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Cronache

Truffe alle assicurazioni, un mercato da 5/6 miliardi di euro che ha sepolto le Procure di mezza Italia

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Avvocati, giudici di pace, cancellieri. E poi la casalinga, il disoccupato o anche un lavoratore che semplicemente arrotonda di tanto in tanto con qualche falsa testimonianza per finti incidenti stradali. Sono loro i principali attori  della truffa assicurativa. Sono loro che recitano un ruolo importante nella pratica dei finti incidenti stradali. Nel 90 per cento dei casi l’imbroglio prevede una richiesta media 2 mila euro di risarcimenti alle assicurazioni. È un vecchio fenomeno criminale  in continua mutazione difficile da contrastare per le falle nel sistema di contrasto.
Da qualche anno, le denunce si concentrano soprattutto in 4/5 Procure in tutta Italia: Trieste, Treviso, Torino, Milano. Oramai ingolfate all’inverosimile. Qui hanno sede le principali compagnie e qui, dove si liquida il sinistro, spetta il dovere dei magistrati di indagare secondo un orientamento della Corte di Cassazione.
Con una trasformazione e ammodernamento dei casi.
Quello dell’incidente stradale resta una vena aperta nei conti delle assicurazioni. Ma già che le assicurazioni iniziano a stringere i cordoni dei risarcimenti – si parla di decine di milioni risarciti ogni anno ingiustamente -, ci si sposta anche su altri raggiri. Ora vanno di moda i “danni da bagnamento”, così vengono definiti in gergo “assicurate”. Finte infiltrazioni di intonaci, muri e tubazioni. Si può arrivare “anche a chiedere 50 mila euro di risarcimenti”. Anche qui c’è un trucco. L’emergenza di una perdita d’acqua mette a rischio l’abitabilità di una casa.E allora prima di eliminare la finta perdita d’acqua basta intingere un pennello in un secchio d’acqua, fare un po’ di foto buone e con la complicità di una impresa edile si può stilare una denuncia ben fatta con tanto di corredo fotografico.


Poi si va a rimborso non solo dell’intonaco. Ma ci sono i tubi e vari impianti da sostituire e allora è facile ad arrivare ad importi importanti per il risarcimento. Anche 40 mila euro. L’urgenza dei lavori, fa sì che l’ispettore assicurativo, quello che deve stabilire se davvero c’è stato danno, quando arriva trova tutto perfettamente in ordine, anzi tutto lindo e pinto, meglio che altre stanze. Se si viene presi, il rischio è una condanna a un anno di reclusione se si è incensurati, e al risarcimento dei danni. Alla procura di Milano, per fare fronte a questa sequele di denunce delle assicurazioni, è stato costituito un ufficio investigativo apposta per le indagini. Mediamente arrivano una decina di denunce al giorno, con punte anche di 12/15 nei momenti più caldi. Si calcola che in un anno, i fascicoli superino abbondantemente il numero di 2 mila, influendo sul lavoro complessivo delle inchieste, intorno al 5 per cento.

La truffa è talmente redditizia e poco rischiosa in termini di sanzioni penali che fa gola anche a clan della camorra. È anche capitato che la magistratura abbia scoperto come la truffa assicurativa fosse in mano a clan della malavita. E’ successo con i Casalesi, che investivano 100 e miravano a “fatturare” mille proprio attraverso falsi incidenti. Fino a qualche anno fa le denunce erano minori perché i controlli erano più morbidi. Da qualche mese, invece, anche grazie alla tecnologia, si riesce a scoprire che i titolari delle polizze sono veri professionisti. Capita che di fronte a una denuncia il titolare della polizza ritiri la richiesta danni. Nei processi succede mediamente nel 40 per cento dei casi – spiega ancora l’ avvocato Grasso -. Se l’assicurazione viene rimborsata, il reato si estingue. In altri casi, invece, si scopre come chi ha denunciato l’incidente stradale non sia il titolare dell’assicurazione che, chiamato in aula non riconosce la richiesta danni. Anche recentemente in Campania hanno indagato una serie di avvocati che avviavano pratiche per ottenere rimborsi attraverso identità vere, ma del tutto estranee ai raggiri.

