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Salute

Tumore ovaio, prospettive cura controllando ormone stress

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Contro uno dei tumori più complessi da trattare, il tumore alle ovaie, si apre una nuova strada che lascia ben sperare. Per la prima volta dopo anni di ricerca, uno studio clinico mostra infatti un miglioramento nella sopravvivenza globale al tumore dell’ovaio resistente: si tratta del trial di fase III Rosella, i cui dati sono stati presentati al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e congiuntamente pubblicati sulla rivista Lancet. I risultati dimostrano una migliore efficacia della chemioterapia quando combinata con una molecola sperimentale (chiamata relacorilant) che agisce bloccando l’effetto pro-tumorale del cortisolo.

Questo ormone, noto per il suo ruolo nelle reazioni di stress, è infatti capace di rendere le cellule del tumore più resistenti alla chemioterapia. La nuova combinazione terapeutica ha portato a un notevole miglioramento sia nella sopravvivenza libera da progressione che nella sopravvivenza globale, con un aumento di quest’ultima di quasi il 40%. Le pazienti trattate hanno infatti mostrato un miglioramento della sopravvivenza senza progressione della malattia e della sopravvivenza complessiva, raggiungendo una sopravvivenza media di 16 mesi, contro gli 11,5 mesi del gruppo di controllo, un aumento clinicamente significativo.

Inoltre, il profilo di sicurezza è comparabile al trattamento con la sola chemioterapia. Il trial clinico è stato condotto su scala internazionale, coinvolgendo 117 centri distribuiti in 14 Paesi. In Europa è stato coordinato da Domenica Lorusso – oggi responsabile della Ginecologica Oncologica di Humanitas San Pio X e professoressa ordinaria di Humanitas University – mentre era responsabile dell’Unità Programmazione Ricerca Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs a Roma. “Il carcinoma ovarico è uno dei tumori ginecologici più aggressivi e complessi da trattare – spiega Lorusso -. Spesso diagnosticato in stadi avanzati, presenta un’elevata mortalità a causa della sua tendenza a sviluppare resistenza ai trattamenti farmacologici standard, in particolare ai farmaci a base di platino. Per questo motivo i risultati dello studio sono così significativi: potrebbero portare a un cambiamento nelle linee guida per il trattamento di questa patologia complessa”.

Il farmaco sperimentale è progettato per contrastare uno dei principali meccanismi di resistenza del carcinoma ovarico ai trattamenti chemioterapici: l’iperattività dei recettori dei glucocorticoidi. Il cortisolo, noto come ‘ormone dello stress’, regola numerosi processi fisiologici, inclusi lo stress e il metabolismo, ma svolge anche un ruolo cruciale nella progressione del cancro, stimolando i recettori dei glucocorticoidi presenti sulle cellule tumorali. Questi recettori promuovono la sopravvivenza delle cellule, riducendo il tasso di apoptosi (processo naturale di morte cellulare) e rendendole più resistenti alla chemioterapia. Non a caso, nelle pazienti con tumore ovarico alti livelli di cortisolo sono associati a prognosi particolarmente sfavorevoli. La nuova molecola appartiene a una classe di composti chiamati antagonisti selettivi del recettore dei glucocorticoidi, che agiscono interferendo con questo meccanismo e rendendo così le cellule tumorali suscettibili all’azione del chemioterapico.

Lo studio ha coinvolto 381 donne affette da questa grave condizione. Le partecipanti erano già state sottoposte a più linee di trattamento senza successo. L’obiettivo principale dello studio era valutare se l’aggiunta di relacorilant potesse rallentare la progressione della malattia e migliorare la sopravvivenza complessiva. I risultati, rileva Lorusso, “sono stati molto promettenti”. In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 6.000 nuovi casi di tumore all’ovaio, con circa 37.000 donne che convivono con la malattia. E’ il sesto tumore più diagnosticato tra le donne ed è uno dei tumori ginecologici più gravi. Attualmente non esiste un test di screening precoce per il tumore ovarico come la mammografia per il tumore al seno.

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Un miliardo di viaggiatori l’anno nel mondo, Sos salute

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Viaggi e destinazioni lontane ed esotiche sono oggi sempre più a ‘portata di aereo’ e l’estate è la stagione più gettonata, ma se la globalizzazione ed il turismo ‘senza confini’ rappresentano una grande opportunità, non bisogna dimenticare i rischi per la salute ed il possibile contatto con patogeni spesso poco conosciuti nei paesi occidentali. Ogni anno oltre 1,2 miliardi di persone viaggiano nel mondo e bastano 36 ore per fare il giro del globo in aereo: un tempo ben inferiore al periodo di incubazione della maggior parte delle malattie trasmissibili che possono essere contratte nei vari Paesi del mondo.

