessero presentare all’obitorio per prendere in carico la salma, dovranno recarsi al cimitero Flaminio. In caso contrario il corpo restera’ all’obitorio e ci sarebbero cosi’ i tempi per un nuovo ricorso. Comunque vadano le cose, sono state predisposte le misure di sicurezza attorno al cimitero di Prima Porta. Sotto la lente anche eventuali assembramenti spontanei di tifosi in altre zone della citta’. Intanto, proseguono le indagini dei poliziotti della Squadra Mobile per rintracciare l’uomo vestito da runner che mercoledi’ sera ha premuto il grilletto esplodendo il colpo di pistola alla testa che ha ucciso il 53enne.
Verra’ riascoltato nei prossimi giorni l’autista di Piscitelli che era seduto accanto a lui sulla panchina. Dopo lo sparo l’uomo per paura si era allontanato, ma e’ stato poi rintracciato e ascoltato dagli investigatori. L’uomo lavorava per Diabolik da circa dieci giorni, in sostituzione di un’altra persona. Restano per ora inaccessibili i tre cellulari di Piscitelli, ancora bloccati da pin finora sconosciuti. Altri elementi potrebbero arrivare dall’analisi dei tabulati telefonici da cui potrebbero emergere dettagli su chi aveva dato appuntamento alla vittima nel parco. Gli investigatori stanno inoltre ricostruendo le fasi precedenti all’omicidio, raccogliendo ulteriori immagini e allargando il raggio della zona per l’acquisizione dei filmati delle telecamere in strada.
La decisione degli ultras della Lazio
Che cosa faranno i tifosi laziali ultras? “In segno di rispetto assoluto nei confronti dei familiari di Fabrizio accogliamo l’invito lanciato dalla famiglia e non saremo presenti domattina al cimitero Flaminio”. E’ quanto si legge in un post degli Irriducibili pubblicato su una pagina Facebook di tifosi della Lazio. “Estendiamo l’appello a tutti i tifosi della Lazio e non, e ai tanti amici di Fabrizio. E’ obbligo morale di tutti rispettare la volonta’ della famiglia. Diablo vive” aggiungono.
Acquista online un pacco di figurine e gli spediscono anche eroina: è accaduto a Pompei. L’uomo -un professionista-quando ha visto quelle due buste contenti polvere bianca ha capito che qualcosa non andava ed ha avvisto i carabinieri, il carico di droga è stato sequestrato. Ma ecco come è andata: nel cuore della mattinata, un 43enne ha suonato alla porta della stazione dei Carabinieri.
Un professionista, incensurato, col volto pallido. Tra le mani una scatola imballata. Qualche giorno prima – ha raccontato ai militari – aveva acquistato su un portale online un box di 50 figurine di calciatori.
Quando si è ritrovato ad aprire il pacco non ha trovato solo i volti dei campioni del calcio. ma anche due buste di cellophane sigillate contenenti polvere bianca. Quella roba aveva un’aria sospetta. Così si è lanciato in auto fino ai Carabinieri, con la speranza di non essere fermato da qualche pattuglia durante il tragitto. Sapeva in cuor suo che la scusa dell’acquisto online non avrebbe retto e sarebbe sicuramente finito nei guai.
Ebbene, i militari hanno preso in consegna il pacco e analizzato la sostanza all’interno con un narcotest. Poteva essere bicarbonato o farina e invece era eroina. Pura. 180 grammi di stupefacente, un carico del valore di diverse migliaia di euro.
La droga è stata sequestrata ma continuano le indagini per risalire al “negoziante” sbadato. E soprattutto a quel pusher che dovrà attendere per riprendere la venduta.
Non è la prima volta che accade. Il 2023 era iniziato da pochi giorni quando un acquisto inaspettato si trasformò in un fenomeno mediatico. Un uomo acquistò sul web una scena campestre da aggiungere al presepe. Nel “pacco”, però, arrivò un carico di 10 chili di erba. Non quella per abbellire le rocce di Betlemme ma marijuana pronta per essere dosata e venduta.
Allo stupore per l’errore evidente, si aggiunse una domanda più che lecita: “Chi avrà ricevuto i due pastori invece del carico di droga?”
Era estate quando arrivò la telefonata che ogni cronista aspettava: la Dia, la Direzione investigativa antimafia di Napoli aveva arrestato Francesco Schiavone, detto Sandokan. Allora era il capo del clan dei Casalesi, una delle più potenti cosche criminali del Paese. Era un sabato, l’11 luglio del 1998.
