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Tucci: ecco l’Italia vera, non solo pasta, sole e pizza

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L’Italia “non è solo sole, pasta e pizza, è molto più complessa. È stata influenzata da innumerevoli culture nel corso dei millenni, e queste influenze permangono ancora oggi”. È quanto vuole mostrare Stanley Tucci con il suo nuovo viaggio nel nostro Paese (a due anni dal successo di Searching for Italy, vincitore di tre Emmy) sul filo guida delle diverse cucine regionali e di tante storie e incontri. Un’esplorazione culinaria, ma anche personale e sociale di Lombardia, Toscana, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Lazio, nelle cinque puntate (una per regione) di Tucci in Italy, la nuova docuserie al via su National Geographic dal 19 maggio. “L’Italia è bellissima, ma non volevo romanticizzarla, quello è già stato fatto fino alla nausea – aggiunge l’interprete di Conclave nell’incontro virtuale con i giornalisti internazionali -. Io voglio mostrarne la verità, quanti più aspetti possibili di ogni regione.

Alcuni di quelli raccontati nel programma sono politici, altri riguardano il territorio, il modo in cui le persone vivono la loro vita, ma tutti hanno in comune il prisma del cibo”. Tucci, classe 1960, figlio di due genitori di origini calabresi (i nonni paterni venivano da Marzi e Serra San Bruno, mentre la madre Joan da Cittanova) va oltre il semplice viaggio gastronomico, unendo ai piatti il racconto di luoghi e persone. Così, ad esempio, in Lombardia, classici come risotto alla milanese e polenta si intrecciano agli assaggi nella test kitchen di Autogrill o all’incontro con una famiglia Lgbt composta da due papà con un bimbo nato dalla Gpa. In Toscana, tra lampredotto e lardo di Colonnata, incontra i butteri e partecipa alla cena di una contrada dopo il Palio di Siena. In Trentino, Tucci pranza con la comunità etiope e poi con una famiglia ladina.

In Abruzzo prova, tra le varie specialità, i confetti di Sulmona e gli arrosticini, viaggiando dai trabocchi (palafitte sulla costa, usate come macchine per pescare) a un paese con 15 abitanti. Nel Lazio ha tra le tappe un locale della capitale a Tor Pignattara con un maestro della pizza egiziano; approfondisce la cultura della trattoria e prova sul lago di Bolsena la ‘colazione dei pescatori’, la sbroscia (zuppa di pesce locale). Alcune delle regioni “le avevo già raccontate in Searching for Italy, in altre, come Abruzzo e Trentino, sognavo da tempo di andare… A guidarmi ogni volta sono le storie… abbiamo già girato altre cinque puntate in altrettante regioni, che andranno in onda l’anno prossimo”, annuncia. Il diario di viaggio di Tucci resta anche ancorato anche all’attualità, ad esempio “parlando delle nuove influenze, che arrivano dai migranti. Eppure nel clima politico odierno gli immigrati vengono denigrati, a torto, perché hanno così tanto da offrire a una cultura. Nessuno lo sa meglio degli italiani, che arrivarono a milioni in America, subendo anche loro pregiudizi simili. Credo che sia qualcosa che gli italo americani come gli italiani dovrebbero ricordare”.

Più “esploro il cibo, più lo capisco, e allo stesso modo, più esploro la cucina italiana, più capisco l’Italia”, dice. Tucci è dubbioso sulla possibilità di allargare la mappa di viaggio del programma, andando anche in altri Paesi: “Ci ho pensato, ma non so se sarò io a farlo. Penso sarebbe più interessante avere qualcuno come me, amante del cibo, che la gente conosce attraverso film, televisione o altro, per raccontare un Paese con cui sente un profondo legame, forte come quello che io sento per l’Italia”.

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‘Micha’, lo chef del Maido di Lima che ha conquistato il mondo

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Da qualche ora Mitsuharu ‘Micha’ Tsumura, lo chef che nel 2009 ha fondato nel quartiere Miraflores di Lima, la capitale del Perù, il ristorante Maido, che ha vinto il 50 Best Restaurant, è di gran lunga il peruviano più celebre del paese sudamericano. Arrivare primi nella classifica annuale dei cinquanta migliori ristoranti al mondo, stilata dal mensile britannico Restaurant basandosi su un sondaggio che coinvolge chef, ristoratori, cultori e critici internazionali, non è poca cosa ma, a questo, bisogna aggiungere che la culinaria in Perù è considerata una cosa seria sin dai tempi di Gastón Acurio, altro grande chef peruviano e, per questo, a Lima, televisioni, radio e siti web non parlano d’altro.

Nato a Lima nel 1981, in una famiglia di origine giapponese, l’infanzia di “Micha” come lo conoscono tutti in Perù, è trascorsa tra due culture che avrebbero profondamente segnato la sua visione della cucina: quella ereditata dalla famiglia e quella vissuta nelle strade di Lima. Formatosi in arti culinarie e gestione di alimenti e bevande negli Stati Uniti, “Micha” è poi andato ad Osaka, in Giappone, dove ha lavorato in ristoranti tradizionali come Seto Sushi, specializzato in sushi, e Imo to Daikon, dedicato alla cucina degli izakaya, le popolari taverne giapponesi, riporta il sito Perú21.

