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Ultimatum di Conte a M5S e Lega: “Chiarezza subito o mollo”. Ma su codice appalti è rottura con la Lega

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“Non mi presto a vivacchiare, galleggiare. Sono pronto a rimettere il mio mandato al presidente della Repubblica”. Eccolo, l’ultimatum di Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio guarda dritto davanti a sè e si rivolge a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. “Decidano” se vogliono andare avanti o no, con “leale collaborazione” e “senza provocazioni”, dice. “Chiedo una risposta chiara, inequivoca e rapida” o – avverte – sarà crisi di governo. “La Lega c’è”, risponde Salvini, mentre il premier ancora sta parlando e dettando la sua agenda. “Allora vediamoci”, ribatte Conte. “Incontriamoci domani”, rilancia Di Maio sottolineando che il Movimento è la prima forza politica e che è “leale”. Il vertice potrebbe non esserci prima di venerdi’ ma già le opposizioni compatte gridano: la crisi è aperta, il premier riferisca in Parlamento. A certificare una crisi in atto, c’è lo scontro durissimo che si consuma in serata nel vertice convocato da Conte a Palazzo Chigi per discutere l’emendamento della Lega al decreto sblocca cantieri che vorrebbe sospendere per due anni il codice degli appalti. M5s e premier sono contrari e, spiegano fonti pentastellate, la Lega si presenta al tavolo senza alcun elemento tecnico a favore della norma. La riunione, presente Tria, finisce prima del tempo. “Così rischia di saltare il decreto e anche il governo: la Lega se ne assuma le responsabilità”, attaccano dal ministero guidato da Danilo Toninelli.

Più in generale, le prime reazioni dei leader al discorso di Conte tratteggiano un quadro a tinte fosche: dai vincoli Ue, alla flat tax e alla Tav, i temi che fanno fibrillare la maggioranza sono tutti ancora aperti. In cima a tutte le preoccupazioni Conte pone i conti pubblici. E lancia un messaggio chiaro a M5s e Lega. Devono lasciarlo, afferma, trattare insieme a Giovanni Tria per evitare una procedura d’infrazione che “farebbe molto male”. Poi devono prepararsi a una manovra “complessa” per la quale servono “coesione” e “condivisione” nel rispetto dei vincoli Ue. Qui arriva la stoccata più dura a Salvini: “Finchè le regole non si cambiano, vanno rispettate”, dice il premier. Ma il leader della Lega non sembra affatto convinto: “Il voto alle europee è stato chiaro, le regole vanno cambiate”. Stare nei vincoli, spiega Conte, serve anche a tranquillizzare i mercati, allarmati dal peso del debito italiano: “Per dare fiducia servono parole univoche”. Più morbido Di Maio: “questa è l’unica maggioranza possibile e che può servire meglio il Paese. Andiamo avanti con lealtà e coerenza”. Non è sicuro, Conte, che la frattura si possa ricomporre. E lo dice chiaro e tondo. “Non posso essere certo della durata del governo, non dipende solo da me”, ammette, in una lunga conferenza stampa nella Sala dei Galeoni di Palazzo Chigi. Si mostra fermo e determinato. Sbotta quando una giornalista tedesca lo incalza sui migranti morti in mare. E sillaba le frasi quando chiede a M5s e Lega “leale collaborazione” per potere andare avanti. Ripercorre le cose fatte ed elenca le tante cose che vorrebbe fare in una “fase 2” che considera già aperta. “Non bastano i like, serve visione”, è la stoccata ai vicepremier.

Ammette di aver sottovalutato l’effetto dirompente della “campagna elettorale permanente degli ultimi mesi” ma spiega che l’effetto è aver indebolito la “coesione” di un governo che raccoglie “l’entusiasmo della gente comune” e ha fatto finora “un incredibile lavoro di squadra”. È invece “falsa” la narrazione della stampa di un governo in “stallo”, assicura Conte. Ma quella narrazione, ammette, è stata alimentata proprio da M5s e Lega: “Basta conflitti. Se continuiamo nelle provocazioni per mezzo di veline quotidiane, nelle freddure a mezzo social, non possiamo lavorare”. Salvini ribatte mentre ancora Conte è in conferenza stampa. Scrive su Facebook che “la Lega c’è”, però poi aggiunge puntuto: “Noi abbiamo continuato a lavorare”. E sottolinea “noi”. Aggiunge l’elenco delle sue priorità e avverte che si va avanti solo se “tutti mantengono la parola”. E’ in questo quadro che Conte prova a dettare le condizioni. Non chiude al rimpasto ma dice che nessuno gliel’ha chiesto. Basta “prevaricazioni” tra ministri e “minacce a mezzo stampa”, è il messaggio.

