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Cronache

Trovato in un burrone il corpo bruciato della 17enne Roberta Siragusa: i carabinieri ascoltano il fidanzato

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Il corpo senza vita di una giovane è stato trovato in un burrone nella zona di Monte San Calogero a Caccamo, in provincia di Palermo. Sono intervenuti i vigili del fuoco e le indagini sono condotte dai carabinieri e coordinate dalla procura di Termini Imerese. Secondo i primi accertamenti, il cadavere sarebbe parzialmente bruciato. E’ stato un giovane di 19 anni a presentarsi in caserma e portare i militari sul luogo dove e’ stata trovato il corpo. La ragazza trovata morta ha 17 anni, due in meno del 19enne che ha portato i militari sul posto. Sono intervenuti i vigili del fuoco e i sanitari del 118. Sono arrivati anche gli uomini della scientifica per eseguire i rilievi, il medico e legale e il pm di turno della procura di Termini Imerese.

E’ di Roberta Siragusa 17 anni di Caccamo il corpo senza vita trovato nel burrone. I carabinieri sono stati portati in quella zona dal fidanzato della ragazza Pietro Morreale 19 anni anche lui di Caccamo. Sono intervenuti i vigili del fuoco e le indagini sono condotte dai carabinieri e coordinate dalla procura di Termini Imerese.

Pietro Morreale il 19enne che ha fatto ritrovare il corpo della fidanzatina, Roberta Siracusa di 17 anni, la cui scomparsa era stata denunciata ieri dai genitori, parzialmente bruciato in un burrone a Caccamo (Palermo) appare come un ragazzino che sembra piu’ giovane della sua eta’, capelli corti, volto pulito, amante del Kick boxing. Su Facebook ha 2925 amici e tante foto soprattutto selfie, qualcuna con la sorella e la vittima. Sul profilo social di Morreale sono apparsi centinaia di commenti di gente che invoca la sua sofferenza e la sua morte per il gesto che si sospetta possa aver compiuto. Le sue foto sono accompagnate da frasi del tipo “Ho smesso di credere che piu’ insegui piu’ ottieni, come ho smesso di credere che piu’ dai e piu’ ricevi”, “La bellezza rimane solo uno schizzo. E’ il carattere a rendere una persona un capolavoro”, “Ho scelto il male perche’ il bene era banale”. La pagina Facebook di Roberta Siragusa mostra poche foto di una bella ragazzina mora e un riquadro bianco con scritto “senza limiti”. Due giorni fa Pietro Morreale, sotto una foto messa da Roberta, aveva scritto “Amore mio biedda” e lei aveva risposto con un cuore.

Nonostante la zona rossa in Sicilia, secondo indiscrezioni raccolte in paese i due fidanzati Pietro Morreale 19 anni e Roberta Siragusa 17 anni, trovata morta stamane in un burrone, sarebbero stati insieme ad alcuni amici in una villetta nella zona Monte Rotondo a Monte San Calogero a CACCAMO. Lo ha detto anche il sindaco Nicasio Di Cola. Nella villetta Pietro e Roberta, avrebbero trascorso la serata. Poi secondo alcune indiscrezioni i due avrebbero litigato per gelosia. Una scenata del 19enne nei confronti della ragazza. Su questi passaggi stanno ancora indagando i carabinieri per cercare riscontri. La 17enne ieri sera non era tornata a casa e i genitori avevano presentato denuncia ai carabinieri e la procura per i minorenni era stata allertata. Il mistero sulla sparizione della ragazza si e’ concluso questa mattina quando Morreale si e’ presentato ai carabinieri. Ha portato i militari nella zona dove aveva lasciato il corpo della giovane. Morreale deve essere ancora sentito dal pm di Termini Imerese. Il padre di Pietro si e’ presentato in caserma con un avvocato.