Ero stata nel covo di Carmine Alfieri, nel Nolano, dove il boss della Nuova Famiglia viveva in un rifugio dove si accedeva attraverso una botola e conservava nel frigorifero babà e salmone, non potevo mancare di entrare nel bunker del boss a Casal di Principe. Con gli uomini della Dia, all’epoca dei fatti guidata da Francesco Cirillo (poi arrivato ai vertici della Polizia di Stato, vice capo della Polizia), arrivammo sul posto. Una delle tante case della zona di Casale. Viveva sotto terra il potente padrino dei Casalesi.
Bisognava infilarsi in un cunicolo e poi c’era una specie di “vagoncino” che viaggiava su binari: così si arrivava al nascondiglio segreto di Sandokan. Uno stanzone spoglio dove dipingeva soggetti sacri e guardava film come il Padrino di Francis Ford Coppola. Fu così che si scoprì che nell’Agro Aversano il boss e i suoi compari, ma anche i suoi familiari, utilizzavano cunicoli e botole per incontrarsi e parlarsi.
Altro che Gaza e Hamas di questi giorni, 30 anni fa, in quella zona tra il Napoletano e il Casertano, la mafia casalese realizzò decine di cunicoli sotto terra per nascondersi o per sfuggire alle retate.
Qualche volta sottoterra, qualche altra volta passavano attraverso i sottotetti: in moltissime abitazioni, anche di insospettabili incensurati sono stati trovati piccoli bunker, locali nascosti anche ad occhi più esperti. Intercapedini ricavate nei ripostigli nelle cucine dove trascorrevano la latitanza i boss e i gregari.
Francesco Schiavone detto Sandokan. È stato il primo padrino dei casalesi a manovrare sindaci e piegare istituzioni agli interessi del clan
Il pentimento di Francesco Schiavone è una vittoria dello Stato: a 70 anni, e dopo oltre un quarto di secolo in carcere, dopo la decisione di collaborare con la giustizia di due dei suoi figli, anche Sandokan, barba e capelli grigi, stanco e invecchiato, ha fatto il salto, confermato dalla Direzione Nazionale Antimafia. Adesso sarà interessante capire quello che potrà raccontare: dall’affare rifiuti che aveva il suo epicentro proprio nell’Agro Aversano ai collegamenti con gli imprenditori anche del Nord; dagli affari con i colletti bianchi, con i politici non solo locali (nel ’90 era stato arrestato a casa di un sindaco della zona) ai rapporti e alle connivenze in mezzo mondo, ed anche i collegamenti, veri o presunti, con i terroristi, quelli di Al Qaida e non solo.
Insomma potrebbe esserci un nuovo terremoto giudiziario se davvero decidesse di vuotare finalmente il sacco, senza se e senza ma, e questo anche se gli anni sono passati e di molte vicende si è ormai quasi perso il ricordo. Adesso bisognerà anche capire quali familiari andranno in località segrete: sua moglie Giuseppina, insegnante, per esempio lo seguirà?.
Il primo della famiglia a pentirsi fu suo cugino Carmine Schiavone: non dimenticherò mai la giornata trascorsa a girare per Casal di Principe per cercare di parlare con sua figlia che non aveva voluto seguire il padre, anzi. Pioveva, nessuno per strada, incontrai Giuseppina che aveva scritto una lettera a suo padre per dirgli la sua disapprovazione per aver deciso di collaborare con la giustizia. Non volle venire in macchina con me e la troupe e allora la seguimmo, un lungo giro fino a casa dove nonostante un piccolo camino acceso faceva tanto freddo. Quella storia era il fatto più importante del giorno: ci ‘aprimmo’ il TG5. Nulla faceva pensare che proprio Francesco Schiavone si sarebbe poi deciso a collaborare. Ma il clan è ormai decimato tra arresti e omicidi tra le fazioni, la lunga detenzione, un tumore diagnosticatogli alcuni anni fa, hanno probabilmente fiaccato il vecchio boss. E adesso tanti misteri forse potranno essere chiariti.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.
Schiavone fu arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus e per diversi omicidi; prima di lui hanno deciso di pentirsi il figlio primogenito Nicola, nel 2018, quindi nel 2021 il secondo figlio Walter. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe. La decisione di Sandokan potrebbe anche essere un messaggio a qualcuno a non provare a riorganizzare il clan, un modo per mettere una pietra tombale sulle aspirazioni di altri possibili successori. La collaborazione di Francesco Schiavone potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.