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Tour in Svizzera per suicidarsi a pagamento, 700 italiani hanno scelto di togliersi la vita in cliniche specializzate

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“Il divieto al suicidio assistito ha portato oltre 700 italiani a recarsi in Svizzera, pur di cessare le loro sofferenze”. E questo cosiddetto ‘suicide tourism’ non solo “è in crescita”, ma è una fonte di discriminazione tra cittadini, perchè “accessibile solo agli abbienti, in quanto il costo supera i 10mila euro”. A spiegarlo è Maurizio Mori, ordinario di Filosofia morale all’Universita’ di Torino e presidente della Consulta di Bioetica, a margine della presentazione dell’appello degli esperti alla Corte Costituzionale, in vista dell’udienza del 24 settembre. “Nessuna persona deve essere condannata a vivere in condizioni di sofferenza che ritiene inaccettabili, e lo Stato, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, deve aiutare queste persone rispettando la loro volontà e dignità”, afferma Roberto Grendene, segretario dell’Unione degli Atei (Uaar) e tra gli organizzatori del convegno “Per il diritto al suicidio medicalmente al Suicidio, un’urgenza non più rimandabile”, ospitato oggi presso la Sala Isma del Senato.

“L’etica del medico impone la compassione – ha aggiunto Carlo Flamigni, professore emerito di ginecologia ed ostetricia dell’Università di Bologna – e nella relazione di cura deve guidarci la sofferenza del paziente, comunque si manifesti e in qualsiasi modo venga espressa. Pertanto, mettere in dubbio la liceità di aiutare un paziente a lasciare una vita fatta solo di sofferenza, non ha motivo di essere”.

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Tenta truffa anziana fingendosi carabiniere, lei lo fa arrestare

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“Suo figlio ha investito una donna incinta. Ora è in stato di fermo in caserma”. Con questa scusa ha tentato di truffare un’anziana spacciandosi per un maresciallo dei carabinieri, ma è stato scoperto e arrestato. La donna di 79 anni ha ricevuto una chiamata sul telefono fisso da parte del sedicente maresciallo dallo spiccato accento napoletano, che le comunicava che il figlio era nei guai per aver investito una donna sulle strisce pedonali e che, per scagionarlo, sarebbe stato necessario il pagamento di una ingente somma di denaro – nello specifico di 10.000 euro – a titolo di rimborso per un intervento chirurgico a cui la donna si sarebbe dovuta sottoporre. Per convincerla il truffatore le ha detto di aver avuto già contatti con suo marito e che quest’ultimo gli aveva rivelato di conservare i soldi in casa dietro ad un mobile.

Una ricostruzione, però, che ha insospettito l’anziana. Così, la donna, con la scusa di recuperare il denaro, rimanendo costantemente in contatto telefonico con l’uomo è scesa a chiedere aiuto al portiere dello stabile che ha contattato il Nue 112. Quando il truffatore, nei panni del nipote dell’avvocato, si è recato a far visita alla vittima, ad accoglierlo c’erano i poliziotti del II Distretto di Salario Parioli pronti ad arrestarlo. L’uomo – trentenne napoletano – è ora gravemente indiziato di tentata truffa aggravata.

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Morto nel parcheggio, archiviazione per sei carabinieri a Modena

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Il Gip del tribunale di Modena Barbara Malavasi ha archiviato il fascicolo a carico di sei carabinieri finiti indagati dopo la morte del 31enne tunisino Taissir Sakka, trovato cadavere la mattina del 15 ottobre 2023 in un parcheggio in via dell’Abate. Per l’episodio un carabiniere rispondeva di morte come conseguenza di altro reato, mentre cinque colleghi militari di lesioni provocate al fratello del 31enne. Il giudice ha accolto la richiesta della Procura, sciogliendo la riserva dopo l’udienza di giovedì, fissata per discutere l’opposizione dei difensori del fratello del tunisino, avvocati Fabio Anselmo e Bernardo Gentile. Nell’archiviazione si sottolinea come la consulenza medico legale abbia segnalato che Sakka morì per una insufficienza cardiaca improvvisa legata ad una patologia, che era positivo ad alcol e droga e come non avesse segni di violenza in grado di determinare il decesso.

Prima di morire era stato sottoposto ad un controllo dei carabinieri, dopo che era stata segnalata una lite in un circolo di Ravarino: qui i militari trovarono i fratelli, conosciuti alle forze delle ordine, ubriachi, e dopo averli portati in caserma li rilasciarono. Poi nacque un diverbio con il fratello che venne riaccompagnato all’interno, mentre Taissir Sakka si allontanò: in seguito venne cercato ma non venne mai localizzato. Il fratello presentò denuncia, ma per il Gip gli elementi raccolti dalle indagini della squadra mobile, complete e approfondite, smentiscono in toto la versione del tunisino che ha fornito una ricostruzione ritenuta non veritiera, incongruente e strumentale, tesa ad incolpare i carabinieri di un’aggressione ai suoi danni e a quelli del fratello. Quello che ha riferito risulta infatti contraddetto dalla visione delle immagini delle telecamere nei luoghi dell’inseguimento, da cui non emerge alcuna colluttazione. “Abbiamo avuto sempre fiducia dal primo momento nella giustizia. Come Usmia abbiamo assicurato la tutela legale ai nostri iscritti, per il tramite degli avvocati Cosimo Zaccaria e Roberto Ricco e la copertura per le spese per i consulenti tecnici”, commenta Alfonso Montalbano per Usmia Emilia-Romagna.

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Pugno in campo in 1a categoria, ‘mi ha rivolto insulti razzisti’

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Ha sferrato un pugno ad un avversario, accusandolo di avergli rivolto insulti razzisti. L’episodio è accaduto ieri pomeriggio a Barco di Bibbiano, nel Reggiano, durante la partita di calcio dilettanti Boca Barco-Rubierese, valida per il campionato di Prima categoria (Girone C). A riportare la notizia è il Resto del Carlino di Reggio Emilia. A metà del secondo tempo, il difensore della Rubierese, Afzaz Ilyas, 25 anni, è stato espulso dall’arbitro dopo aver sferrato un pugno al volto all’attaccante avversario Simone Costa, 24 anni.

Quest’ultimo è stato portato poi all’ospedale Maggiore di Parma, ricoverato nel reparto maxillo-facciale. Afzaz, italiano e nato da genitori marocchini a Pavullo nel Frignano (nel modenese), lo accusa: “Per tutta la partita mi ha chiamato ‘scimmia’ e negro di m… – ha raccontato – Io e i miei compagni lo abbiamo fatto presente all’arbitro e all’allenatore avversario. Ma nessuno ha fatto niente. Non mi sono sentito tutelato. All’ennesimo insulto, sono impazzito e l’ho colpito”. Ma si è pentito: “Ho reagito nella maniera più sbagliata possibile. Non sono un violento, non sono mai stato espulso in carriera. Ma la situazione era diventata pesante e ho perso la testa. Negli spogliatoi ho pianto, sono pronto a chiedergli scusa e lo chiamerò a telefono. Ma il razzismo nel calcio non deve esistere e vorrei si scusasse anche lui”.

Il presidente del Boca Barco, Enzo Guerri ha replicato: “Io non ho sentito questi insulti così come nessuno li ha sentiti. Se ci sono stati non è bello ed è sicuramente un fatto da condannare. Ma niente può giustificare ciò che ha fatto, dando un pugno al nostro ragazzo. Questa violenza è inaccettabile”.

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