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“Tonno di Coniglio”, un ricordo d’infanzia

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Mi chiamo Alessandro Nistri e come professione sono cuoco.  Nasco in Germania da genitori italiani. Vivo i primi anni della mia vita vivendo a cavallo fra i due stati e fin da subito mi accorgo di avere un forte imprinting per i sapori. La mia famiglia, legata da forti radici italiane, decide ad un certo punto di trasferirsi definitivamente ad Ischia.

Questa meravigliosa isola, così profondamente immersa nel cuore del golfo del mediterraneo, è patria di tradizioni antiche intrinseche al territorio che hanno creato in me una profonda passione soprattutto per i sapori gastronomici. Ischia è stato il mio luogo di infanzia.

Al tempo non tutti vivevano una vita agiata. Si viveva umilmente dei prodotti della terra. Gli ischitani fin dai tempi più antichi sono stati abili coltivatori e pescatori. Eppure nella loro semplicità non mancava nulla.  Ogni sapore mi porta alla mente un ricordo, ed ogni ricordo mi riporta alla mente un sapore. Questo meccanismo, nel mio quotidiano, è sprono e spunto per creare.

Ischia è la patria del coniglio da sempre. Mi piace ricordare come negli anni greco-romani, questa isola era una grande riserva di caccia. Già al tempo gli Aragonesi e dei Borboni si andava a caccia del coniglio data la sua presenza elevata allo stato brado.

Col tempo fu allevato, o meglio “contenuto”, in una fossa dal quale non poteva scappare perché veniva rivestito dal tufo verde perimetralmente.  Il suo sapore rimaneva invariato. Ancora oggi qualcuno sull’isola mantiene intatta questa arte di allevamento.  Al tempo I contadini per poter conservare al meglio il coniglio, senza creare troppi sprechi, lo cucinavano come era usuale cucinare il tonno.  Sul focolare veniva messo a bollire e poi spolpato cosicché poteva essere più semplice da invasare e messo a dimora in cantina al fresco. Questa usanza ha creato in me uno spunto di riflessione.

Ho riportato in uno dei miei piatti questa vecchia tradizione, arricchendola con piccole modifiche.  La mia idea del Tonno di Coniglio concerne il cucinare il coniglio a bassa temperatura. Enfatizzando il suo sapore aggiungendoci una scarola cotta a parte con pinoli, uva passa e mosto cotto. Il tocco finale viene dato dall’aggiunta di tre tipi di pomodori di piennolo essiccati.  Questo piatto rappresenta per me la tradizione in tutte le sue forme e personalmente, potergli dare l’importanza che merita in un contesto contemporaneo mi da solo felicità.

Ischia per me non è solo luogo di storia ma è soprattutto luogo di ricordi.

Questa isola è stata la culla della mia eta più bella come già detto. Nella mia età adolescenziale, ricordo, che non c’erano cellulari, tablet ed altri congegni social ma si giocava interagendo di più. Rammento che il mio passatempo principale era giocare a calcio con il mitico “supersantos”. Si passavano le ore e all’imbrunire di ritorno dalla piazza con gli amici era usuale fare uno spuntino.

La mia cara nonna, nella sua semplicità, ci preparava del pane spugnato con un po’ di zucchero e sale. Riusciva ad equilibrare così perfettamente questi due ingredienti da far quasi sembrare quel semplice pane.. Una brioche.  Ai più grandi, poi, aggiungeva un po’ di caffè.  Eppure quel tocco in più, era tale da farci sentire “grandi”. Chi era piccolo, invece, aspettava con ansia di poter arrivare a raggiungere quello step con forte trepidazione. Da qui, è nato il mio dessert “ricordi d’infanzia” in una versione rivisitata.

Il ruolo da protagonista è dato al pane.

Qui ho creato una mousse al pane, racchiudendola in uno scrigno di cioccolato.

Alla base ho messo un caramello salato, in ricordo della giusta equilibratura che la nonna riusciva a dare fra zucchero e sale.

Poi Aria alla Vaniglia.

