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Tv, per Nadia Toffa una reunion di 100 Iene

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Cento Iene si riuniscono stasera in ricordo di Nadia Toffa, una delle piu’ amate tra di loro. Sara’ l’omaggio della famiglia di ‘Le Iene show’, di cui stasera va in onda la prima puntata della nuova stagione su Italia 1, alle 21,25, alla conduttrice morta lo scorso agosto a 40 anni. Da Luciana Littizzetto, a Simona Ventura, Claudio Bisio, Alessandro Cattelan, Geppi Gucciari, Luca e Paolo, Enrico Lucci, Fabio Volo, Enrico Brignano, un lungo elenco di tutti quelli che in 23 anni hanno collaborato al programma, si ritrovano insieme per un grande abbraccio, indossando la divisa delle Iene. Durante la prima puntata dello show, in onda tutti i martedi’ e condotta da Alessia Marcuzzi e Nicola Savino, accompagnati dalle voci della Gialappa’s band, sara’ trasmesso anche l’ultimo video di Nadia Toffa. Ideatore de ‘Le Iene’ e capo-progetto e’ Davide Parenti. In regia Antonio Monti.

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Cronache

Inferno iraniano di Cecilia Sala: interrogatori incappucciata faccia a muro

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Interrogatori infiniti “incappucciata con la faccia rivolta al muro”, mentre in isolamento “temevo per i miei nervi”, passando il tempo a “leggere le istruzioni delle buste o a contare le dita delle mani”. Per la prima volta dal suo rilascio, Cecilia Sala decide di raccontare in tv i suoi 21 giorni di detenzione nel carcere di Evin, in Iran, fatti di accuse e paure, di speranze e timori. Intervistata da Fabio Fazio a ‘Che tempo che fa’ ripercorre quei momenti, senza mai dimenticare tutte quelle persone ancora detenute “che non hanno la fortuna di avere alle spalle un Paese che ti protegge e si prende cura di te”. Per sopravvivere – afferma – “ho pensato alle cose belle della mia vita e al fatto che prima o poi le avrei riavute”.

Ma ora, conclude, “non tornerò in Iran, almeno finché ci sarà la Repubblica Islamica”. Parlando della detenzione spesso le si rompe il fiato, l’emozione prende il sopravvento quando ripercorre con la mente “il tempo che ti spezza”, come dice lei stessa. “Mi hanno prelevata nella mia camera d’albergo mentre stavo lavorando – racconta -. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito che mi stavano portano in carcere dal rumore del traffico e dalla strada che stavamo facendo”. Solo il giorno successivo le è stato concesso di fare le telefonate di rito all’ambasciata o ai familiari “per giustificare la mia sparizione”.

“Nei primi 15 giorni della detenzione mi interrogavano tutti i giorni – spiega -. Il giorno prima del rilascio mi hanno tenuta dieci ore di fila, sempre incappucciata. In uno degli interrogatori sono crollata e mi hanno dato una pasticca per calmarmi. Mi interrogava sempre la stessa persona in perfetto inglese e da quello che diceva capivo che conosceva molto bene l’Italia”. L’isolamento è stato il momento più drammatico, con i rumori “strazianti” che arrivavano dalle altre celle, “pianti” o “tentativi di farsi del male”. “In una cella accanto c’era una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere più forte che poteva la testa contro la porta – racconta -. Durante una telefonata a Daniele (il compagno, ndr) gli ho detto di avere paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo”.

Le preoccupazioni più grandi, ricorda ancora, erano legate alla crisi mediorientale e all’imminente insediamento di Donald Trump. “Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano – le sue parole – la mia situazione poteva complicarmi moltissimo”. “Ho capito di essere un ostaggio – continua – quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l’unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione”. Durante l’intervista si è parlato anche del presunto coinvolgimento di Elon Musk.

“Nessuno della mia famiglia ha mai parlato con Elon Musk – ha detto -. Il mio compagno ha contattato il referente, Andrea Stroppa, chiedendogli se potesse far arrivare la notizia a Musk, che qualche mese prima aveva incontrato l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, un evento storico dopo la crisi del ’79. Gli ha chiesto se potesse fare arrivare la notizia e l’unica risposta ricevuta è stata ‘informato'”.

Chiudendo l’intervista, la giornalista ricorda la sua diffidenza quando, la mattina dell’8 gennaio, le comunicano che sarà rilasciata. “Pensavo che le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l’intelligence iraniana – dice -. Credevo mi stessero portando in una delle loro basi militari, quando poi all’aeroporto militare mi hanno sbendata e ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita”. Lo stesso che ha riservato poi al compagno e ai genitori in quell’abbraccio indimenticabile sulla pista dell’aeroporto di Ciampino.

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Esteri

Donne e minori, chi sono i primi palestinesi liberi

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Sono 69 donne e 21 minori i primi prigionieri palestinesi liberati da Israele a fronte del rilascio dei primi tre ostaggi allo scattare della tregua dopo il lungo braccio di ferro su liste, tempi e modi nell’ambito dell’accordo. Così a fronte delle tre donne civili israeliane per le quali nelle scorse ore sono finiti gli oltre 15 mesi di prigionia nelle mani dei militanti islamici escono dalla prigione di Ofer 90 palestinesi: 30 palestinesi per ciascun civile israeliano libero e con un ‘peso’ corrispondente. Ovvero, per il momento dalla carcere israeliano escono detenuti ‘minori’, quindi non ergastolani e non nomi legati a ruoli apicali della dirigenza di Hamas. C’è Khalida Jarrar, quasi un personaggio storico dell’attivismo palestinese: ha 62 anni ed è una componente di spicco del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, organizzazione attiva fin dagli anni ’60, protagonista anche della Seconda Intifada e che da Israele, Stati Uniti e Ue è designata come organizzazione terroristica.

Khalida Jarrar – attivista per la difesa dei diritti umani e che proprio sui diritti dei detenuti palestinesi ha guidato importanti battaglie – è stata deputata, eletta al parlamento palestinese nel 2006 e nell’ultimo decennio è stata a più riprese arrestata e rilasciata, sebbene mai condannata per coinvolgimento diretto nelle azioni militari del Fronte Popolare. Nel 2007 le è stato vietato di viaggiare all’estero, divieto poi revocato nel 2010 per consentirle di ricevere cure mediche in Giordania. Nel 2015 la sentenza è stata di 15 mesi di detenzione per incitamento e appartenenza a un’organizzazione vietata e l’arresto più recente nel dicembre 2023, con gli ultimi sei mesi trascorsi in isolamento in una piccola cella, stando ad alcune indicazioni.

Dal suo ingresso in carcere oltre un anno fa non è stato consentito nemmeno al marito, Ghassan Jarrar, di farle visita in prigione, come lui stesso ha denunciato in una recente intervista. Un precedente legato ai suoi periodi in carcere riguarda la morte della figlia Suha, nel 2021, a Khalida fu negato un permesso su basi umanitarie per partecipare al funerale. Tra le altre donne che compaiono nella lista ci sono Dalal Khaseeb, di 53 anni, sorella dell’ex vice comandante di Hamas Saleh Arouri, ucciso in un attacco israeliano in un sobborgo meridionale di Beirut un anno fa.

Poi Abla Abdelrasoul, 68 anni, moglie del leader del Fplp Ahmad Saadat, che nel 2001 uccise un ministro israeliano e sta scontando una condanna a 30 anni. Ci sono poi 21 minorenni e fra questi il più giovane ha 15 anni, si chiama Mahmoud Aliowat ed è accusato di un attacco a Gerusalemme nel 2023. Sulla base della lista pubblicata dal ministero della Giustizia, in questa prima fase dell’attuazione dell’accordo è prevista la liberazione di detenuti arrestati dal 2020, tra cui 66 solo nell’ultimo anno. Cinque sono sospettati di tentato omicidio, tre di omicidio e sette di aggressione. Dieci sono già stati condannati, 31 sono detenuti senza processo e 51 sono in attesa di giudizio. Al Jazeera fornisce altri dettagli sull’elenco e indica 76 prigionieri provenienti dalla Cisgiordania e 14 da Gerusalemme Est.

