Collegati con noi

Esteri

Trump sfida Putin, gli Usa non rispetteranno più il trattato sui missili nucleari: rischio corsa agli armamenti

Pubblicato

del

Incalzato dal Russiagate e dai sospetti di collusione con il Cremlino, Donald Trump sfida Vladimir Putin pensando pero’ anche a Xi Jinping. E da domani sospende lo storico trattato sui missili nucleari a medio raggio (Inf), firmato nel 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov per mettere fine alla crisi degli euro missili e considerato una pietra miliare della fine della guerra fredda. Un trattato che pero’ non vincola la Cina, che nel frattempo ha sviluppato un arsenale basato in gran parte proprio su questo tipo di razzi. La Casa Bianca, come fece gia’ l’amministrazione Obama nel 2014, ha accusato la Russia di averlo violato “impunemente” per “troppo tempo”, “sviluppando segretamente e schierando un sistema missilistico proibito che pone una minaccia diretta ai nostri alleati e alle nostre truppe all’estero”. Si tratta del missile 9M729 Novator, ‘l’arma invincibile’ capace di superare tutte le attuali difese anti balistiche americane. Ma le accuse sono reciproche. Anche Mosca contesta a Washington di non aver rispettato l’accordo con il suo scudo spaziale nell’Europa dell’est, basato su missili intercettori che potrebbero facilmente diventare armi offensive e che comunque rompono l’equilibrio delle forze in campo.

Ora gli Stati Uniti, ha subito replicato la Russia, potrebbero schierare un totale di “48 missili da crociera” in Europa mettendo cosi’ “in pericolo” la Russia centrale e Mosca “non puo’ ignorare questa minaccia”. Il Cremlino teme inoltre che gli Usa possano ritirarsi anche dall’accordo New Start per la riduzione delle armi di distruzione di massa, che scade il 5 febbraio del 2021, poco dopo l’insediamento del prossimo presidente americano.

Dopo l’uscita degli Usa all’accordo con l’Iran, il mondo resterebbe cosi’ privo di intese contro la proliferazione nucleare. La sospensione del trattato Inf e’ stato annunciata in conferenza stampa dal segretario di Stato Mike Pompeo, alla scadenza dei 60 giorni dati a Mosca per dimostrare il rispetto delle sue condizioni. “I Paesi devono essere richiamati alle loro responsabilita’ quando violano le regole. La Russia ha minato gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti e non possiamo piu’ essere limitati da un trattato che la Russia ha violato spudoratamente”, ha tuonato. Gli ha fatto eco la Casa Bianca, che pero’ ha lasciato aperta la porta a negoziati con la Russia sul controllo degli armamenti a condizioni di “verificabilita’ e applicabilita’”, cui potrebbe seguire “lo sviluppo, forse per la prima volta, di un’ottima relazione a livello economico, commerciale, politico e militare”.

Ora c’e’ una finestra di altri 180 giorni, che l’Onu ha chiesto di usare per risolvere le differenze, anche se prevale lo scetticismo. “Se la Russia non onora i suoi obblighi del Trattato Inf attraverso la distruzione verificabile di tutti i suoi sistemi missilistici 9M729, ritornando cosi’ alla piena e verificabile conformita’ prima che il ritiro degli Stati Uniti entri in vigore tra sei mesi, si assumera’ la piena responsabilita’ della fine del trattato”, ha ammonito la Nato, costretta a fare muro dopo essere stata colta di sorpresa dal primo annuncio di Trump lo scorso ottobre. A fare le spese della fine del trattato sarebbe prima di tutto l’Europa, che tornerebbe teatro di scontro tra le due superpotenze, peraltro sotto il monito di Trump a sborsare di piu’ per la difesa.

“Senza il trattato ci sara’ meno sicurezza”, ha twittato infatti il capo della diplomazia tedesca, Heiko Maas, mentre il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha ironizzato sul fatto che “ogni accordo con il governo degli Stati Uniti non vale l’inchiostro; persino i trattati ratificati dal Congresso”.