E infine ho creato un semplice Crumble al caffè per quel tocco “da grandi”.

Alessandro Nistri

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L’amore per la natura, una via per essere felici

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“In ogni passeggiata nella natura l’uomo riceve molto di più di ciò che cerca”.
Nelle parole di John Muir, autore che ho già citato in passato (https://www.juorno.it/ritornare-alle-origini-per-riscoprire-il-benessere/), traspare tutta la potenza della natura e la sua capacità intrinseca di generare benessere, della quale non possiamo fare a meno: come un bambino dipende da sua madre, gli esseri umani sono sempre dipesi dalla natura per la loro sopravvivenza. 

Provate a recarvi in un luogo naturale, un bosco per esempio. Prima di addentrarvi, provate ad alleggerire il vostro cuore e la vostra mente, focalizzando la vostra attenzione sul respiro e sul momento che state vivendo. Dedicate qualche minuto alla preparazione del vostro mindset. Vi assicuro che l’esperienza che vivrete sarà entusiasmante. Aprite i vostri sensi con curiosità e con sguardo aperto attivata una forma di attenzione involontaria (o soft fascination) che, diversamente da quella volontaria o diretta (che sperimentiamo quando siamo in città o quando siamo concentrati su qualcosa per esempio), non richiede uno sforzo cosciente e quindi consente alla mente di vagare, ripristinando così la capacità di pensare in modo lucido. Ecco, entrate quindi in profonda connessione con tutto ciò che è attorno a voi. 

Stare in un ambiente naturale ci procura benessere, ci fa sentire a nostro agio, dà un grosso beneficio a livello emotivo e fisico. Questa idea che il contatto con la natura sia un’esigenza imprescindibile per l’essere umano prende il nome di biofilia, dal greco “amore per la vita”. Insomma abbiamo “impresso” nei geni un legame istintivo con la natura e con gli organismi viventi con cui condividiamo il nostro pianeta.

Un concetto questo introdotto da Erich Fromm negli anni ’60 e ripreso da Edward O. Wilson negli anni ’80 del secolo scorso. Secondo questa teoria, le persone hanno un’affinità, anche emotiva, intrinseca con la natura, sviluppata nel corso dell’evoluzione e poiché abbiamo trascorso la maggior parte della nostra storia evolutiva nella natura prima di iniziare a formare delle comunità o costruire città, noi proviamo un amore innato per i paesaggi naturali. La natura, quindi, avrebbe la capacità di affascinare l’essere umano, permettendogli di riposarsi e rigenerarsi mentalmente. È sufficiente immergersi in un ambiente biofilico, adatto per stimolare l’amore per la Natura, per sentirci subito meglio. Oggi tale concetto viene utilizzato anche per modificare gli ambienti artificiali e renderli il più possibile naturali. Si parla proprio biophilic design (progettazione biofilica).


Il nostro amore per la natura quindi pare essere innato, ma non istintivo. E quindi va coltivato, studiato, alimentato da un sapere che è naturale, ma anche culturale. La questione ce la spiega meglio Giuseppe Barbiero, docente di biologia e di ecopsicologia, nonché direttore del Laboratorio di Ecologia Affettiva all’Università della Valle d’Aosta.  E’ venuto ad Ischia un paio di anni fa nell’ambito della seconda edizione del Festival della Natura, organizzato dalla sezione isolana del CAI (Club Alpino Italiano). Nel suo intervento lo studioso evidenziò come la biofilia sia un concetto eco-psicologico e quindi con due accezioni: psicologica ed ecologica. La prima è stata introdotta, come accennavo prima, dallo psicologo Erich Fromm nel 1964; la seconda dall’ecologo E.O. Wilson nel 1984. Fromm usa il termine biofilia per descrivere l’orientamento psicologico ad essere attratti da tutto ciò che è vivo e vitale. Wilson usa il termine per descrivere il tratto evoluzionisticamente adattivo dell’essere attratti da ciò che è vivo e vitale.
La biofilia è dunque una predisposizione genetica che tutti noi possediamo, ma che dobbiamo stimolare ed educare se vogliamo che fiorisca. E, a parte quanto si dimostri necessario per il nostro benessere, è indubbio che questa potrebbe essere la via che ci (ri)condurrebbe verso una concreta e consapevole transizione ecologica. Intanto io continuo ad alimentare la mia voglia di natura. Che fate, mi seguite?

