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Cronache

Trovato impiccato ad un albero, la moglie accusa: non è un suicidio, l’hanno ucciso

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Non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio e ora chiede alla magistratura di trovare chi ha ucciso suo marito, il 44enne Vito Mazzi, di Alberobello, trovato impiccato a un albero nelle campagne di Martina Franca (Taranto) il 18 novembre 2018. Per questo sua moglie, Antonella Sumerano, ha depositato una denuncia-querela, finita sulla scrivania della pm Ida Perrone, con cui si chiede di indagare per omicidio e si fornisce uno spunto investigativo che legherebbe la morte dell’uomo a possibili debiti contratti per la sua dipendenza dal gioco d’azzardo. Sulla morte di Mazzi la procura di Taranto ha aperto una inchiesta ma le prime valutazioni investigative si sono subito indirizzate verso l’ipotesi del suicidio. E a circa due mesi dai fatti, Sumerano insiste perche’ si indaghi sulle “reali cause” della morte di suo marito. Mazzi aveva anche problemi di deambulazione dovuti a un incidente domestico avvenuto nel luglio precedente la sua scomparsa e, secondo sua moglie, non si sarebbe potuto arrampicare da solo sull’albero per impiccarsi. “Alla luce degli evidenti problemi deambulatori di cui era affetto mio marito nei giorni precedenti la sua scomparsa – afferma Sumerano, assistita dall’avvocato Eugenio Pini – si ritiene altamente improbabile, per via delle modalita’ con cui il fatto si sarebbe verificato, che lo stesso sia riuscito a porre in essere intenzionalmente il tragico gesto”, ovvero “che sia riuscito ad arrampicarsi su un albero di altezza pari a circa 2,50 metri pur soffrendo di una tendinite acuta che lo costringeva, il piu’ delle volte, al riposo”. “Vito – ricostruisce la difesa – era da tempo affetto da una grave dipendenza dal gioco d’azzardo, e molto probabilmente aveva contratto ingenti debiti, in conseguenza dei quali potrebbe essere stata cagionata dolosamente la sua morte”. E’ su questo punto che il legale della signora Sumerano, con il contributo tecnico della criminologa e psicopatologa forense Diana Papaleo, chiede che vengano fatti approfondimenti. “Dai sopralluoghi effettuati assieme all’avvocato Pini – evidenzia la criminologa – l’ipotesi di suicidio e’ da escludere perche’ ci sono troppe incongruenze: ci si chiede come abbia potuto agire da solo vista la tendinite al piede che gli impediva di camminare, e la dimensione e la forma dell’albero”. “Tutto – conclude – lascia intravedere l’ipotesi di omicidio”.(

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Cronache

Giallo a Napoli: Nunzia trovata morta in casa a Marianella, ferita alla testa e una bottiglia rotta accanto al corpo

Mistero a Napoli per la morte di Nunzia Cappitelli, trovata senza vita in casa a Marianella con una ferita alla testa. Indagini in corso per chiarire se si tratti di un delitto o di un incidente.

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Un mistero ancora tutto da chiarire scuote la periferia nord di Napoli. Nunzia Cappitelli, 51 anni, è stata trovata senza vita nel suo piccolo appartamento di piazza Sant’Alfonso a Marianella, un’abitazione semplice, al piano terra, con una verandina e pochi arredi essenziali.

Due sono le certezze: una profonda ferita alla testa e una bottiglia di vetro in frantumi accanto al corpo. Tutto il resto resta avvolto nel dubbio: femminicidio o incidente domestico?

Gli investigatori non escludono nessuna ipotesi. Le prime analisi saranno affidate all’autopsia, già disposta dalla magistratura, che dovrà chiarire le cause esatte del decesso.


Il ritrovamento e i primi sospetti

A scoprire il corpo è stato un conoscente della donna, che nel pomeriggio — intorno alle 15 — si è recato a casa sua e ha trovato la porta socchiusa. Dopo averla chiamata senza ricevere risposta, si è trovato di fronte alla scena terribile: Nunzia era riversa a terra, priva di sensi.
Ha subito chiamato i soccorsi, ma i medici del 118 non hanno potuto far altro che constatarne la morte.

