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Trump uccide il generale Soleimani, Teheran medita vendetta: ora preparate le bare

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Un missile sparato da un drone americano che centra con precisione un convoglio in uscita dall’aeroporto di Bagdad. Così gli Usa hanno ucciso Qassem Soleimani,  potentissimo generale iraniano alla guida delle forze speciali delle Guardie Rivoluzionarie, i temutissimi pasdaran della Qud Force. Lui, l’uomo più potente, tenuto e rispettato a Teheran dopo l’ayatollah Alì Khamenei, lo stratega che per 20 anni ha guidato tutte le operazioni militari e di intelligence della Repubblica Islamica, è stato ucciso con un ordine di Trump che ha dato il via libera al missile sparato dal drone. In patria un leader e un eroe di guerra, per gli Usa un terrorista, un feroce assassino al pari di Osama bin Laden o di Abu Bakr al-Baghdadi, pronto a sferrare nuovi mortali attacchi contro gli americani. Con Soleimani, in un cumulo di cenere e di ferraglia infuocata, sono finiti diversi uomini dei gruppi filo-iraniani attivi in Iraq, compreso Abu Mahdi al-Muhandis, il numero due delle Forze di mobilitazione Popolare (Hashd al-Shaabi), la coalizione di milizie paramilitari sciite che hanno organizzato l’assedio dei giorni scorsi all’ambasciata Usa di Baghdad. Il generale iraniano si muoveva allo scoperto, probabilmente si riteneva al sicuro, e sarebbe stato riconosciuto grazie al vistoso anello che indossava sempre. A ordinare l’attacco, ha spiegato il Pentagono, e’ stato il presidente Donald Trump in persona, dalla residenza di Mar-a-Lago, in Florida, dove si trova ancora dopo le festivita’ di fine anno. Una decisione clamorosa che innesca un’escalation senza precedenti con l’Iran, con conseguenze imprevedibili e incalcolabili.

Qassem Soleimani. Il generale ucciso a Bagdad

La mossa Usa piu’ grave in Medio Oriente dopo la guerra in Iraq del 2003. Gli esperti parlano di “uncharted water”, acque inesplorate. E se il segretario alla difesa americano Mark Esper e il segretario di stato Usa Mike Pompeo parlano di atto di “auto difesa”, per Teheran l’uccisione di Soleimani e’ un vero e proprio atto di guerra. Cosi’ la guida suprema Khamenei promette una “dura reazione” e avverte direttamente Trump senza usare giri di parole: “Prepara le bare”. “Sara’ vendetta contro chi ha le mani sporche del sangue di un eroe e degli altri martiri con lui uccisi”. Nessuno sa quando e dove arrivera’ la risposta dell’Iran: “Avverra’ nel momento e nel posto giusti”, ha minacciato lo stesso Khamenei, mentre di fronte a un azione cosi’ clamorosa come quella decisa dalla Casa Bianca anche il presidente e il ministro degli esteri iraniani, Hassan Rohani e Javad Zarif – promotori con Barack Obama dello storico accordo sul nucleare – sono costretti ad abbandonare i consueti toni moderati. Intanto a Teheran migliaia di cittadini sono scesi in strada al grido “morte all’America”, bruciando bandiere a stelle e strisce e innalzando cartelli con l’effige di Soleimani. Proteste anche a Baghdad, con il Dipartimento di stato Usa che ha ordinato l’evacuazione dei cittadini americani temendo il peggio.

