C’è anche un bel pezzo di Napoli ne “La rete di protezione”, il secondo episodio inedito del Commissario Montalbano, che andrà in onda stasera su Rai 1 alle ore 21,25. Nel cast figurano infatti due giovani attori napoletani, i fratelli Luigi e Peppe Tuccillo. Sulla trama nulla si può e si deve dire. La scorsa estate, mentre le puntate erano in lavorazione, venivano infatti a mancare, a distanza di poche settimane, prima il padre di Montalbano, il maestro Andrea Camilleri, poi Alberto Sironi, storico regista della serie televisiva.
Luigi Tuccillo (per lui e per il fratello Peppe anche una parentesi al Grande Fratello, edizione del 2015) si forma come attore fra Roma e Los Angeles. Dopo le scuole di recitazione, il corso di alta specializzazione in regia con Marco Bellocchio, Tuccillo è protagonista di un cortometraggio, Rapsodia in Blue. “In Italia non fu selezionato per i concorsi – racconta l’attore -; fu invece selezionato per il LadyFilmMakers Festival di Beverly Hills, dove vinse come miglior cortometraggio, e io ricevetti la nomination come miglior attore protagonista. Così sono finito a Los Angeles: è stato l’inizio di tutto”. In California Tuccillo si diploma alla Lee Strasberg, prestigiosa scuola di recitazione. Intanto arrivano gli esordi al cinema e in televisione, rispettivamente con “Troppa grazia” di Gianni Zanasi, e Aldo Moro il professore.
“Appena sono rientrato da Los Angeles – spiega Tuccillo – vengo contattato dalla mia agenzia. Alberto Sironi aveva convocato me e mio fratello Peppe; gli servivano due fratelli per il nuovo episodio di Montalbano. Ho letto il romanzo “La rete di protezione” e mi sono subito innamorato dello scritto e dei personaggi”.
Quando iniziano le riprese, però, Sironi, regista di sempre della fiction, viene a mancare. La regia passa allora nelle mani di Luca Zingaretti, storico volto di Montalbano. “Ho apprezzato tantissimo il lavoro di Zingaretti. Quando siamo arrivati, abbiamo chiesto di poterci recare sul set per dare uno sguardo. Stava girando l’altro episodio, “Salvo Amato, Livia mia”. E’ riuscito ad incastrare negli stessi giorni le riprese delle due puntate, con storie e attori diversi. Un esempio di grande professionalità. Il tutto avveniva poi in una situazione molto critica, perché Sironi era in ospedale. Lui ha preso in mano la situazione con tranquillità. E’ stato molto bravo, era padrone della materia, un eccellente professionista non solo un grande attore”, racconta Tuccillo.
Del set e dell’atmosfera dei paesini siciliani Tuccillo non ha che ricordi positivi. “La troupe era super organizzata, i costumisti molto bravi. Si respirava una bella atmosfera, i paesini pieni di gente che aspettava per assistere alle riprese e salutare gli attori. Sono fiero di esser stato protagonista di un progetto del genere, perché quando un progetto è scritto bene, con profondità delle battute e delle azioni, è un piacere prendervi parte”.
Ne “La rete di protezione”, il commissario Montalbano si trova davanti ad un enigma molto particolare. L’ingegner Sabatello gli porta alcuni filmati, girati anni prima dal padre, ormai defunto (interpretato da Luigi Tuccillo). I filmati hanno una sola inquadratura fissa, un muro. Montalbano intuisce che dietro quelle pellicole c’è qualcos’altro, e inizia ad indagare. Poi il racconto si ferma perché spoilerare è riprovevole, ancor più per una serie così attesa.
Ma cosa c’è nel presente e nel futuro di Tuccillo? “Nel 2019 ho girato negli USA prima “Audio”, un film che sarà presto presentato al Festival di Venezia; poi “Across Sagittarius Street”, un episodio pilota di una serie tv scritta da me. Adesso faccio la spola fra Roma e Los Angeles; oggi sono attore a tempo pieno e mi piacerebbe tanto poter fare qualcosa di importante qui in Italia”. Ebbene Montalbano è la migliore vetrina che Luigi Tuccillo potesse conquistarsi per farsi apprezzare in Italia già che ogni episodio del commissario più amato d’Italia lo guardano sugli schermi di Mamma Rai, se tutto va male, almeno 10 milioni di persone.