 

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“Il mio amico Massimo” parla il regista Alessandro Bencivenga

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Alessandro Bencivenga, nato a Formia nel 1974, ha trascorso l’infanzia a Sessa Aurunca. Autore, regista e sceneggiatore dal cuore campano, troisiano, si è trasferito in Trentino nel 1999. Una vita passata all’insegna dello spettacolo che lo ha condotto, dopo diversi altri lavori, ad esordire al cinema nel 2019 con il lungometraggio “Exitus – Il passaggio” che ha partecipato al Capri Hollywood Film Festival (2020), al Los Angeles Italia Film Festival (2021) e all’Ischia Global Film & Music Festival (2021). Lo scorso 15 dicembre il cinema ha visto uscire il suo ultimo lavoro, il docufilm “Il mio amico Massimo” Vita straordinaria di Massimo Troisi. A pochi giorni dalla ricorrenza del compleanno del geniale attore, lo abbiamo intervistato.

Come è nato il progetto?

Il progetto è nato da un libro che si chiama “Piripì zozò” scritto da Alfredo Cozzolino, amico di sempre di Massimo Troisi. Il libro ricostruisce  i giochi l’infanzia di un piccolissimo Troisi. Leggendo il libro, ho capito che poteva essere un modo diverso di raccontare un documentario su Troisi in modo diverso dai precedenti. 

Quali sono i personaggi che hanno offerto il loro contributo?

Sono stati, davvero tanti. Ho interpellato vari artisti e amici di Massimo. Ho avuto un immediato “si!”: da Carlo Verdone a Ficarra e Picone, ai suoi amici di sempre, Alfredo Cozzolino, Massimo Bonetti, Giovanni Benincasa, ma lo stesso Nino Frassica, Marigrazia Cucinotta, Clrois Brosca e tanti altri. Mi sono subito resoconto che non potevo metterli tutti, ho dovuto fare una scelta dolorosa, mettendone solo una piccola parte. Quando parli di Massimo, a tutti brillano gli occhi.

Come è strutturato l’intero documentario?

L’intera struttura è semplice ma allo stesso tempo complessa nella sua fattispecie.  Partiamo da una Sapri del 1979 in cui un giovane Gerardo Ferrara, sedicenne, sta correndo per andare a vedere lo spettacolo del Trio “La Smorfia”. Questo sarà il primo contatto che Gerardo avrà con Massimo Troisi. Gerardo che in un bravo futuro, avrà la fortuna di lavorare sul set de “Il Postino”. alleviando le fatiche di Massimo facendogli la controfigura. 

Un salto temporale ti trascina in una Sapri di oggi, con un Gerardo adulto, maturo che ricorda l’amico Massimo e la gentilezza di quest’ultimo dimostrata durante tutti i tre mesi delle riprese. Umanità che il grande Troisi dimostrava verso tutto lo staff tecnico ed artistico dispensando gentilezza e bontà sempre. Gerardo, ogni volta che ne parla, si commuove.

Dopo ancora, si racconta la storia vera e propria di Troisi con l’intenzione di evidenziare un Massimo “umano” più che “artistico”. Vi è stata la scelta infatti di non mettere alcun spezzone del film (per i quali invitiamo, sin dall’inizio, di vederli in altra sede qualora uno se li aspetti). Abbiamo puntato tutto proprio sulla gentilezza che Massimo ci ha regalato. In sostanza dunque si passa da un Massimo bambino ad uno Massimo raccontato dagli occhi innamorati degli amici. Raccontato dalla VFC di Lello Arena e Cloris Brosca. E’ stata un grande onore aver potuto lavorare a stretto contatto con Lello Arena.