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Torna a processo l’avvocato di Ischia, Ciro Rizzotto: è accusato di truffa e abusivismo finanziario

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Il prossimo 28 maggio, l’avvocato Ciro Rizzotto, 51enne di Ischia, tornerà in aula presso il Tribunale di Milano per affrontare nuove accuse di truffa aggravata dal danno di rilevante entità e abusivismo finanziario. Il pubblico ministero Francesco Cajani sostiene che l’indagato abbia proposto ad almeno 133 persone offese operazioni di investimento per l’acquisto, la ristrutturazione e il frazionamento di immobili tra Milano e la Brianza, senza però restituire i capitali raccolti. La cifra contestata ammonta ad almeno 1,5 milioni di euro, ma il dissesto della Hub srl, la società utilizzata per l’operazione, potrebbe nascondere un ammanco ancora maggiore.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che ogni imputato o indagato è da considerarsi innocente fino a sentenza definitiva, secondo i principi garantisti della giustizia italiana.

I precedenti penali e la sospensione dall’albo

Fra sentenze provvisorie, definitive e provvedimenti di cumulo pena emessi dalla Procura generale di Napoli, Rizzotto risulta già condannato per truffa, peculato, calunnia e bancarotta fraudolenta. Inoltre, il Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense di Napoli ha deciso di sospenderlo dall’esercizio della professione per cinque anni, a seguito delle numerose denunce e segnalazioni ricevute sulla stampa. Anche in questo caso, tuttavia, va ricordato che il principio di presunzione di innocenza resta centrale fino all’eventuale conferma delle sentenze nei tre gradi di giudizio.

Le accuse e il processo in corso

Secondo il pm Cajani, Rizzotto avrebbe utilizzato artifici e raggiri, nascondendo la rivendita degli immobili e falsificando gli atti di acquisto originario, facendoli apparire come regolarmente avvenuti. Tra le contestazioni mosse al legale figura anche l’aggravante della recidiva reiterata e specifica.

L’ultima vicenda giudiziaria e la prescrizione

Negli scorsi mesi, la Corte d’Appello di Milano ha stabilito il non doversi procedere per intervenuta prescrizione in un caso che ha coinvolto nuovamente Rizzotto e la sua collaboratrice Lucia Losacco, una procacciatrice d’affari presentata ai clienti come avvocato. I due erano stati condannati in primo grado a un anno di reclusione per una truffa immobiliare del 2016, ai danni di una coppia pugliese che cercava un appartamento per la figlia studentessa all’Università Cattolica di Milano. In merito alla vicenda, i giudici del collegio Anelli-Lai-D’Addea hanno scritto: “La elevata dignità della professione forense non è compatibile con il brigare da faccendieri”.

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Lettera protesta di 336 archivisti “esodati” da assunzione a Mic

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Sono in 336 ed hanno vinto, o sono stati dichiarati idonei, l’ultimo concorso per Funzionari Archivisti di Stato del Ministero della Cultura: una procedura concorsuale avviata due anni fa e che ancora non ha avuto come suo naturale esito le assunzioni, più volte annunciate come imminenti. Con l’ultima tappa che si è svolta a gennaio: la prima il 9 quando una Pec della Direzione Generale Organizzazione del Mic li avvisava della presa di servizio “inderogabile il 17 febbraio 2025” con relativa richiesta di avvio delle procedure di dimissioni dai propri posti di lavoro da parte degli interessati.

La seconda, datata il 23 gennaio, in cui veniva invece comunicata la sospensione della graduatoria, con rinvio “a data da destinarsi” delle assunzioni e, conseguenza, con la richiesta di revoca delle dimissioni da parte degli stessi interessati. Ora 124 di questi hanno sottoscritto una lettera agli organi competenti per sollecitare una celere risoluzione della procedura e l’assunzione immediata di vincitori e idonei e in cui chiedono di “sbloccare finalmente una situazione giunta al paradosso, che non ha mancato di provocare anche danni materiali a una platea di persone al momento non quantificabile”.

Nella lettera gli idonei e i vincitori del concorso annunciano infatti la richiesta di danni economici derivanti dai mancati redditi e dall’ interruzione della continuità contributiva per chi non ha ottenuto la revoca delle dimissioni, dalla perdita di incarichi da parte dei liberi professionisti e dalla perdita di stipendi percepibili con annesse anzianità di servizio nella nuova mancata posizione lavorativa. La quantificazione economica dei danni, avvertono nella lettera, “sarà calcolata tenendo fermi i parametri temporali della data iniziale del 9 gennaio, da quando siamo stati indotti a prendere le misure per rispettare la data della decorrenza dell’assunzione, sino alla data in cui avverrà l’effettiva presa di servizio, riservandoci di ricorrere alle opportune vie legali per il loro risarcimento”.