Sul posto sono intervenuti la Squadra Mobile di Napoli e gli uomini del commissariato di Chiaiano, coordinati dalla pm Serio. Nell’appartamento, la polizia scientifica ha lavorato per ore, raccogliendo campioni e rilievi. Solo in serata il corpo è stato trasferito all’obitorio.


Il compagno e le ombre del passato

Tra le persone ascoltate c’è anche il compagno della vittima, un uomo più giovane di lei e con alle spalle denunce per maltrattamenti.
L’uomo, già interrogato, verrà sentito di nuovo nelle prossime ore. Saranno gli esiti dell’autopsia a stabilire se la ferita alla testa sia compatibile con una caduta o con un colpo violento.


Il quartiere sconvolto

A Marianella, quartiere popolare ma con ancora il respiro di un piccolo paese, la notizia ha lasciato sgomenti tutti.
Nunzia, originaria della zona, si era trasferita da pochi mesi in quella casa che aveva sistemato da sola.
Era una donna riservata, educata, molto legata alla parrocchia dei Santi Giovanni e Alfonso, dove il parroco don Pasquale Fioretti la ricorda con affetto:
“Era una persona tranquilla, desiderosa di integrarsi nella comunità. Quando veniva in chiesa amava scambiare qualche parola. L’ho vista l’ultima volta a pranzo, poi nel pomeriggio ho saputo della tragedia”.


Un mistero ancora aperto

Nel quartiere nessuno ricorda di aver mai visto il compagno di Nunzia. Tutti la descrivono come una donna solitaria ma gentile, che viveva con discrezione e cercava una nuova serenità.

Oggi, però, la sua morte apre uno dei casi più oscuri e inquietanti degli ultimi mesi a Napoli.
E solo i risultati dell’autopsia potranno dire se Nunzia Cappitelli sia stata vittima di un delitto o se la sua fine sia legata a un tragico incidente domestico.

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Cronache

Giallo a Napoli, donna trovata morta in casa a Piscinola: indaga la polizia

Mistero a Piscinola: Nunzia Cappitelli, 50 anni, è stata trovata morta nel suo appartamento con una ferita alla testa. Gli inquirenti non escludono alcuna ipotesi.

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Si chiamava Nunzia Cappitelli, la donna di 50 anni trovata morta nella sua abitazione nel quartiere Piscinola, a Napoli. La vittima, nata nel 1974, era molto conosciuta nel rione e frequentava regolarmente la parrocchia della zona.

La scoperta è avvenuta nelle scorse ore: Nunzia è stata rinvenuta senza vita all’interno del suo appartamento, con un’unica ferita alla testa. Sul posto sono intervenuti gli agenti della Polizia di Stato e la scientifica, che hanno effettuato rilievi per diverse ore, alla presenza del magistrato di turno.


Tutte le ipotesi ancora aperte

Gli investigatori mantengono il massimo riserbo sull’accaduto. Al momento nessuna pista viene esclusa: si indaga sia su una possibile morte violenta, sia sull’ipotesi di un incidente domestico. Sarà ora l’autopsia a stabilire le reali cause del decesso e a chiarire la natura della ferita che la donna presentava alla testa.

Il compagno di Nunzia Cappitelli è stato già sentito dagli investigatori e, secondo quanto trapela, sarà nuovamente ascoltato nelle prossime ore per approfondire la ricostruzione dei fatti.


Il quartiere sotto choc

La notizia della morte di Nunzia ha profondamente scosso la comunità di Piscinola, dove la donna era conosciuta come una persona tranquilla e molto legata alla vita di quartiere. Parroco e fedeli hanno espresso cordoglio e incredulità per una vicenda che resta avvolta nel mistero e che solo le indagini potranno chiarire.

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Cronache

Le querele temerarie e il giornalismo delle marchette: così l’Italia ha spento la libertà di stampa

In Italia la libertà di stampa muore ogni giorno, soffocata da querele temerarie e da editori che trasformano i giornali in fabbriche di marchette e contenuti a pagamento.