A mettere in guardia è l’Istituto superiore di sanità (Iss), che indica i comportamenti da adottare prima di mettersi in viaggio e le vaccinazioni necessarie. Anno dopo anno, sottolinea l’Iss, sono sempre di più le persone che intraprendono viaggi internazionali, anche in Paesi in via di sviluppo che in passato erano mete poco battute. Gli oltre un miliardo di viaggiatori che si spostano ogni anno sul pianeta hanno però un rischio significativo di ammalarsi e di diventare un veicolo di infezione per altre persone una volta tornati a casa. Ogni anno, rileva l’Iss, sono circa 18 milioni i viaggi dal nostro Paese per località estere, spesso tropicali. Ogni viaggiatore, afferma l’Iss, “dovrebbe dunque essere consapevole del fatto che proteggere la propria salute significa proteggere anche quella degli altri”.

Da una parte, il rischio si può minimizzare grazie a profilassi e vaccinazioni, prese prima della partenza. Dall’altra, l’identificazione e il trattamento tempestivo di una malattia importata sono fondamentali per evitare che la malattia si trasmetta ad altri, fino a diventare un serio problema di salute pubblica. Da qui i consigli dell’Iss. Per ridurre il rischio di incidenti è raccomandata una consulenza pre-viaggio presso un medico di medicina del viaggio o il medico di medicina generale 4-6 settimane prima di partire. Tra i fattori da considerare ci sono: malattie preesistenti, stato vaccinale, allergie, prescrizioni mediche in corso. A seconda della meta, bisogna poi considerare tutti i fattori di rischio: alimenti e acqua, spesso non depurata; condizioni ambientali a cui l’organismo non è abituato (altitudine, siccità, temperature); presenza di parassiti con cui si può venire a contatto (da insetti fino al pollame); comportamenti sessuali che possono aumentare il rischio di trasmissione di infezioni. Le vaccinazioni possono rappresentare un efficace metodo preventivo di molte malattie.

E’ bene controllare di essere in regola con le vaccinazioni previste dal programma nazionale. In particolare, in Italia sono obbligatorie le vaccinazioni contro difterite-tetano-pertosse (DTaP), poliomielite (IPV), epatite B (HBV), Haemophilus influenzae b (Hib), morbillo, parotite, rosolia e varicella (MPRV). Inoltre, a seconda della meta, saranno consigliati dei vaccini o chemioprofilassi specifici. Oggi, ricorda l’Iss, nessun Paese richiede più un certificato di vaccinazione contro vaiolo e colera. Il solo certificato che deve essere richiesto nei viaggi internazionali, limitatamente ad alcuni viaggiatori e a specifiche mete, è quello contro la febbre gialla. Molti Paesi richiedono un certificato internazionale di vaccinazione valido ai viaggiatori che arrivano da zone infette o che abbiano transitato in quelle aree, mentre qualcuno richiede un certificato a tutti i viaggiatori che entrano, inclusi quelli in transito (Africa Equatoriale e America meridionale).

Quest’ultimo obbligo va oltre quanto dichiarato nel regolamento sanitario internazionale, tuttavia la vaccinazione è fortemente raccomandata per i viaggi al di fuori delle aree urbane nei Paesi compresi all’interno delle zone endemiche per la febbre gialla. Relativamente alla meningite ACWY, alcuni Paesi richiedono un certificato internazionale di vaccinazione a tutti i viaggiatori che entrano, inclusi quelli in transito (Arabia Saudita e la Mecca). Per quanto riguarda invece la malaria, per ogni Paese situato in zone endemiche è raccomandata una profilassi specifica.

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Neuromed, scoperto nuovo algoritmo per distinguere i parkinsonismi atipici: guida internazionale firmata da Antonio Suppa

Il neurologo Antonio Suppa guida un team internazionale nella definizione di un nuovo algoritmo diagnostico per distinguere PSP e MSA, pubblicato su “Movement Disorders Journal”.

