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Salute

Tumori, l’assistenza domiciliare è prevista solo dal 65% delle Oncologie

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In Italia sono attivi 332 reparti di Oncologia e quasi l’80% (78,9%) ha un servizio di supporto psicologico, ma ancora troppo pochi, solo il 65%, garantiscono l’assistenza domiciliare. Una forbice che si allarga spostandosi lungo la Penisola: al Nord le cure domiciliari sono infatti assicurate dal 70% delle strutture rispetto al 52% del Sud, nonostante sia stato dimostrato che, se fosse assicurata un’adeguata assistenza domiciliare e palliativa, la degenza in ospedale si ridurrebbe da 20 a 4 giorni, con un risparmio di circa 2.000 euro a paziente. I dati sullo stato dell’Oncologia nel nostro Paese emergono dal convegno nazionale organizzato oggi al Senato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) ed evidenziano luci e ombre nella cura del cancro.

Pazienti oncologiche. La realtà virtuale aiuta a combattere il cancro

“Vanno superate le differenze territoriali nell’assistenza, che ancora oggi alimentano le liste di attesa e le migrazioni regionali, costringendo una significativa percentuale di pazienti a spostarsi dal proprio domicilio – spiega Stefania Gori, presidente nazionale AIOM -. La svolta e’ rappresentata dalla reale istituzione delle reti oncologiche regionali, attive solo in Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta, Veneto, Toscana, Umbria, Liguria, Puglia e nella Provincia autonoma di Trento. La concreta realizzazione di questi network – sottolinea – consentira’ di migliorare i livelli di appropriatezza e di risparmiare risorse da utilizzare per velocizzare l’accesso ai farmaci innovativi”. Oggi, in Italia, il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi ed il nostro Paese presenta un quadro di sopravvivenza pari o superiore alla media europea. Tuttavia, altra priorita’ e’ “migliorare il livello tecnologico dei centri, sia in ambito diagnostico (radiologia e biologia molecolare) che chirurgico e radioterapico – sottolinea Giordano Beretta, Presidente eletto AIOM -. Oggi, ad esempio, la radioterapia e’ impiegata nella cura del 60-70% dei pazienti oncologici e si stima che il suo fabbisogno in Europa aumenterà di oltre il 15% nei prossimi 10 anni”

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Cronache

L’ipnosi in sala operatoria per due anziane a Torino

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L’ipnosi in sala operatoria si consolida come una risorsa in più per combattere il dolore in sala operatoria. Per la prima volta a Torino, all’ospedale delle Molinette, due donne in età avanzata (75 anni e 79 anni) sono state sottoposte a un intervento in ipoanestesia, una pratica che alla Città della Salute definiscono “l’ultima frontiera degli approcci destinati a garantire ai pazienti un trauma chirurgico sempre minore”. L’ipoanestesia, che ha già preso piede in numerosi Paesi europei per operazioni di chirurgia complessa, è considerata una valida alternativa all’anestesia generale: non pretende un carico pesante di farmaci invasivi, modula la percezione del dolore e, soprattutto, allontana la percezione del bisturi, riducendo lo stress emotivo. Effetti che, a quanto pare, si riverberano anche sul recupero post operatorio, più rapido ed efficace, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero.

Nel caso delle due pazienti torinesi si è trattato di abbinare l’ipnosi all’anestesia locale per poi procedere, tramite delle ‘tradizionali’ incisioni al collo di minima entità (2,5-3 cm), all’asportazione di tumori benigni delle paratiroidi. L’intervento ha richiesto la composizione di un’equipe composta da specialisti di varie discipline: Maurizio Bossotti (responsabile della Chirurgia tiroidea-paratiroidea del Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Mario Morino) è stato affiancato da Pietro Soardo e Valentina Palazzo, specializzanda in Chirurgia Generale ed ipnologa, e dagli anestesisti del gruppo di Roberto Balagna.

In Italia il ricorso all’ipnosi clinica è una realtà da diverso tempo e in diversi ambiti. Nel 2020 l’ospedale San Paolo, a Savona, se ne servì a scopo analgesico su un uomo sottoposto a un intervento al cuore, mentre nel 2022 fu il San Michele di Cagliari ad impiegarla nel corso di un trapianto di fegato: il paziente, dopo una serie di incontri preparatori, venne ‘risvegliato’ in stato di ipnosi in sala operatoria anziché in rianimazione, cosa che scongiurò una quantità di complicazioni. Nel 2023, ad Ancona, un tumore cerebrale fu asportato con procedura awake: il paziente, sveglio e cosciente, indossò un visore che lo inondò di immagini e musiche capaci di ridurre l’ansia pre e post operatoria. La sedazione digitale è stata utilizzata al ‘Ferrari’ di Castrovillari (Cosenza) per coronarografie e impianti di peacemaker.

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Salute

Gettonisti, limiti a uso e costi per medici e infermieri

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Arrivano, con un decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci (foto Imagoeconomica  in evidenza), le linee guida che delimitano le condizioni di utilizzo dei medici e degli infermieri “gettonisti”. In Italia la carenza strutturale di camici bianchi ha determinato una spesa potenziale di 1,7 miliardi di euro per i gettonisti, professionisti della sanità “on demand”. Un fenomeno esploso per i medici con la pandemia, precedentemente invece a questo periodo per gli infermieri. Coinvolte tutte le regioni, secondo l’ultimo rapporto Enac che ha svolto un’analisi sugli ultimi 5 anni, con grandi differenze fra queste: quelle maggiormente impegnate dal punto di vista economico sono state la Lombardia, l’Abruzzo ed il Piemonte con valori nettamente superiori a quelli registrati dalle altre regioni.