La Russia non rinuncerà alla Crimea e alle altre regioni annesse in Ucraina. A chiarirlo durante un bagno di folla sulla Piazza Rossa è Vladimir Putin, forte del trionfo annunciato al termine dei tre giorni di elezioni presidenziali che gli hanno regalato, secondo i risultati ufficiali, la più grande vittoria per un capo dello Stato nella storia del Paese, con l’87,3% dei voti. Un plebiscito che può servire a Putin sia per continuare il conflitto sia, se l’occasione si presenterà, per avviare negoziati da posizioni di forza. Per rimarcare l’unità del Paese, il capo del Cremlino ha portato con sé sul palco i tre candidati sconfitti con percentuali umilianti, al di sotto del 5% ciascuno. Davanti a decine di migliaia di persone accorse per assistere a un concerto nel decimo anniversario dell’annessione della Crimea, Putin ha affermato che la Russia andrà avanti “con le nuove regioni, mano nella mano”.
E’ vero, ha ammesso, che il viaggio delle genti del Donbass “verso la loro terra natale”, cioè la Russia, si è rivelato “più difficile e tragico” di quello della Crimea. “Ma comunque ce l’abbiamo fatta”, ha assicurato, prima di intonare con tutta la piazza l’inno nazionale, in un tripudio di bandiere russe. Difficile capire fino in fondo il signficato di queste parole. Se Putin intenda cioè dire che la Russia si potrebbe accontentare dei territori conquistati finora, o voglia allargare il conflitto. Mosca continua ad insistere di essere pronta a negoziati che tengano conto della situazione sul terreno, cioè del controllo russo su parte dell’Ucraina.
Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ricevendo l’inviato cinese Li Hui, che nei giorni scorsi ha visitato vari Paesi europei. Il capo della diplomazia russa, ha fatto sapere il ministero degli Esteri, ha “confermato l’apertura della parte russa a una soluzione negoziata”. Ma è “inaccettabile” la cosiddetta ‘formula Zelensky’, che prevede il ritiro completo dei russi dalle regioni occupate durante il conflitto e dalla Crimea.
A questo si è aggiunta una dichiarazione al giornale Izvestia del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo il quale la Russia è “pronta a negoziati su tutte le questioni della sicurezza, compreso il disarmo nucleare e la non proliferazione”. Queste dichiarazioni fanno seguito a quelle dello stesso Putin che la scorsa notte aveva indicato la Francia come un Paese che “può ancora svolgere un ruolo” nella ricerca di una soluzione negoziata, perché “non tutto è ancora perduto”. Una sorpresa dopo le parole del presidente Emmanuel Macron su possibili “operazioni sul terreno” di Paesi Nato in Ucraina “per far fronte alle forze russe”. Il leader russo si era anche detto pronto a prendere in considerazione l’ipotesi di una tregua per le Olimpiadi, a patto che non si tratti solo di una pausa per dar modo a Kiev di “riarmarsi”. Il portavoce Peskov ha intanto respinto come “assurde” le affermazioni occidentali relative alla “illegittimità” delle elezioni. Accuse rilanciate dal gruppo indipendente russo di monitoraggio Golos, secondo il quale queste sono state le consultazioni “più fraudolente e corrotte” della storia del Paese, perché “la campagna si è svolta in una situazione in cui gli articoli fondamentali della Costituzione russa, che garantiscono i diritti e le libertà politiche, essenzialmente non erano in vigore”. In un messaggio dal carcere, l’oppositore Ilya Yashin ha scritto che Putin ha voluto una vittoria trionfale perché non può liberarsi dai “suoi complessi freudiani”.
Il vero obiettivo dell’operazione, ha aggiunto Yashin, è “far sprofondare nell’apatia quella parte della società che è contro la guerra”. A Mosca circolano intanto voci su possibili rimpasti nel governo per portare alla ribalta forze giovani. L’agenzia Reuters, citando quattro fonti vicine agli ambienti del potere, ha scritto che tra coloro che potrebbero avanzare di grado vi è il ministro dell’Agricoltura Dmitry Patrushev, 46 anni, figlio di Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale. Ma due delle fonti si dichiarano convinte che, almeno fino a quando durerà il conflitto in Ucraina, non saranno sostituiti né Lavrov, né il ministro della Difesa Serghei Shoigu, né il primo ministro Mikhail Mishustin.