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Altro che mafia, altro che minacce o scorte. Il giornalismo libero in Italia lo stanno uccidendo le querele temerarie. Quelle milionarie, depositate da “signori perbene” che si indignano se osi raccontare i loro affari torbidi, le loro commistioni con il potere, i loro rapporti con la politica o la pubblica amministrazione.
Politici, imprenditori, professionisti, banchieri, perfino magistrati — sì, magistrati — che usano la giustizia come un’arma per intimidire, fiaccare, annientare. Ogni volta che accade, non è solo un giornalista a essere colpito. È un pezzo di democrazia che si spegne.

Le querele bavaglio

Io, in trent’anni di giornalismo, ne ho contate decine. Ho passato migliaia di ore nei tribunali, da imputato, mai da condannato.
Ho dovuto difendermi da accuse ridicole, pretestuose, costruite con la precisione di chi conosce bene le falle del sistema.
In un processo sono finito persino identificato con il codice fiscale di Massimo Giletti e la data di nascita di Giuliano Ferrara. In un altro, un signore con la toga ha pensato bene di denunciarmi in tre procure diverse, chiedendomi pure 250 mila euro di danni civili nel tribunale della città in cui lui risiede e lavora.

Ti difendi, sì. Ma intanto spendi soldi, tempo, salute. Ti logori.
E intanto, chi ti ha querelato gode: l’obiettivo è raggiunto. Hai smesso di scrivere di lui. Ti sei zittito.

L’autocensura: il virus che ha infettato la stampa

Oggi i giornalisti non hanno più bisogno di essere censurati. Si censurano da soli.
Non per vigliaccheria, ma per stanchezza, per paura, per sopravvivenza.

E gli editori? Non fanno più giornali per raccontare il Paese, ma marchette eleganti travestite da articoli, comunicati stampa mascherati da inchieste, spot pubblicitari infilati tra le cronache.
È tutto evidente, alla luce del sole. Sulle stesse pagine dove un tempo trovavi inchieste che facevano tremare i palazzi del potere, oggi leggi interviste pagate ai colossi del tabacco per illustrare i nuovi “modelli sostenibili di consumo” o peana ai Ceo delle multinazionali del farmaco, settore che oggi foraggia alla grande il neo-giornalismo delle marchette.

E non è un incidente, ma un sistema perfetto.
Dentro le grandi case editrici dei giornali e dei magazine italiani convivono due aziende parallele: da un lato la redazione, che dovrebbe fare informazione; dall’altro una macchina societaria opaca, che non si occupa di pubblicità (per quella c’è la concessionaria), ma di business di lobby travestito da giornalismo.

Queste strutture organizzano corsi per manager, creano ranking e certificazioni fasulle su pari opportunità, gender gap, sostenibilità e altre questioni serie, svuotate di senso e trasformate in scemenze a pagamento.
Un mondo dove la reputazione si compra, la visibilità si vende e la verità non interessa più a nessuno.

I mafiosi e i perbene

Tutta quella retorica sui “giornalisti minacciati dalle mafie” suona ormai come una litania ipocrita.
Le mafie vere fanno paura, certo. Ma almeno rischiano qualcosa.
Le vere minacce oggi arrivano dai mafiosi in giacca e cravatta, quelli che non urlano ma ti soffocano con atti giudiziari.

Il giornalismo come il Csm di Palamara

Il giornalismo italiano oggi somiglia al Csm raccontato da Palamara: mercanteggi, compromessi, carriere costruite su rapporti opachi e silenzi calcolati.
Con una differenza: nel Csm si barattavano nomine, nel giornalismo si baratta la dignità.
E così il “cane da guardia” della democrazia si è trasformato nel cane da salotto dei potenti, con il guinzaglio corto e la ciotola piena.

Le querele manganello e le leggi che mancano

Le querele temerarie sono la versione giudiziaria del manganello: non ti spaccano la testa, ma ti spaccano la vita.
Eppure il Parlamento resta immobile. Servirebbe una legge di civiltà: punire severamente chi abusa della giustizia per intimidire un giornalista, prevedere risarcimenti automatici e sanzioni per chi usa il tribunale come clava.

Senza giornalismo libero, non c’è democrazia

Non si tratta di difendere una categoria — molti non meritano nemmeno di essere chiamati giornalisti — ma di difendere la qualità della democrazia.
Un Paese senza stampa libera è un Paese cieco.
E in Italia, da troppo tempo, chi dovrebbe accendere la luce preferisce restare al buio. O peggio ancora, vendere l’interruttore.

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