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Il professor Antonio Suppa, docente di neurologia presso il Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza Università di Roma e ricercatore dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, ha coordinato un importante lavoro internazionale culminato nella pubblicazione del “position paper” ufficiale della International Parkinson and Movement Disorder Society (MDS). L’articolo è stato pubblicato sulla rivista “Movement Disorders Journal” e definisce un nuovo algoritmo diagnostico basato su esami neurofisiologici per distinguere con maggiore accuratezza tra le diverse forme di parkinsonismo atipico, in particolare tra paralisi sopranucleare progressiva (PSP) e atrofia multisistemica (MSA).

professor Suppa

Un algoritmo per diagnosi più precise

L’obiettivo della ricerca è fornire agli specialisti una guida diagnostica step-by-step, costruita con metodiche accessibili, già disponibili nella maggior parte dei laboratori di neurofisiologia clinica. “Non si tratta di tecnologie complesse o riservate a centri ultra-specialistici – spiega Suppa – ma di strumenti ampiamente diffusi che, impiegati in modo sistematico, possono fare la differenza nei casi più difficili.”

Una guida fondamentale nelle fasi iniziali

Il nuovo algoritmo è pensato per essere di aiuto soprattutto nelle prime fasi della malattia, quando i sintomi sono sfumati e la diagnosi incerta. “I parkinsonismi atipici – sottolinea Suppa – si manifestano inizialmente con segni simili alla Malattia di Parkinson, ma hanno un decorso più rapido, una risposta ridotta alla L-Dopa, e spesso sono accompagnati da gravi disturbi cognitivi e dell’equilibrio”.

Il ruolo del Neuromed e il prestigio internazionale

Il coinvolgimento del Neuromed di Pozzilli in questo progetto internazionale rappresenta un riconoscimento della qualità della ricerca italiana nel campo dei disturbi del movimento. “È la conferma del ruolo strategico del nostro Istituto e delle competenze sviluppate in anni di lavoro – conclude il professor Suppa – nella neurofisiologia applicata alle malattie neurodegenerative.”

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Salute

A Cona installato uno dei primi “orecchi bionici” d’Italia: intervento innovativo per combattere la sordità

Impiantato un dispositivo cocleare di nuova generazione: è aggiornabile, compatibile con la risonanza magnetica e dotato di memoria interna personalizzata.

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All’ospedale di Cona (Ferrara) è stato eseguito uno dei primi impianti di orecchio bionico smart in Italia. L’intervento, altamente innovativo, ha visto protagonista una donna di 50 anni residente in provincia di Ferrara, affetta da sordità, ed è stato condotto con successo dall’équipe di Otorinolaringoiatria diretta dal professor Stefano Pelucchi. A eseguire l’operazione è stata la dottoressa Michela Borin.

Un dispositivo “intelligente” che memorizza i dati del paziente

Il nuovo impianto cocleare è un passo avanti nella tecnologia medica: è il primo in Italia a disporre di una memoria interna capace di archiviare le mappature personalizzate di ciascun paziente. In caso di necessità, i dati possono essere recuperati rapidamente, permettendo un ritorno più veloce all’udito.

L’impianto cocleare, comunemente detto “orecchio bionico”, trasforma i suoni in impulsi elettrici che stimolano direttamente il nervo acustico. È composto da una parte interna, impiantata sotto la cute del cranio con elettrodi che raggiungono l’orecchio interno, e una parte esterna, dotata di microfoni e processore per la digitalizzazione del suono ambientale.

Tecnologia avanzata e aggiornabile nel tempo

Il dispositivo presenta caratteristiche all’avanguardia:

  • Spessore ridotto a soli 3,9 millimetri, per un maggiore comfort;

  • Firmware aggiornabile, che consente al paziente di accedere a future innovazioni senza ulteriori interventi chirurgici;

  • Compatibilità con la risonanza magnetica, fondamentale per una gestione sanitaria efficace nel lungo termine.

Una rivoluzione per i pazienti

“La capacità di essere aggiornabile – spiega la dottoressa Borin – significa che non stiamo solo fornendo un aiuto oggi, ma garantiamo un accesso continuo alle innovazioni del futuro. Inoltre, la compatibilità con la risonanza magnetica offre tranquillità e semplicità nella gestione medica nel tempo”.

Questo intervento segna una tappa importante per la sanità italiana e in particolare per il sistema sanitario ferrarese, sempre più orientato verso l’adozione di tecnologie di ultima generazione nel trattamento delle disabilità sensoriali.

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