Ma quanto costano i finti sinistri? Quanto spendono in truffe le compagnie di assicurazioni? Quella rappresentata di norma è solo la punta dell’iceberg. Alla fine del 2017 l’importo a riserva per le cause civili di primo grado è pari a 5,2 miliardi di euro, di cui il 47% è riferito a cause relative a sinistri con anno di accadimento ultraquinquennale. Tenuto conto che l’ammontare complessivo dei risparmi ottenuti dalle sventate frodi nell’esercizio 2017, è pari ad un importo di 246,8 milioni di euro (solo l’1,9% sui premi raccolti), se solo si riuscisse a migliorare questo vitale dato, le compagnie risparmierebbero ulteriori centinaia di milioni di euro, a vantaggio della costruzione della tariffa RCA e conseguente riduzione dei premi assicurativi.

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Cronache

Violentata fuori dalla discoteca, due fermati

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La serata di Ferragosto con gli amici in discoteca, i balli, i drink in uno dei locali più frequentati nella zona della movida estiva di Genova. E poi il buio e la brutalità di due sconosciuti, poco più che ragazzini. L’incubo di Gaia (nome di fantasia per tutelare la vittima) è finito sabato pomeriggio quando la squadra mobile genovese ha fermato i due autori della violenza sessuale di gruppo e delle lesioni aggravate. Si tratta di due italiani, di origini albanesi e capoverdiane, di 21 e 19 anni. Il più grande aveva comprato da poco due biglietti aerei. Sarebbe partito dall’Italia verso la Spagna per poi andare in Francia. Un giro troppo “articolato” che ha spinto la pm Valentina Grosso a emettere un decreto di fermo.

Lo stupro, è emerso, è stato ripreso con i telefonini. Tutto inizia la notte del tra il 14 e il 15 agosto. Gaia è con un gruppo di amici a ballare e bere in discoteca. I due ragazzini tentano di approcciare il gruppo, girano intorno alle donne. Ma vengono respinti più volte. A notte fonda la donna decide di tornare a casa. Non si accorge che i due la seguono e quando è fuori dal locale il più grande l’afferra per un braccio, fa un cenno col capo al suo amico, e insieme la trascinano poco lontano, in un luogo appartato e un po’ isolato. Gaia prova a reagire, ma i due hanno il sopravvento. La lasciano poi dolorante, in lacrime. A sentire i lamenti è un passante che la trova a terra rannicchiata.

Chiama i soccorsi e la donna viene portata all’ospedale Galliera, centro specializzato nelle violenze sulle donne. Viene attivato il protocollo rosa e le prime visite accertano quello che ha subito, mentre non è stato possibile ancora chiarire se sia stata anche drogata. Gli agenti della squadra mobile raccolgono poi il suo racconto. Gli investigatori partono dalle telecamere di videosorveglianza del locale e della strada e, anche grazie alle varie testimonianze, riescono a risalire al più grande. E’ già conosciuto perché autore di alcune rapine e scippi mentre il più piccolo è un operaio che è stato licenziato da poco. E’ la stessa Gaia che li riconosce poi tra una serie di fotografie che gli agenti le mostrano. Ma quando gli inquirenti scoprono che uno dei due sta lasciando l’Italia, le indagini accelerano e per i due scatta l’arresto. A inchiodarli sono state anche le immagini, durissime, di quella terribile notte riprese dai telefonini. I ragazzi sono adesso nel carcere femminile di Pontedecimo dove c’è una sezione dedicata ai sex offender.

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Cronache

Nessuna nuova prova per Olindo e Rosa e nessun complotto

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Non ci sono nuove prove nelle richieste di revisione della condanna di Olindo Romano e Rosa Bazzi, la coppia a cui per l’eccidio dell’11 dicembre del 2006, in cui furono uccise a sprangate e coltellate quattro persone, fu inflitto il carcere a vita. Lo hanno stabilito i giudici della Corte d’appello di Brescia, dopo le udienza in cui l’istanza era stata discussa l’estate scorsa al termine delle quali era sta dichiarata inammissibile.