Matteo Salvini. Capo politico della Lega

Sarebbe sbagliato, aggiunge, aprire la crisi per incassare il dividendo elettorale (la Lega) o per mantenere la propria purezza (il M5s). Il premier dice di non essere ‘targato’ M5s ma ammette che “non dipende solo” da lui la vita del governo. Per il suo ruolo chiede rispetto e così convoca a Palazzo Chigi la maggioranza per discutere l’emendamento leghista che blocca per due anni il codice degli appalti. La flat tax è parte “di una più ampia riforma fiscale”, afferma. E sulla Tav, sia pure lasciando uno spiraglio al Sì, rigetta i diktat di Salvini: “oggi così com’è non la farei: o trovo un’intesa con la Francia e la Commissione europea o il percorso è bello e segnato”. “Conte ammette di non contare nulla”, osserva da Fi Maria Stella Gelmini. “Ha ammesso la paralisi, il disastro”, afferma dal Pd Nicola Zingaretti. Mentre Graziano Delrio gli chiede di riferire in Parlamento: “Ha aperto la crisi”.

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Onorevoli morosi, un buco nelle casse dei partiti

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Onorevoli morosi, che non pagano le quote dovute ai propri partiti: il problema è ricorrente nei bilanci del 2024 di diverse forze politiche, da Forza Italia al Pd, passando per il M5s. Mentre è in controtendenza Sinistra italiana, che vede aumentare i contributi dei propri parlamentari (da 204 mila a 281 mila euro), tutti tra i 42 mila e i 55 mila euro. Il M5s, che ha un avanzo di oltre 2 milioni di euro, iscrive a bilancio 2,8 milioni di euro di crediti verso parlamentari e consiglieri regionali, e 1,4 milioni per indennità di fine mandato. Come “leva per la riscossione dei contributi”, il tesoriere Claudio Cominardi, nella relazione, richiama la regolarità contributiva come “requisito fondamentale per concorrere ed eventualmente mantenere il ruolo nelle cariche associative”.

Rispetto al 2023, per il Pd cala di 55 mila euro la voce crediti verso senatori e deputati, a 441 mila euro. Come spiega la relazione al rendiconto (in avanzo di 650mila euro, con l’incasso record di 10,2 milioni dal 2xmille), “è continuata l’azione di recupero” verso eletti nelle varie legislature, con 9 azioni giudiziarie aperte e 4 accordi transattivi. Anche nel bilancio di Europa verde si prevede un ricorso per decreto ingiuntivo per mancato pagamento spontaneo dei contributi associativi contro Eleonora Evi, deputata passata l’anno scorso fra i dem.

Mentre aumentano di 2 milioni i contributi da terzi e di oltre 300 mila euro le quote associative, la “discontinuità dei versamenti” dovuti “da parte di alcuni eletti” è un aspetto critico del rendiconto di FI (disavanzo di 307 mila euro e un passivo di 90 milioni che continua a essere garantito dagli eredi di Silvio Berlusconi): “Occorrerà adottare decisioni più rigorose per ottenere i pagamenti”, si legge nella relazione, “anche facendo leva” sulle norme interne che per i morosi prevedono ineleggibilità e decadenza dagli incarichi nel partito. I versamenti degli eletti sono in calo anche per +Europa, da 28.530 a 22.950. In FdI i contributi dei parlamentari nazionali ed europei sono volontari, e il bilancio (in disavanzo di 681 mila euro, a fronte di un avanzo di 4,9 milioni di euro nel 2023) registra un calo delle erogazioni liberali (da 3,9 a 2,7 milioni) e delle quote associative annuali (da 2,8 a 2,3 milioni). Nel bilancio 2024 in disavanzo di per 1,4 milioni, anche per la Lega calano le contribuzioni da persone fisiche e giuridiche (da 4,5 a 3,8 milioni), mentre aumentano le quote associative (da 58.624 a 63.227 euro).

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Maxi ricorso sui vitalizi, giovedì la sentenza

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E’ prevista per giovedì prossimo la sentenza del Collegio d’appello di Montecitorio sul taglio dei vitalizi, oggetto di un maxi ricorso da parte di circa 900 ex deputati che chiedono di rivedere la delibera del 2018 sugli assegni. Il “tribunale” di secondo grado interno alla Camera, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fdi), è composto da altri quattro deputati (Ingrid Bisa della Lega, Pietro Pittalis di Fi, Marco Lacarra del Pd e Vittoria Baldino di M5s) tutti avvocati, ed ha un ruolo giurisdizionale e non politico. La decisione giunge dopo una lunga istruttoria – partita un anno fa – che ha registrato un’accelerazione nelle ultime due settimane. Ad argomentare le proprie ragioni gli avvocati dei ricorrenti, principalmente ex deputati anagraficamente più giovani di quelli che nel 2022 hanno beneficiato di una sentenza che di fatto ha azzerato per loro la delibera Fico.

Quest’ultima stabiliva che il vitalizio – su suggerimento dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri – fosse calcolato con criteri contributivi: in pratica l’assegno veniva ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno. Un taglio che, dall’oggi al domani, è arrivato anche al 90%. “Il ricorso riguarda una minoranza che subisce ancora un trattamento fortemente discriminato rispetto alla maggioranza dei deputati e a tutti i senatori per i quali dagli organi del Senato è stato applicato il principio costituzionale della legittima aspettativa”, ha lamentato l’Associazione degli ex parlamentari che respinge con forza le accuse di “casta” e di “assalti alla diligenza” prospettando anzi, grazie alle sue proposte relative agli adeguamenti derivanti dall’aumento, risparmi “notevoli” per le casse della Camera.

Tra coloro che lamentano i tagli, molti sono i nomi noti e vanno da Paolo Guzzanti a Ilona Staller, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex primo cittadino di Imperia, ora alla guida della Provincia del ponente ligure, Claudio Scajola, fino a Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Margherita Boniver. La lista, lunga, vede tra i ricorrenti anche Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, ma anche Mario Capanna, l’ex magistrata Tiziana Maiolo, l’ex olimpionica Manuela Di Centa, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.

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Tensioni sui dazi Usa-Ue, Meloni frena: “Serve accordo equo”, ma le opposizioni attaccano

Dopo la mossa di Trump sui dazi al 30%, Giorgia Meloni cerca un’intesa con Washington. Le opposizioni criticano la linea del governo e chiedono un’azione più decisa.

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La mossa di Donald Trump, che ha annunciato possibili dazi del 30% contro i prodotti europei, ha colto di sorpresa anche il governo italiano. Giorgia Meloni prova a contenere l’impatto, ribadendo la necessità di arrivare a “un accordo equo” e respingendo l’idea di uno scontro commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. A Palazzo Chigi si sottolinea che mancano ancora 19 giorni alla scadenza del negoziato e che Washington potrebbe aver solo voluto mostrare i muscoli.

Il governo italiano segue la via diplomatica

Nessuna intenzione di seguire il modello francese: mentre Macron e von der Leyen parlano di contromisure, l’Italia invita a mantenere la calma. “Confidiamo nella buona volontà di tutti”, si legge nel comunicato ufficiale, in cui si ribadisce il sostegno alla Commissione europea. Il 30% proposto da Trump resta ben lontano dal 10% che Roma considera accettabile. Il vicepremier Antonio Tajani volerà a Washington martedì per incontrare il segretario di Stato Marco Rubio, cercando una mediazione diretta.

Le critiche delle opposizioni

Non si è fatta attendere la reazione delle opposizioni. Elly Schlein ha denunciato la “follia autarchica” americana e ha accusato Meloni di non prendere “una posizione netta e forte”. Per Giuseppe Conte, l’Italia ha “svenduto l’interesse nazionale” e “non si è fatta rispettare”. Matteo Renzi attacca l’“incapacità e irrilevanza” dell’attuale governo, mentre Carlo Calenda parla di una “strategia di sottomissione” verso gli Stati Uniti.

L’offensiva della Lega contro Bruxelles

Anche all’interno della maggioranza si registrano tensioni. La Lega punta il dito contro Bruxelles, sostenendo che l’Italia paga il prezzo di “un’Europa a trazione tedesca”. Claudio Borghi e Alberto Bagnai accusano l’Unione di imporre dazi che danneggiano l’Italia, sostenendo che una trattativa bilaterale con Washington sarebbe stata più vantaggiosa.

Il fronte interno e la pressione parlamentare

La questione sarà al centro anche del dibattito parlamentare. Nicola Fratoianni definisce Trump un “gangster” e chiede una risposta immediata da parte dell’Europa, in particolare sulle big tech. Per Angelo Bonelli, il governo deve bloccare gli acquisti di gas e armi dagli Usa promessi ad aprile. Le richieste di chiarimenti in Aula si moltiplicano, ma Palazzo Chigi per ora insiste: serve freddezza, non polarizzazione.

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