Ma la mossa del tycoon e’ anche asimmetrica, per avere mani libere in Asia e fronteggiare la minaccia della Cina, non vincolata dal trattato. Una mossa che arriva proprio mentre l’intelligence Usa ammonisce che Russia e Cina “non sono mai state cosi’ allineate dalla meta’ degli anni ’50”. Salvo accordi last minute con Mosca o accordi che coinvolgano anche Pechino, il rischio e’ quello di una nuova guerra fredda e di una corsa al riarmo, con Trump che vuole mantenere il primato tecnologico e militare sui rivali. Anche con le sue nuove armi spaziali, che renderebbero gli Usa invulnerabili.

Advertisement

Esteri

75 premi Nobel contro la conferma di Rfk a ministro sanità

Pubblicato

del

Oltre 75 vincitori del premio Nobel hanno firmato una lettera aperta che esorta i senatori a non confermare la nomina di Robert F. Kennedy Jr., sostenendo che la scelta del presidente eletto Donald Trump per guidare il dipartimento della sanita’ e’ dannosa per la salute pubblica. La missiva, ottenuta dal New York Times, segna la prima volta in tempi recenti che i premi Nobel si sono uniti contro un ‘nominee’ del governo, secondo uno di loro, Richard Roberts, vincitore del prestigioso riconoscimento per la medicina del 1993, che ha contribuito a redigere la lettera.

“Questi attacchi politici alla scienza sono molto dannosi”, ha detto. “Bisogna prendere posizione e proteggerla”, ha aggiunto. I firmatari della lettera hanno messo in dubbio che Kennedy, a loro dire “privo di credenziali” in medicina, scienza o amministrazione, sia adatto a guidare il dipartimento che tutela la salute pubblica e da cui dipende il finanziamento della ricerca biomedica. “Mettere Kennedy a capo del dipartimento mettera’ a repentaglio la salute pubblica e compromettera’ la leadership globale dell’ America nelle scienze della salute”, si legge nella lettera. Se confermata, l’opposizione di Rfk a strumenti di salute pubblica consolidati, come i vaccini e la fluorizzazione dell’acqua potabile, rappresenterebbe un rischio per il benessere del Paese, prosegue la missiva.

I premi Nobel hanno anche criticato la promozione di teorie cospirative da parte di Kennedy, che ha falsamente collegato i vaccini all’autismo, ha respinto la scienza consolidata che dimostra come l’Hiv causi l’Aids e ha suggerito, senza prove, che il coronavirus ha preso di mira o, a seconda, risparmiato alcuni gruppi etnici. I firmatari hanno inoltre notato che il nominee è stato un “critico belligerante” delle agenzie che rientrerebbero nella sua competenza, tra cui la Food and Drug Administration, i Centers for Disease Control and Prevention e i National Institutes of Health.

Continua a leggere

Esteri

Ceo ucciso, sospetto killer incriminato per omicidio a NY: si chiama Luigi Mangione, ha 26 anni

Pubblicato

del

Al sesto giorno di caccia all’uomo il cerchio si è chiuso attorno a Luigi Nicholas Mangione, 26enne rampollo di una abbiente famiglia italo-americana di Baltimora, ex studente di computer in un’università della Ivy League, ricercato per l’assassinio a Manhattan del ceo di UnitedHealthcare, Brian Thompson. Su segnalazione di un dipendente di un McDonald’s di Altoona, in Pennsylvania, la polizia ha fermato il giovane incensurato trovandolo in possesso di un passaporto americano e quattro documenti di identità falsi, tra cui uno col nome di Mark Rosario, lo stesso usato alla reception dell’ostello dell’Upper West Side dove il killer di Thompson si era fermato per dieci giorni prima del delitto.

