Nel mezzo della vecchia Arbat, la storica via pedonale simbolo della capitale russa, una mostra fotografica rende evidente quanto sia difficile parlare oggi di pace tra Russia e Ucraina. L’installazione, dal titolo provocatorio “L’Europa ringrazia” — subito ribaltato dal grande “Niet” rosso che lo sormonta — trasmette un messaggio preciso: la Russia si sente tradita da chi avrebbe dovuto esserle grato.
Due facce della stessa guerra
Ogni pannello ha due lati: da un lato, immagini di monumenti vandalizzati dedicati all’Armata Rossa, spesso imbrattati di vernice gialla e azzurra, i colori della bandiera ucraina; dall’altro, foto d’epoca che mostrano l’accoglienza delle truppe sovietiche nel dopoguerra in varie capitali europee. In calce, la celebre frase del maresciallo Zhukov: “Li abbiamo liberati, e loro non ce lo perdoneranno mai”.
Il messaggio è chiaro: Mosca si sente oltraggiata non solo dalle bombe e dalle sanzioni, ma anche dalla rilettura occidentale della memoria storica.
Shopping e geopolitica
Sull’Arbat si passeggia tra boutique e souvenir, ma anche tra simboli di propaganda. Una signora elegante si ferma davanti a uno dei pannelli, ascolta distrattamente una canzone di Celentano proveniente da un bar, poi scuote la testa: «Trump crede davvero che Putin chiuderà tutto con un brindisi?», dice con sarcasmo.
A Mosca il sentimento dominante non è la speranza, ma lo scetticismo. A confermarlo anche le parole del ministro degli Esteri Sergey Lavrov, che in tv ribadisce: nessuna tregua sarà possibile senza “garanzie dirette da Washington” e senza un “ordine chiaro a Zelensky”.
Psicosi diplomatica
I giornali russi, pur con toni più sottili, sembrano allinearsi. Il quotidiano Komsomolskaya Pravda fa analizzare da uno psicologo i gesti della delegazione russa al termine dei colloqui a Riad: «Volti stanchi, posture tese: nessun progresso». Kommersant scherza amaramente: “Usa e Russia vanno al mare”, frase che può valere sia per la discussione sulla sicurezza nel Mar Nero, sia per l’apparente inconcludenza dei negoziati.
Il clima è quello di una tregua fragile, imposta più dalla pressione internazionale che da una volontà reale.
“Prima via le sanzioni”
La linea russa, ribadita dai falchi del Cremlino, è chiara: “Prima via le sanzioni, poi l’armistizio”. Le divergenze su agricoltura, porti, logistica, energia sono profonde, e parlano “tre lingue diverse”, come ha detto il politologo Sergey Markov. Nessuno sembra credere davvero che basti un accordo tecnico per fermare le ostilità.
E se c’è bisogno di un altro segnale simbolico, basta tornare sempre sull’Arbat: lì, appena pochi giorni fa, è stata inaugurata un’altra mostra, questa volta dedicata ai “progressi sociali ed economici della Crimea riunificata”. Nelle foto, ponti e scuole, ma anche militari abbracciati dai bambini.
Immagini pensate per raccontare una vittoria. Ma che, viste oggi, parlano più di un conflitto che ancora non vuole finire.