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Cronache

Ugo Pons Salabelle ricorda Umberto Sbrescia, il foto rivenditore che ha deciso di lasciarci togliendosi la vita nel suo negozio

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Umberto Sbrescia, il foto rivenditore, l’amico, la persona che sempre è stata vicina ai fotografi professionisti e non. Umberto Sbrescia, il foto rivenditore, l’amico, la persona sempre pronta ad aiutare e supportare il lavoro e la passione di tutti gli amanti della fotografia, Umberto Sbrescia, che dalla sua sede, attraversava con la sua vespa la città, pur di soddisfare le tue richieste per  l’approvvigionamento di materiale fotografico. Umberto Sbrescia ha deciso di lasciarci. E ci lascia dove l’avevamo incontrato da sempre, nel suo negozio, nel suo posto, nel suo regno, in quella sede, la quarta, tra quei materiali fotografici che hanno accompagnato la sua vita e la nostra crescita insieme a lui. Quella che leggete di seguito è la testimonianza del fotografo Ugo Pons Salabelle. Ugo condurrà chi ha conosciuto Umberto di meno. Ci farà apprezzare la sua enorme disponibilità e il suo amore per la fotografia.

Mario Laporta

 

Io sono fotografo professionista dal 1979 ed è da quell’anno che conosco Umberto Sbrescia. Abbiamo la stessa identica età. Oggi abbiamo innumerevoli  negozi di articoli fotografici ma sono pochi i negozi di fotografia. Umberto Sbrescia ha sempre avuto un negozio di fotografia. In spazi diversi, in tempi diversi  creava luoghi dove si vendeva fotografia e il professionista incontrava il professionista o anche l’amatore. Era un luogo dove c’era la chiacchiera o forse la discussione, ma sicuramente di là passava la cultura fotografica. Luogo di incontro dunque fra chi  lavorava con la fotografia e chi si dilettava  solamente con questa. Ma la massima attenzione di Umberto era per chi lavorava con la fotografia, per chi, come si diceva una volta, con la fotografia ci paga le bollette delle utenza di casa. La frase più ricorrente di Umberto era infatti : “…debbo metterti in in grado di lavorare…”. E con me l’ha sempre fatto. Ricorda Gianni Fiorito: “La notte del 23 novembre 1980, quella del terremoto, Umberto Sbrescia e il padre Vincenzo, aprirono il loro negozio di fotografia in via Imbriani per permettere ai fotoreporter napoletani di rifornirsi del materiale per lavorare e documentare quella immane tragedia.” Sicuramente serviva, curava ed aiutava la foto dilettante sia nelle scelte che nell’aiuto meccanico o nelle spiegazioni tecniche. Gli amatori sono sempre stati un grande mercato. Credo che Umberto un po’ abbia sofferto della scomparsa del vecchio fotografo professionista sostituito dal nuovo dilettante-lavoratore. Da un bel po’ di tempo, sotto il baffo, il suo sorriso spesso sornione nascondeva quella profonda amarezza che conosciamo tutti noi partite iva o piccoli commercianti. E non penso solo all’emergenza CoVid19 perché era da tanti anni che ne parlavamo. Essere abbandonati, in una realtà che aridamente privilegia solo chi ha un reddito garantito, provoca ovviamente sofferenza in chi non trova la giusta rotta. Essere sempre inseguiti dalla tempesta non può che indurre ansia.  Spero che ora Umberto abbia trovato un porto sicuro. Per tutti quelli che l’hanno conosciuto e ci hanno lavorato resta l’amarezza della perdita e la nostalgia dell’epoca del negozio di fotografia.-

Ugo Pons Salabelle

Una immagine di Umberto Sbrescia (1DX) con un gruppo di fotografi durante lo shooting Ri-Tratti di cui era stato fornitore delle attrezzature fotografiche. Napoli, 8 Gennaio 2016 Umberto Sbrescia. Il rivenditore fotografico, molto conosciuto in città, non solo negli ambienti fotografici, si è tolto la vita nel suo negozio il 9 Gennaio 2021. Accanto al corpo, è stato ritrovato un biglietto di scuse rivolto ai familiari nel quale vi sono scritte anche le ragioni del suo gesto, dovuto alle insostenibili condizioni economiche in cui versava la sua situazione dall’inizio della pandemia che ha bloccato tutte le manifestazioni e cerimonie fotografiche che la sua attività riforniva.
ph. Roberta Basile/KONTROLAB

Un immagine sorridente del noto rivenditore fotografico Umberto Sbrescia. Il commerciante, molto conosciuto in città, non solo negli ambienti fotografici, si è tolto la vita nel suo negozio il 9 Gennaio 2021. Accanto al corpo, è stato ritrovato un biglietto di scuse rivolto ai familiari nel quale vi sono scritte anche le ragioni del suo gesto, dovuto alle insostenibili condizioni economiche in cui versava la sua situazione dall’inizio della pandemia che ha bloccato tutte le manifestazioni e cerimonie fotografiche che la sua attività riforniva.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB

 

Suicida nel suo negozio Umberto Sbrescia, professionista della foto: era oberato di debiti col fisco

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Cronache

Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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