Chi, infatti, alla data della comunicazione, lavorava come libero professionista con partita iva ha proceduto a chiuderla col nuovo anno fiscale; chi lavora da precario nel mondo della scuola ha scelto di rifiutare supplenze di lunga durata sempre perché ha creduto nel rapido svolgimento della procedura di assunzione e chi, il 9 gennaio, aveva un contratto di lavoro dipendente ha presentato le dimissioni con ragionato anticipo. Così, al 23 gennaio, data dell’avviso in cui, oltre a rinviare la data della presa di servizio si intimava di revocare le dimissioni, solo alcuni hanno potuto farlo. Tutti gli altri, tutti quelli che si sono dimessi da un posto di lavoro nel privato, non hanno potuto in alcun modo revocarle, trovandosi di fatto disoccupati e senza possibilità di percepire forme di sostegno del reddito quali la Naspi.

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Torture e sevizie, l’inferno dei prigionieri ucraini

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Dopo l’inferno sui campi di battaglia l’inferno delle carceri russe, dove l’ordine è “non avere pietà”: è la sorte che attende i prigionieri di guerra ucraini reclusi nei penitenziari dove le violenze sono sistematiche e le torture all’ordine del giorno. A ricostruire il quadro sono stati alcuni disertori russi, due ufficiali e un medico, ora inseriti in un programma di protezione testimoni dopo essere riusciti a lasciare la Russia. E a raccontare alla Corte penale internazionale le torture e le violenze a cui hanno assistito, come rivelato dal Wall Street Journal. Sin dall’inizio dell’invasione russa tre anni fa, a Mosca era stata dettata la linea da tenere con i prigionieri ucraini: “Siate crudeli, non abbiate pietà”, è stato l’input impartito dal generale Igor Potapenko alle forze d’élite incaricate di gestire le prigioni nella regione di San Pietroburgo, illustrando il piano d’azione deciso al Cremlino.

“Nessuna regola, nessuna limitazione alle violenze”, sottolineava il militare, spiegando che nelle varie strutture dedicate ai prigionieri ucraini le telecamere interne sarebbero rimaste spente. Da allora si è scatenato l’incubo: scosse elettriche sui genitali, botte con vari strumenti per sperimentare quale materiale fosse il più doloroso e addirittura il rifiuto di offrire cure mediche così da favorire la cancrena e costringere alle amputazioni. Un ex prigioniero, Pavel Afisov, catturato dai russi a Mariupol nei primi mesi di guerra, ha passato due anni e mezzo in carcere in Russia prima di essere liberato.

E’ passato da una struttura all’altra, il Wsj ha contato nove penitenziari dove vengono reclusi i prigionieri ucraini, e ogni volta veniva picchiato più duramente. In quello nella regione di Tver, a nord di Mosca, è stato costretto a cantare nudo l’inno russo. A ogni parola sbagliata botte, bastonate e scosse elettriche. Le forze speciali dei servizi carcerari russi hanno compiti particolari soprattutto in chiave antisommossa. Davanti ai prigionieri, hanno raccontato i disertori russi, si presentano sempre con il passamontagna e anche grazie alle rotazioni mensili nelle strutture si considerano in possesso di una sorta di impunità de facto che apre le porte a ogni tipo di violenze. I teaser “venivano usati così spesso, soprattutto nelle docce, che gli agenti si lamentavano del fatto che le batterie si scaricavano troppo velocemente”, scrive il Wsj citando un altro resoconto. “Picchiavano i prigionieri fino a spezzare i manganelli”, ha raccontato un testimone. L’Onu ha più volte denunciato torture e violenze ai danni dei prigionieri, sia da parte russa che ucraina, e la Cpi potrebbe ora aver avviato un’indagine specifica dopo le ultime drammatiche denunce.

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