“Lo sforzo sinergico e solidale delle istituzioni ad ogni livello ha consentito di arginare un nemico intangibile all’insegna di una rinascita globale”. È stato un forte richiamo al valore della collaborazione di tutti per vincere la sfida della pandemia il cuore del messaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Giornata nazionale in ricordo della vittime del Covid. Un’occasione particolare soprattutto per Bergamo, che fu l’epicentro della prima ondata della pandemia, e che ha ricordato quei giorni con una cerimonia al cimitero monumentale. Nel messaggio per la Giornata, il capo dello stato ha sottolineato che il coronavirus “ha generato una crisi che è suonata terribile esperienza delle sfide di fronte alle quali può trovarsi l’umanità e di come solo una risposta coordinata a livello globale sia stata in grado di farvi fronte, con l’accelerazione nella messa in opera delle più recenti scoperte della ricerca in cui protagonista – ha sottolineato Mattarella – è stata l’Unione europea”.
La premier Giorgia Meloni ha sottolineato che “la pandemia ha sconvolto le nostre vite, ma il popolo italiano ha trovato la forza di reagire. E lo ha fatto con umanità, solidarietà, unità e abnegazione. Questa è l’eredità più preziosa di quella crisi, che dobbiamo saper ricordare e che ci può insegnare ancora molto. Il dolore per le tantissime vite perse è una ferita ancora aperta”. L’Unione europea citata da Mattarella per il suo ruolo nel superamento dell’emergenza era rappresentata oggi a Bergamo dal commissario all’economia, Paolo Gentiloni che, a margine della cerimonia, ha fatto riferimento al corteo dei camion militari che, esattamente quattro anni fa, portavano in varie città d’Italia centinaia di bare perché il crematorio di Bergamo non era più sufficiente. “Quelle immagini – ha sottolineato Gentiloni – hanno risvegliato qualcosa nella coscienza dell’Europa: la necessità di un grande intervento comune di solidarietà dopo le prime settimane di chiusura ed egoismi nazionali”.
“A Bruxelles – ha ricordato ancora il commissario – la prima risposta fu di chiusura assoluta: Francia e Germania vietarono l’esportazione di mascherine e respiratori ed è incredibile come da quelle chiusure si sia passati alla solidarietà più grande”. Ad accogliere Gentiloni e le altre autorità, fra le quali il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, c’era il sindaco Giorgio Gori, che ha usato parole forti a difesa della sanità pubblica: “Onoreremo fino in fondo la memoria dei bergamaschi e degli italiani che sono caduti a causa della pandemia se e quando riaffermeremo, con i fatti, il valore insostituibile della salute pubblica e del Servizio sanitario nazionale”. Mentre l’assessore al welfare della Lombardia, Guido Bertolaso, ha ricordato “medici, infermieri, operatori del 118 che hanno perso la vita lavorando per contrastare l’avanzata del virus. Quell’emergenza è alle spalle – ha detto Bertolaso – e ha lasciato in eredità la spinta per migliorare e riorganizzare la gestione dei servizi socio-sanitari: in Lombardia lo stiamo facendo col massimo impegno per dare le risposte che i cittadini si attendono”.
E’ uscito negli Stati Uniti il documentario ‘Stormy’ nel quale la pornostar racconta le conseguenze dell’incontro con Donald Trump nel 2006. Il film arriva sulla piattaforma a pagamento Peacock a poche settimane dall’inizio del processo per i pagamenti in nero all’attrice durante la sua campagna per la conquista della Casa Bianca. Daniels, che nel documentario diretto da Sarah Gibson, dichiara di essere repubblicana, accusa Trump di non aver “mai considerato che donne come lei” potessero contare. E poi aggiunge: “Non sono così speciale, mi sento un’ipocrita”.
Nel frattempo il giudice Juan Merchan ha respinto il tentativo del tycoon di bloccare la testimonianza del suo ex avvocato e faccendiere Michael Cohen e di Daniels. Nella sentenza, ha scritto di “non essere a conoscenza di alcuna motivazione loigiuca per la quale un testimone dell’accusa dovrebbe essere tenuto lontano dalla sbarra perché la sua credibilità è stata messa in discussione”. Trump aveva accusato Cohen e la porno star di essere “bugiardi ed opportunisti”, attacchi che evidentemente per il giudice non avevano un peso legale.