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Esteri

Doron, Emily e Romi, finisce incubo per le 3 rapite

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Tre figurine a testa bassa, piegate in avanti, sopraffatte da una calca di migliaia di uomini civili e miliziani di Hamas armati, in divisa militare a volto coperto, la fascia verde dell’Islam in testa. Veloci nel passaggio dai pickup di Hamas al mezzo della Croce Rossa mentre tutt’intorno la folla urla, Doron Steinbrecher, Romi Gonen, Emily Damari s’infilano nell’auto degli operatori umanitari dopo aver attraversato piazza Saraya a Gaza City, con i jihadisti che tengono a bada la ressa di curiosi che vorrebbero vedere in faccia le tre rapite.

“Stanno bene, sono in grado di camminare senza essere aiutate”, il primo messaggio all’esercito da parte della Croce Rossa che le ha prese in consegna. Dopo qualche decina di minuti di tensione alle stelle, passando per la zona centrale della Striscia, dove tutto sarebbe potuto succedere, le tre giovani donne sono stata consegnate ai reparti speciali dell’Idf. Poi, via verso la struttura allestita dall’esercito vicino alla base militare di Reem, in terra d’Israele, a casa. Dove ad aspettarle c’erano le madri, autorizzate a raggiungerle ancor prima che siano portate in ospedale. Saranno infatti ricoverate nel reparto del Safra Children’s Hospital presso lo Sheba medical center, nel centro del Paese, nei prossimi giorni e forse settimane per essere assistite da personale specializzato e di supporto.

L’ospedale pediatrico è stato scelto perché offre una sistemazione tranquilla e riservata ma fuori dalla struttura si sono subito radunati a centinaia per aspettarle. Romi, 24 anni, è stata presa in ostaggio dal festival musicale Nova dove era andata a ballare con la sua migliore amica Gaia Halifa. Insieme avevano girato il Sud America in lungo e in largo per sette mesi. Quella spaventosa mattina del 7 ottobre 2023, mentre cercava di sfuggire ai terroristi con le amiche, Romi è riuscita a chiamare la madre, Meirav, rimasta al telefono con lei anche quando è stata raggiunta da un proiettile a una mano. Gaia è stata colpita e uccisa. Il 23 novembre alcuni ostaggi rilasciati hanno riferito di aver visto Romi viva, dopo nessun’altra notizia è arrivata ai parenti. Fino a che il governo non li ha avvisati che la loro ragazza era nella lista dei primi 33 ostaggi da rilasciare.

Doron Steinbrecher è un’infermiera veterinaria, i terroristi l’hanno strappata dalla sua casa nel kibbutz di Kfar Azza, nell’area residenziale dei single più giovani. Mentre Hamas assaltava il kibbutz, Doron, 31 anni, è rimasta al telefono con la sorella Yamit e i genitori, tutti chiusi nelle stanze di sicurezza della comunità. Lei durante l’attacco si è nascosta sotto il letto. Simona, la mamma, ha raccontato che “quel sabato erano tutti a casa, sentivano i terroristi che sparavano e cercavano di entrare”.

“Doron ci ha chiamato, poi abbiamo sentito delle voci. A quel punto solo silenzio. Quando è finito tutto e le forze di sicurezza sono arrivate a casa sua, non hanno trovato né il corpo, né sangue. Abbiamo capito che era stata rapita”. Prima di essere portata via è riuscita a inviare un messaggio ad amici: “Sono arrivati. Mi hanno preso”.

Anche Emily Tehila Damari, 28 anni, era nel kibbutz di Kfar Aza, nel ‘quartiere della giovane generazione’ . Mentre la madre, Mandy, si nascondeva nella sua casa, i jihadisti hanno prima ucciso il cagnolino di Emily e poi le hanno sparato a una mano e una gamba. Oggi la giovane appare nelle prime foto senza due dita della mano, il medio e l’anulare. Poi è stata costretta a salire nella sua auto con altri due amici del kibbutz, Gali e Ziv Berman, tuttora prigionieri di Hamas a Gaza. Emily è sempre stata una fan sfegatata del Tottenham Hotspur: la squadra e il suo club di fan si sono stretti attorno a lei tenendo diversi raduni fuori dallo stadio. “Il governo di Israele accoglie con affetto le tre donne liberate”, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu dopo il rilascio. Poi il suo ufficio ha diffuso le foto delle tre ragazze mentre abbracciano le loro mamme.

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