Con le linee guida pubblicate in Gazzetta Ufficiale, questi professionisti esterni potranno essere utilizzati nei soli casi di necessità e urgenza, in un’unica occasione e senza possibilità di proroga e laddove non sia possibile ovviare altrimenti alle carenze del personale sanitario. Fissati anche i limiti economici orari: dagli 85 euro per il pronto soccorso e la rianimazione fino ai 75 euro per altri servizi medici. Per il infermieri la tariffa varia dal 28 euro per il pronto soccorso a 25 euro per altri servizi. Le linee guida sono adottate in attuazione di quanto gia’ previsto nella legge del 26 maggio per l’affidamento a terzi di servizi medici ed infermieristici. Le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale possono procedere all’affidamento dei servizi “solo in caso di necessità e urgenza, in un’unica occasione e senza possibilità di proroga, a seguito della verificata impossibilita’ di utilizzare personale gia’ in servizio, sia dipendente sia in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. Il ricorso alla esternalizzazione dei servizi medico-sanitari “assume connotazione tutt’affatto eccezionale e residuale”.

Le linee guida indicano anche la richiesta di alcune garanzie sul livello professionale del personale chiamato e per il personale privo della cittadinanza italiana, deve essere garantita la conoscenza della lingua italiana, così come verra’ richiesto l’obbligo di rispetto delle norme di “buon comportamento” richieste ai lavoratori dipendenti. Il personale impiegato deve provvedere alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave, che sollevi l’amministrazione dagli eventuali danni causati a terzi. Previste anche clausole che prevedano che il servizio venga erogato dall’operatore economico attraverso una turnistica organizzata, in modo da prevedere un tetto massimo di quarantotto ore medie settimanali per i professionisti coinvolti nell’affidamento. L’intento e’ quello di assicurare l’impiego dei professionisti nei diversi turni garantendo che l’orario complessivo di lavoro di ciascun professionista, anche laddove articolato in più strutture distinte, consenta al professionista stesso un periodo di riposo consecutivo giornaliero non inferiore ad undici ore per il recupero delle energie psicofisiche professionisti.

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Salute

Carta Udine, lotta a liste attesa per umanizzazione cure

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“La cura è una primarietà esistenziale, perché senza cura la vita non può essere conservata, attuata nella sua pienezza e riparata quando il dolore del corpo o dell’anima sommergono l’essere umano”. E’ il preambolo de “La Carta di Udine per l’umanizzazione delle cure e il benessere organizzativo”, documento di indirizzo scientifico approvato oggi dagli “Stati generali itineranti per l’umanizzazione delle cure e il benessere organizzativo” promossi dall’Ateneo friulano con il Dip. di Medicina. Gli Stati generali hanno anche aderito al Manifesto “Dignitas Curae” che propone un modello di cura che riporti al centro i valori della medicina, riconosca il bene della persona e del curante e sfrutti le migliori competenze specialistiche.

Tra le priorità, la riduzione dei costi e dei tempi d’attesa e, grazie a équipe multidisciplinari, l’assistenza ai malati in base alle loro effettive e personali necessità terapeutiche. Tre sono gli ambiti della Carta: umanizzazione delle cure in chiave moderna; qualità della cura intesa come assistenza centrata sul paziente, cioè efficace, sicura, accessibile, tempestiva, equa, efficiente; modello di cura con ricadute sulle persone attraverso 4 aree: ricerca, formazione, clinico-assistenziale e organizzativo-gestionale, valutazione dei risultati.

“Un progetto ambizioso – ha commentato il rettore di Udine Roberto Pinton – che mira a promuovere la coesione sociale, potenziare le competenze professionali, e rinnovare il senso di appartenenza al sistema sanitario”. Per Massimo Robiony, presidente degli Stati generali, il fine “è progettare una sanità che metta al centro la persona”. In un videomessaggio il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha parlato di “una sfida impegnativa, ma indispensabile” per “una sanità più umana, innovativa e sostenibile”. Per Schillaci, inoltre, “il manifesto Dignitas Curae offre una visione per una sanità a misura d’uomo. E un esempio pratico di questa prospettiva è la Carta di Udine”.

Ed evidenzia la necessità di “superare il modello centrato sull’ospedale, rafforzare la medicina territoriale e promuovere una integrazione socio-sanitaria”, sottolineando l’impegno del Ministero “a risolvere criticità che con il tempo si sono acuite”. Ma la soluzione “non può limitarsi a tamponarne i sintomi, deve” rivedere i modelli organizzativi, ottimizzare l’uso delle risorse”. Secondo il governatore Fedriga, anche lui in videomessaggio, la Carta di Udine sottende “un approccio innovativo e praticamente a costo zero, che ben si sposa con la necessità di sostenibilità del nostro sistema sanitario nazionale”. Pronta adesione alla Carta da parte della Federazione italiana delle aziende ospedaliere. “È essenziale potenziare una rete coordinata di servizi sanitari e sociali, che risponda ai bisogni dei pazienti, riduca le ospedalizzazioni evitabili e promuova la medicina di prossimità”, ha detto il presidente Giovanni Migliore, anch’egli intervenuto agli Stati generali.

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