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Cronache

Uccide il parente per un debito di droga, fermato 27enne

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Una lite nata per un debito di droga, l’aggressione e l’accoltellamento ad un fianco che ha ucciso Rachid Amri, 30 anni, tunisino a Civitanova Marche ad opera di un 27enne connazionale e suo parente. A una manciata di ore dall’omicidio, avvenuto ieri sera verso le 22 sul lungomare sud “Piermanni”, polizia e carabinieri hanno scovato e bloccato il sospetto autore del delitto in provincia di Fermo (a Porto Sant’Elpidio), Saidi Haitem, forse cugino di Amri, nascosto in un sottoscala. A Civitanova Marche e’ stato il secondo delitto in dieci giorni anche se il primo, il 29 luglio, con vittima un ambulante nigeriano (Alika Ogorchuckwu), era maturato in un contesto completamente diverso. Di recente la cittadina turistica e’ stata teatro di una serie di episodi violenti (risse e un pestaggio) che hanno generato anche timori nei cittadini. La situazione e’ “sotto controllo e non tale da ingenerare allarme sociale”, ha assicurato pero’ il comandante provinciale dell’Arma, Col. Nicola Candido a margine di una conferenza stampa con il procuratore di Macerata Claudio Rastrelli e i vertici polizia e carabinieri di Macerata e Civitanova che hanno operato in sinergia. “Noi e la polizia di Stato principalmente ma anche la guardia di finanza e le altre forze dell’ordine – ha osservato – stiamo effettuando un numero veramente di rilievo di servizi sul territorio: e’ chiaro che questo non puo’ impedire gesti come quello dell’omicidio di qualche giorno fa e quello di ieri, non possiamo presidiare ogni angolo di strada. Pero’ tutto sommato, considerando il flusso di villeggianti e turisti del periodo la situazione e’ sotto controllo e riusciamo a gestirla. Rinforzi? Se arrivera’ qualcuno sara’ bene accetto, nessuno si tirera’ indietro ma la situazione non e’ tale da determinare allarme sociale”. L’accoltellamento e’ avvenuto in un contesto in cui erano presenti diverse persone e anche la posizione di queste, sebbene non per l’omicidio, e’ al vaglio degli inquirenti. Qualcuno avrebbe di fatto ‘costretto’ una persona ad accompagnare il 30enne ferito in ospedale dove poi e’ deceduto. L’aggressore, che potrebbe essere il cugino della vittima, con gli investigatori ha ammesso le proprie responsabilita’ e ha indicato anche il luogo dove ha gettato alcuni propri indumenti: l’arma del delitto, un coltello da cucina con lama di circa 15 centimetri, era stato trovato gia’ ieri sera durante il sopralluogo della polizia scientifica, anche con l’ausilio dei vigili del fuoco per illuminare la zona transennata. Sul posto era arrivata anche la pm Stefania Ciccioli che ha coordinato le indagini: poche ore dopo, nella tarda mattinata di oggi, il sospettato e’ stato rintracciato e fermato. La misura, emessa per gravi e incontrovertibili indizi di colpevolezza e imminente pericolo di fuga, dovra’ essere convalidata dal tribunale di Fermo su richiesta di quella Procura competente per territorio. Le accuse sono di omicidio volontario, porto illegale di arma da taglio e spaccio di stupefacenti. In una casa dove dimorava il 27enne (che poi e’ stato trovato in un’altra abitazione) sono stati trovati tra i suoi effetti 28 dosi di eroina per complessivi 9,7 grammi. La droga, l’arma del delitto sono stati sequestrati cosi’ come diversi telefoni cellulari. L’arrestato ora si trova nel carcere di Fermo.

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Cronache

Napoli, sequestrata nave turca con grano ucraino: conteneva sigarette di contrabbando

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Nave carica di mais e grano ucraino e sigarette di contrabbando. Carabinieri arrestano 4 persone, anche il comandante del cargo

Si tratta di una nave turca, battente bandiera panamense, dove i carabinieri della sezione operativa e radiomobile di Castellammare di Stabia hanno trovato migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando. Proveniente dall’Ucraina con un carico di mais e grano e attraccata nel porto di Torre Annunziata, l’imbarcazione nascondeva nella stiva circa 7000 pacchetti di sigarette di origini serbe ma destinate verosimilmente al mercato nero napoletano.

In manette il comandante della nave, un 39enne siriano di Tartus e 3 oplontini di 68, 57 e 58 anni. Questi ultimi avevano appena prelevato 500 stecche del carico (5000 pacchetti) e li avevano stipati in un’auto. Sono stati arrestati per contrabbando di tabacchi esteri.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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