Donald Trump. Il presidente Usa ha rivendicato l’uccisione

Dal Pentagono intanto trapela come stanno per arrivare in Medio Oriente, tra Iraq e Kuwait, altri 3.000-3.500 soldati. Un cambio di rotta drammatico rispetto alla linea del disimpegno finora sostenuta con forza da Trump. Che su Twitter non sembra abbandonare l’atteggiamento provocatorio: prima ancora della conferma del raid da parte del Pentagono posta una bandiera americana. Ore dopo, di fronte alle minacce di Teheran, scrive: “L’Iran non ha mai vinto una guerra, ma non ha mai perso un negoziato!”, con un chiaro riferimento all’accordo sul nucleare che per il tycoon e’ solo una truffa per mascherare l’obiettivo della Repubblica degli ayatollah di avere la bomba atomica. Poi parlando davanti alle telecamere Trump spiega che “gli Usa non vogliono una guerra ne’ un cambio di regime a Teheran, ma sono pronti a rispondere con qualunque azione necessaria”. Mentre nella capitale iraniana si parla di uno scambio di messaggi tra Washington e Teheran attraverso l’incaricato d’affari svizzero che rappresenta gli affari americani a Teheran. La preoccupazione nelle capitali mondiali e’ altissima, cosi’ come sui mercati finanziari, col prezzo del petrolio schizzato ai massimi livelli da mesi e le Borse, dall’Europa a Wall Street, in calo. Pompeo ha dovuto compiere un giro di telefonate tra le principali capitali per spiegare la ratio della decisione di Trump e per assicurare che gli Usa sono comunque per una de-escalation. “Non possiamo permetterci un’altra guerra del Golfo”, ha detto il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. L’Ue, attraverso l’Alto Rappresentante Joseph Borrell, ha invitato “tutti gli attori coinvolti in Iraq ad esercitare la massima moderazione”. Anche il titolare della Farnesina Luigi Di Maio si e’ detto “fortemente preoccupato per la pericolosa escalation”.

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Attacco ucraino con missili Atacms su aeroporto militare a Taganrog: danni e risposta russa

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Le tensioni tra Russia e Ucraina si intensificano con un nuovo attacco sferrato dalle forze ucraine. Il ministero della Difesa russo ha annunciato che sei missili americani Atacms sono stati lanciati contro un aeroporto militare nella città di Taganrog, situata nella regione di Rostov. Secondo le dichiarazioni ufficiali, due missili sono stati intercettati dai sistemi di difesa aerea Pantsir, mentre altri quattro sono stati deviati grazie alle tecnologie di difesa elettronica.

L’attacco non avrebbe distrutto le infrastrutture principali dell’aeroporto, ma ha causato lievi danni. “Due edifici sul territorio dell’aerodromo e tre veicoli militari, insieme ad alcuni veicoli civili parcheggiati nelle vicinanze, hanno subito danni leggeri”, ha riferito il ministero. Tuttavia, vi sono stati feriti tra il personale a causa dei frammenti dei missili intercettati.

La risposta russa: “Misure appropriate”

In seguito all’attacco, il ministero della Difesa russo ha promesso una reazione. “Questo attacco con armi occidentali a lungo raggio non rimarrà senza risposta, saranno prese misure appropriate”, ha dichiarato il dicastero, senza fornire ulteriori dettagli. L’attacco è stato definito un’azione con armamenti forniti dall’Occidente, sottolineando la crescente influenza internazionale nel conflitto.

Un attacco simbolico o strategico?

L’utilizzo di missili Atacms, forniti dagli Stati Uniti, rappresenta un ulteriore passo nell’intensificazione delle operazioni ucraine, evidenziando il ruolo cruciale delle forniture militari occidentali. L’aeroporto militare di Taganrog, situato in una zona strategica vicino al confine con l’Ucraina, è un obiettivo significativo che segna un’escalation nelle operazioni di lungo raggio.

Un conflitto sempre più acceso

L’attacco ucraino e le conseguenti dichiarazioni del ministero della Difesa russo sottolineano come il conflitto tra i due Paesi continui a evolversi in un contesto sempre più teso e imprevedibile. Le implicazioni di queste azioni, sia sul fronte militare che diplomatico, potrebbero avere ripercussioni a lungo termine non solo sulla regione, ma anche sugli equilibri geopolitici globali.

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Siria, decine di esecuzioni sommarie di fedeli di Assad

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E’ l’ora della resa dei conti in Siria. Il regime di Assad si è dissolto ma la guerra civile continua più violenta che mai, con la furia che si è scatenata contro gli aguzzini del deposto rais. Li sono andati a prendere nelle loro case, tirati giù dai nascondigli improvvisati. Trascinati in strada, a Latakia, porto nord-occidentale siriano per decenni descritto come la roccaforte dei clan alawiti associati al potere degli Assad. Membri di quelle che fino a pochi giorni fa erano le temibili mukhabarat, i servizi di controllo e repressione governativi, sono stati giustiziati con colpi di pistola alla tempia o raffiche di mitra su tutto il corpo.

Sorte analoga ma più cruenta è toccata ad altri esponenti degli apparati di sicurezza del regime: uccisi e i loro cadaveri trascinati a lungo per le strade di Idlib, roccaforte dei jihadisti ora al governo a Damasco, mentre la folla inferocita li prendeva a calci. Sono state decine le esecuzioni sommarie condotte oggi in varie regioni della Siria, in particolare nelle zone di Idlib, Latakia, Hama, Homs e Damasco. Una violenza che viene da lontano e che sta riemergendo con tutti i suoi veleni in queste frenetiche ore di vendetta, seguite all’euforia della “liberazione” delle ultime 48 ore.

Almeno 40 cadaveri accatastati con evidenti segni di tortura e con fresche tracce di sangue sono stati rinvenuti a Damasco nell’ospedale militare di Harasta. “Ho aperto la porta dell’obitorio con le mie mani ed è stato uno spettacolo orribile: una quarantina di corpi erano ammucchiati, con segni di terribili torture”, ha raccontato uno dei primi miliziani di Hayat Tahrir ash Sham giunto nel tristemente noto ospedale-mattatoio di Harasta. E’ anche il giorno in cui continuano a riemergere testimonianze scioccanti delle sevizie compiute per decenni dagli aguzzini del regime nei confronti dei detenuti politici nella prigione di Saydnaya.

Nel carcere-inferno è stata trovata una delle sale di tortura: una serie di corde da impiccagione rosse di sangue rappreso, una pressa meccanica per “schiacciare i corpi” senza vita, che venivano poi spostati nella “sala dell’acido e del sale”, dove “venivano sciolti”. Sull’onda di una rabbia antica e incistata nelle pieghe di una società violentata da troppo tempo, il leader dei miliziani jihadisti Ahmad Sharaa (Jolani) in mattinata aveva annunciato l’intenzione di pubblicare una lista dei “nomi degli ufficiali più anziani coinvolti nella tortura del popolo siriano”.

“Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni su alti ufficiali dell’esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra”, si leggeva nell’annuncio di Sharaa. Mentre il premier incaricato, Muhammad Bashir, ha promesso che il suo nuovo governo “scioglierà i servizi di sicurezza” del dissolto regime. Ma se gli ufficiali più anziani delle mukhabarat sono quelli che hanno maggiori risorse per fuggire all’estero o per nascondersi meglio, la furia si è abbattuta sui quadri medio bassi del sistema di repressione. “Lui è complice dei massacratori di Tadamon”, afferma un miliziano in uno dei video  indicando un presunto militare governativo, fermato dagli insorti. Il quartiere damasceno di Tadamon aveva visto nell’aprile 2013 l’uccisione di 41 civili da parte di soldati di Assad.

Come era emerso allora da una serie di video, confermati dagli inquirenti internazionali, le vittime erano state invitate a correre verso una fossa e in corsa venivano falcidiate da raffiche di mitra, cadendo morti nella fossa. In un altro filmato, girato nella località di Rabia, a ovest di Hama, due uomini, accusati di aver commesso crimini “contro i siriani”, sono circondati da uomini armati e in divisa. Urlano addosso ai due l’accusa di essere “maiali alawiti”. Seguono gli spari. Altre raffiche di fucili automatiche sono esplosi insistenti contro un camion aperto sul retro con a bordo miliziani filo-curdi catturati sul fronte orientale di Dayr az Zor.

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Corea Sud, arrestati capi della polizia nazionale e di Seul

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Il capo della polizia nazionale della Corea del Sud e quello di Seul sono arrestati per il loro ruolo nell’applicazione del decreto di breve durata sulla legge marziale del presidente Yoon Suk-yeol del 3 dicembre, dichiarata in serata e ritirata sei ore dopo per la bocciatura decisa dal Parlamento. E’ quanto riportano i media locali, ricordando che lo sviluppo è maturato a sole poche ore dalla presentazione della nuova mozione di impeachment contro Yoon da parte delle opposizioni guidate dal partito Democratico che dovrebbe essere votata sabato dall’Assemblea nazionale. In precedenza, l’ex ministro della Difesa e strettissimo collaboratore di Yoon, Kim Yong Hyun, è stato arrestato formalmente dopo che un tribunale di Seul ha approvato la misura cautelare nei suoi confronti per le accuse sul ruolo chiave ricoperto nell’imposizione della legge marziale e per abuso di potere. Kim è la prima figura di alto livello arrestata nella vicenda.

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