Non esiste la pista alternativa, prospettata dalla difesa, della faida per lo spaccio di droga: “L’ipotetico movente legato a un regolamento di conti nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti è stato invano approfondito nella prima fase delle indagini e non ha trovato alcun riscontro”, scrive la Corte in 88 pagine. Nemmeno vi è stato un complotto. come adombrato dagli imputati, che avrebbe portato alla falsità di prove, o meglio della loro formazione. Oltre a ripercorrere come queste prove si sono formate, i giudici sottolineano che i precedenti gradi di giudizio hanno escluso, per esempio a proposito delle confessioni di Olindo e Rosa “qualsiasi illegittimità nell’operato dei pubblici ministeri che raccolsero le confessioni, registrandole”.

Vi è poi una questione che, per i giudici, spazza ogni dubbio: la testimonianza di Mario Frigerio, sopravvissuto miracolosamente alla strage (morì alcuni anni dopo) che la difesa riteneva viziata anche dall’inalazione del fumo che si sprigionò dopo che gli assassini appiccarono l’incendio all’appartamento in cui vivevano Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, due anni, entrambi uccisi, e in cui morirono anche la madre della donna, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Secondo i legali, il nome di Olindo sarebbe stato suggerito a Frigerio quando fu sentito in ospedale dal luogotenente dei carabinieri di Erba Luciano Gallorini. Per la Corte, però, “il dato dirimente con cui la difesa non si confronta è che la prova che ha concorso a formare il giudicato di condanna non è costituita dalla deposizione o dall’annotazione di Gallorini ma dalla testimonianza resa in dibattimento da Frigerio” .

La richiesta presentata dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser è “prima ancora che carente sotto il profilo della novità della prova” inammissibile “per difetto di legittimazione del proponente” che era “privo di delega relativamente alla materia delle revisioni, riservata, secondo il documento organizzativo dell’ufficio, all’avvocato generale”. Lo stesso ufficio, trasmettendo la richiesta a Brescia, aveva chiesto l’inammissibilità. Dai giudici, infine, un’altra bocciatura di metodo: “Poiché una parte delle prove presentate sono rappresentate da interviste, la natura di documenti di tali interviste non vale a conferire loro il rango di prova ammissibile in sede processuale. Diversamente dal testimone escusso in giudizio, il soggetto intervistato non ha l’obbligo di dire la verità e non assume alcun impegno in tal senso. Al contrario è sicuramente condizionale dalla pubblicità che il mezzo garantisce e tende generalmente a compiacere l’intervistatore”. E non vi è nessuna tutela di fronte a domande “suggestive, insinuanti e insidiose”.

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Ambiente

Capodichino, sequestrati coralli portati illegalmente dalla Turchia

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Nell’ambito delle attività di contrasto ai traffici illeciti, i finanzieri della Compagnia di Capodichino, in collaborazione con i funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – 1 SOT Napoli Capodichino, hanno intercettato un cittadino italiano proveniente da Istanbul che trasportava illegalmente 20 esemplari di corallo. Il materiale era privo della documentazione richiesta dalla Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (CITES).

Durante i controlli, i coralli rinvenuti nel bagaglio del passeggero sono risultati appartenenti all’Ordine “Scleractinia Bourne”, classificazione nell’Appendice II della Convenzione CITES e nell’Allegato B del Regolamento CE 338/97. La mancanza di autorizzazioni valide per l’importazione ha portato al sequestro degli esemplari.

L’uomo è stato sanzionato con una multa che può variare da 3.000 a 15.000 euro, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 3, della Legge n. 150 del 07/02/1992. Il sequestro dei coralli è avvenuto in linea con le normative vigenti per la protezione delle specie a rischio di estinzione.

Le attività di controllo messe in atto dagli enti coinvolti mirano a garantire il rispetto delle regole internazionali per la tutela della fauna e della flora selvatiche, continuando a monitorare e reprimere i traffici illegali che minacciano gli ecosistemi.

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