“L’abbiamo preso incrociando i vecchi metodi della polizia con quanto offerto dalle nuove tecnologie”, ha detto la nuova commissioner della polizia di New York Jessica Tisch in una conferenza stampa con il sindaco Eric Adams che ne ha approfittato per riproporre il bando alle mascherine nei luoghi pubblici. Arrivato ad Altoona in Greyhound, Mangione aveva con sé una pistola con silenziatore simile a quella usata per uccidere Thompson: si tratterebbe di una ‘ghost gun’, un’arma invisibile ai controlli messa assieme con la stampante 3d. Il 26enne portava addosso anche un “manifesto”, hanno riferito fonti di polizia, ispirato a Theodore Kaczynski, il matematico di Harvard soprannominato Unabomber che negli anni ’90 tenne in scacco l’America con una catena di pacchi bomba.

Appassionato di intelligenza artificiale e videogiochi, Luigi ammirava e metteva il like sui social alle invettive dell’eco-terrorista contro gli antidepressivi (“Immagina una societa’ che assoggetta le persone a condizioni che li rendono infelici e poi da’ loro i farmaci per togliere la loro infelicita”) Due paginette scritte a mano, il documento contiene accuse alla “corporate America” e in particolare alle le mutue private che antepongono i profitti al bene degli assicurati. “Questi parassiti se la sono cercata… Mi scuso per ogni conflitto e trauma, ma andava fatto”, sono alcune delle frasi scritte da Mangione, che dice di aver agito da solo e di essersi autofinanziato.

Secondo il New York Post, il ragazzo era rimasto scioccato per come era stato trattato un parente malato. Tutto confermerebbe dunque quello che è stato fin dall’inizio il sospetto degli investigatori di un killer “arrabbiato” col sistema miliardario delle mutue: gli ultimi tasselli chiariscono le tre parole incise sui bossoli trovati sul luogo del delitto – “deny, delay, depose” evocatrici di quelle usate dalle assicurazioni come UnitedHealthcare per negare i rimborsi – così come i soldi finti del Monopoli (il gioco per molti simbolo dell’avidità delle corporation) ficcati nello zaino di marca abbandonato a Central Park assieme al giaccone firmato Tommy Hilfiger il 4 dicembre, la mattina stessa del delitto.

Osannato da molti in rete come un eroe popolare, Mangione, che ha studiato informatica a UPenn e il cui ultimo domicilio conosciuto è Honululu, è stato arrestato per reati locali legati al possesso della pistola: per essere incriminato per l’assassinio di Thompson deve essere estradato a New York. Emergono intanto altri particolari sulla sua formazione: la costosa scuola privata del Maryland per soli maschi, la famiglia negli Usa da tre generazioni col il nonno Nicholas, un costruttore figlio di emigranti, che aveva fatto fortuna con una rete di country club, case di riposo e una stazione radio, mentre un cugino di Luigi, Nino, e’ deputato repubblicano conservatore al parlamento statale del Maryland.

Continua a leggere

Esteri

Raid di Israele, distrutti principali siti militari siriani anche vicino Damasco

Pubblicato

del

Forti esplosioni sono state udite a Damasco, riporta un giornalista dell’agenzia di stampa Afp. Le esplosioni a Damasco sono state udite poco dopo che la ong Osservatorio siriano per i diritti umani aveva riferito di circa 250 raid israeliani in Siria dalla caduta del presidente Bashar al-Assad, domenica. Secondo la ong, da domenica Israele ha preso di mira le principali installazioni militari siriane in tutto il Paese con l’obiettivo di distruggerle. Israele “ha distrutto i principali siti militari in Siria” lanciando circa 250 attacchi dalla caduta del presidente Bashar al-Assad: lo riporta la ong Osservatorio siriano per i diritti umani. Secondo la ong – che ha sede nel Regno Unito e si avvale di una vasta rete di fonti in tutta la Siria – Israele ha bombardato aeroporti, radar, depositi di armi e munizioni e centri di ricerca militare, e ha danneggiato le navi della Marina siriana attaccando un’unità di difesa aerea vicino al grande porto di Latakia, nel nord-ovest del Paese.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto