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Esteri

Torna la tensione tra Gb e Argentina sulle Falkland

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 Si rialza la tensione fra Argentina e Gran Bretagna nella lunga controversia riguardante la sovranità sull’arcipelago delle Falkland, chiamate Malvine a Buenos Aires, che nel 1982 fu anche al centro nell’Oceano Atlantico australe di conflitto che causò un migliaio di morti. La vicenda è stata ripetutamente esaminata dal comitato di decolonizzazione dell’Onu, che ha chiesto alle parti di trovare una via d’uscita diplomatica alla questione. Una opzione però che finora non ha trovato interesse a Londra, secondo cui la sovranità britannica sulle isole non può essere messa in discussione. L’episodio che ha riacceso il fuoco che covava sotto le ceneri è stato l’annuncio, formulato dal ministro degli Esteri argentino Santiago Cafiero a margine del G20 svoltosi in India, di denuncia dell’accordo di cooperazione, conosciuto come Patto Foradori-Duncan, firmato con la Gran Bretagna nel 2016 durante l’amministrazione del presidente Maurizio Macri.

L’intesa, ha ricordato l’agenzia di stampa argentina Telam, era stata congelata dopo la vittoria nelle presidenziali del 2019 del peronista progressista Alberto Fernández, ma due giorni fa Cafiero ha comunicato al collega britannico, James Cleverly, il ritiro definitivo argentino da quel Patto. Pur lasciando aperta la questione della sovranità sulle isole, l’accordo indicava l’approvazione di aree di cooperazione bilaterale economica, nei trasporti e per temi umanitari. In un comunicato il ministero degli Esteri argentino ha sottolineato che “quel documento faceva concessioni agli interessi britannici nella regione e regrediva notevolmente nella giusta rivendicazione della sovranità, E fu pubblicato come ‘comunicato congiunto’ per evitare di ottemperare all’obbligo costituzionale di sottoporre gli accordi internazionali raggiunti dal potere esecutivo all’approvazione del Parlamento”. La reazione del Foreign Office non si è fatta attendere.

In una presa di posizione ufficiale Cleverly si è detto “deluso” per la decisione dell’attuale governo argentino di rinnegare il testo del 2016. Un documento nel quale – 36 anni dopo la fine della guerra del 1982 per un fallito tentativo di Buenos Aires di prendere il controllo dell’arcipelago nell’oceano Atlantico – le parti riconoscevano di avere “un accordo nel disaccordo sulla sovranità”, impegnandosi però a rilanciare le relazioni bilaterali. E oggi il capo della diplomazia britannica ha ribadito via Twitter che “le Isole Falkland sono britanniche. La popolazione isolana ha diritto di decidere il proprio avvenire ed essa ha già scelto di mantenere lo status di Territorio d’Oltremare autogovernato del Regno Unito”.

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Capo Wagner contro Mosca, bilancio perdite ucraine ‘fantasioso’

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Il leader del gruppo paramilitare Wagner, Evgheni Prigozhin, ha definito “fantasie” i bilanci delle perdite ucraine rivendicati da Mosca, che afferma di aver respinto due grandi offensive in due giorni. “Queste sono solo farneticazioni”, ha detto Evgheni Prigozhin in un messaggio su Telegram. Il ministero della Difesa russo ha affermato di aver respinto due offensive ucraine su larga scala domenica e lunedì nel Donbass meridionale, di aver ucciso “più di 1.500 soldati ucraini” e distrutto “28 carri armati”.

Il governo ucraino, pur rivendicando guadagni territoriali nei pressi della città devastata di Bakhmout, nell’est del Paese, ha relativizzato l’entità delle sue “azioni offensive” e non ha fornito alcuna valutazione. Uccidere 1.500 soldati in un giorno è “un massacro infernale”, ha ironizzato il capo di Wagner, prendendo in giro il portavoce del ministero della Difesa russo Igor Konashenkov. “In realtà, perché non sommare tutti i numeri dati da Konashenkov. Penso che abbiamo già distrutto l’intero pianeta Terra cinque volte”. Prigojine rilascia spesso dichiarazioni sopra le righe contro lo stato maggiore russo, che accusa in particolare di non fornire abbastanza munizioni agli uomini di Wagner, in prima linea nei combattimenti intorno a Bakhmout.

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Esteri

Governo Giappone vuole il 30% di donne in ruoli dirigenziali

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Il governo giapponese punta ad avere almeno il 30% delle donne in ruoli dirigenziali nelle principali aziende del Paese entro il 2030, nel tentativo di allinearsi alle nazioni più avanzate nella promozione dell’uguaglianza di genere. Il progetto annunciato dall’esecutivo mira a garantire almeno una donna nel consiglio di amministrazione delle principali aziende quotate in Borsa entro il 2025, sollecitando tali imprese a introdurre nuove regole già da quest’anno. Il piano prevede inoltre di garantire che i dipendenti maschi abbiano diritto al congedo di paternità, e un sistema per mantenere inalterato il reddito per la famiglia anche quando si lavora a orario ridotto almeno fino al compimento dei due anni di età per il figlio.

Tra le nuove proposte, inoltre, c’è il rafforzamento delle misure di protezione delle donne da aggressioni sessuali e altre forme di violenza da parte dei partner, nonché la prevenzione del mobbing sul luogo di lavoro. Nell’ultimo studio pubblicato a marzo dalla Banca mondiale sulle opportunità economiche per le donne, il Giappone si è classificato al 104esimo posto su 190 nazioni, ed è invece al 116esimo posto su 146 paesi nella classifica sul divario di genere compilata dal Forum economico mondiale nel 2022. Il censimento più recente sulla popolazione ha mostrato che il numero di nascite nel 2022 in Giappone è diminuito per il settimo anno consecutivo, scendendo al di sotto delle 800.000 per la prima volta dall’inizio delle statistiche, nel 1899.

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Esteri

Cina, colloqui schietti e costruttivi con diplomatici Usa

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L’assistente segretario di Stato Usa per gli Affari dell’Asia orientale e il Pacifico, Daniel Kritenbrink, e la direttrice senior per la Cina del Consiglio di sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Sarah Beran, hanno incontrato a Pechino il vice ministro degli Esteri, Ma Zhaoxu, e il capo del dipartimento per gli Affari americani e Oceania, Yang Tao, nel mezzo delle nuove tensioni bilaterali. Le parti, secondo una nota della diplomazia cinese, “hanno condotto una comunicazione schietta, costruttiva e fruttuosa sulla promozione del miglioramento delle relazioni sino-americane e sulla corretta gestione e controllo delle differenze”.

I colloqui si sono tenuti “in conformità con il consenso raggiunto” a Bali dai due capi di Stato, Xi Jinping e Joe Biden, lo scorso novembre. La Cina, ha aggiunto la nota, “ha chiarito la sua solenne posizione su Taiwan e su altre importanti questioni di principio. Entrambe le parti hanno convenuto di continuare a tenere le comunicazioni”. La visita a Pechino di Kritenbrink e Beran ha fatto seguito al rifiuto del ministro della Difesa cinese Li Shangfu, soggetto alle sanzioni americane dal 2018 per l’acquisto di aerei da combattimento e attrezzature dalla Russia, di incontrare a Singapore, a margine dello Shangri-La Dialogue tenutosi nel fine settimana, il capo del Pentagono Lloyd Austin. Oltre che ai recenti casi di incidenti sfiorati nelle acque e nei cieli del mar Cinese meridionale tra unità navali e aeree dei due Paesi.

“I funzionari hanno chiarito che gli Usa avrebbe fatto valere e difeso con vigore gli interessi e i valori degli Stati Uniti”, ha rimarcato invece una nota del dipartimento di Stato americano. L’arrivo del 4 giugno a Pechino della delegazione statunitense ha coinciso con il 34/mo anniversario della sanguinosa repressione del 1989 da parte delle truppe dell’Esercito popolare di liberazione cinese contre gli studenti che manifestavano a Piazza Tienanmen a favore delle riforme democratiche. Il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha difeso lunedì i tempi dell’incontro, spiegando che il viaggio era stato “pianificato da tempo” e che “questo è il modo in cui i programmi hanno funzionato”. L’amministrazione del presidente Joe Biden sta spingendo per ripristinare le comunicazioni con la Cina, nel mezzo del deterioramento delle relazioni su questioni che vanno da Taiwan alle attività militari di Pechino nel mar Cinese meridionale fino alla guerra tecnologica. Anche il Global Times, il tabloid nazionalista del Quotidiano del Popolo, ha criticato la visita di Kritenbrink, scrivendo nella tarda serata di domenica che era più motivata dall’obiettivo di Washington di presentarsi come la parte in cerca di comunicazione.

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