Al suo ritorno in Perù, dopo un periodo all’Hotel Sheraton dove si è appassionato degli incroci tra la culinaria peruviana e quella giapponese, ha fondato a 28 anni il Maido, il cui nome in giapponese significa “grazie per essere sempre venuti”, oggi un riferimento mondiale della cosiddetta cucina Nikkei, la fusione culinaria che usa ingredienti peruviani e tecniche giapponesi. “La cucina Nikkei non è una moda passeggera, è un modo per intendere la mescolanza razziale come forza creativa. Se oggi siamo in cima, è perché prima c’erano mani che seminavano, migravano, resistevano e sognavano. Dobbiamo loro tutto”, aveva previsto già sei anni fa, intervistato da Perú21.

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Maido di Lima è il miglior ristorante al mondo secondo il 50 Best 2025. Cinque italiani nella top 50

Trionfo per il Perù. L’Italia si conferma tra le eccellenze mondiali con Lido 84, Reale, Le Calandre, Piazza Duomo e Uliassi.

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È Maido di Lima, in Perù, il miglior ristorante al mondo secondo la classifica The World’s 50 Best Restaurants 2025. Il ristorante guidato dallo chef Mitsuharu Tsumura, celebre per la sua cucina nikkei, ha conquistato il primo posto battendo giganti della gastronomia internazionale.

La top 3: tra Perù, Spagna e Messico

Sul secondo gradino del podio si piazza Asador Etxebarri di Atxondo, nei Paesi Baschi spagnoli, famoso per le sue cotture alla brace. Terzo classificato è Quintonil, il tempio della cucina messicana contemporanea a Città del Messico.

Cinque ristoranti italiani tra i migliori cinquanta

L’Italia si conferma protagonista assoluta della scena gastronomica mondiale, con ben cinque ristoranti presenti nella top 50:

  • Lido 84 di Gardone Riviera (Brescia) al 16° posto

  • Reale di Castel di Sangro (L’Aquila) al 18° posto

  • Le Calandre di Rubano (Padova) al 31° posto

  • Piazza Duomo di Alba (Cuneo) al 32° posto

  • Uliassi di Senigallia (Ancona) al 43° posto

Un risultato che sottolinea la solidità e la creatività della cucina italiana d’autore, capace di coniugare tradizione e innovazione ai massimi livelli.

(NELLA FOTO ROMITO)

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Il NYT cambia rotta, il food critic non è più anonimo

Tejal Rao e Ligaya Mishan, nuove firme del gusto, svelano l’identità ai lettori: “Più trasparenza e contatto con il pubblico”.

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Il New York Times cambia registro e abbandona definitivamente l’anonimato per i suoi critici gastronomici. Addio a travestimenti, voci alterate, profili sfocati: da oggi i lettori sapranno esattamente chi si cela dietro le recensioni dei ristoranti più acclamati (e temuti) d’America. Il quotidiano newyorkese ha presentato le sue nuove firme del gusto: Tejal Rao e Ligaya Mishan, che raccolgono il testimone lasciato da Pete Wells, critico di punta per oltre un decennio.

Fine di un’epoca: l’anonimato non serve più

“Internet ha reso l’anonimato praticamente impossibile”, spiega il Times in un video che ufficializza la svolta. Anche Pete Wells, che ha lasciato l’incarico lo scorso luglio, ha confermato che i ristoranti riescono quasi sempre a individuare un critico anche se camuffato. La mossa, quindi, va incontro a una realtà già consolidata, ma apre anche una nuova fase: i critici diventeranno volti pubblici, compariranno in video, e si metteranno in gioco anche con la loro personalità e stile.

Amo l’idea di non dover giocare con l’anonimato”, ha dichiarato Tejal Rao. Pur utilizzando pseudonimi per prenotare, non cercherà più di nascondersi una volta seduta al tavolo.

Due critici per coprire tutta l’America

Con milioni di abbonati distribuiti in tutti gli Stati Uniti, la redazione ha deciso di raddoppiare la posizione per coprire in modo capillare la scena gastronomica da New York a Los Angeles, passando per Chicago, Filadelfia, San Francisco e Austin. Un approccio nazionale per una cucina sempre più globale e diffusa.

Il pubblico vuole sapere chi c’è dietro le recensioni

Il pubblico vuole associare un volto a un’opinione, capire chi è la persona che consiglia un piatto, quali sono i suoi gusti”, spiega la direzione del quotidiano. Con video e interventi personali, Rao e Mishan porteranno una maggiore trasparenza e un tono più diretto nel dialogo con i lettori.

Un lavoro da sogno, ma non per la salute

Il cambiamento arriva dopo un anno di vuoto alla guida della sezione food, seguito all’addio di Pete Wells, che aveva lasciato per motivi di salute. “Ne va della mia salute”, aveva detto, raccontando le conseguenze di dodici anni di pasti abbondanti e ritmi serrati. Prima di lui, Adam Platt (New York Magazine) aveva descritto il mestiere come “il meno sano del mondo”, citando effetti collaterali come gotta, colesterolo alto, diabete e ipertensione.

 

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