E’ quindi un monumento all’uomo più che all’attore

Si! Come detto prima, ho lavorato sull’aspetto umano poiché su quello artistico si è visto tanto anche se non abbastanza. Ci ha lasciati troppo presto. Chissà quante perle ancora ci avrebbe regalato: basta pensare alle sole interviste che faceva con Pippo Baudo, con Minà ecc. e ci si rende conto che erano tutti sketch singolari ed esilaranti.

Sono un troisiano da sempre, ho sempre visto in Massimo un lato sensibile, poetico. Il docufilm l’ho voluto impostare proprio scorrendo in questa vena sentimentale e poetica. Sono entrato nella sfera Troisi in punta di piedi con molta delicatezza cercando, in ogni modo, di non essere  invadente. Massimo mi ha dato l’imput per sognare. Lucio Anneo Seneca diceva: “hai più voglia di volare o paura di cadere?”.IO, ho più voglia di volare. A me Massimo ha insegnato a volare nel sogno.

Quale è il messaggio finale, la morale che si intende lasciare allo spettatore?

Ho voluto creare l’attesa di vedere un Troisi già visto e, metaforicamente, ho voluto far salire ogni spettatore su una barca con delle onde altissime senza aver paura di cadere. 

Nel film Il Postino, Massimo disse: “mi sento come una barca sbattuta in mezzo al mare”. Ecco!!! Io ho voluto ricreare questa tempesta di immagini e di emozioni in cui la barca, e su di essa lo spettatore, si è imbattuta senza mai naufragare. Intendevo far navigare lo spettatore fra i sentimenti germogliati dal vedere un Troisi inedito a quelli di una sana rabbia per non poter più gioire delle sue perle salendo fin sulla cresta del divertimento. Un viaggio su una sinusoide che ti conduce a dei picchi positivi di risate alternati a rabbia. Il tutto profuso di sentimenti e di poesia. Sembra d’aver centrato l’obiettivo.

So dell’idea di voler proiettare, qui sull’isola d’Ischia, il docufilm e devolvere parte del ricavato alle persone in difficoltà per la frana dello scorso 26 novembre.

Sarebbe un onore venire ad Ischia per la proiezione. Tutto ciò che è campano è un po’ l’estensione di Napoli e Troisi a Napoli è come San Gennaro insieme a Maradona, a Pino Daniele, a Totò, ai fratelli De Filippo. Sono idoli ormai indiscussi sono nell’olimpo degli artisti. 

Oltre a questo, Ischia mi piace tantissimo ed è anche molto onorevole la proposta fatta dagli organizzatori che sono alla base di questa proposta di “vicinanza” alla popolazione colpita da questa sciagura. Se anche noi, nel nostro piccolo, possiamo offrire un contributo, ne saremo fieri. Da parte mia c’è tutta la solidarietà e mi stringo alle famiglie di tutti i coinvolti.

Riguardo quest’ultima, hai avuto modo di vedere il video “Dint’ ‘a Nuttata”? Cosa ne pensi?

L’ho visto. Ti dirò di più: l’ho anche condiviso sui social. Quando mi è arrivato, l’ho rivisto due o tre volte e mi è arrivata una bella vibrazione. Sai, quando ti fanno sobbalzare per l’emozione. 

D’impulso ho chiamato subito Leonardo (Bilardi) che conosco e gli ho fatto i complimenti per la recitazione. Ha usato dei tempi da grande attore teatrale: il movimento lento degli occhi, il guardare lontano ma, allo stesso tempo, penetrare lo spettatore è stato suggello di una gran bella interpretazione.  Il testo poi è scritto con minuziosità e delicatezza senza entrare nella retorica o il banalismo, passami il termine, di chi vuole cavalcare un po’ le tragedie. Qui, non è successo! C’è stata una profonda eleganza nello scrivere questo testo. Nella sua metafora, ci induce a pensare quanto l’uomo sia piccolo rispetto alla natura e quanto quest’ultima sia capace di metterci in ginocchio.

Mi è piaciuta anche la composizione del video. Insomma, complimenti a tutti quelli che hanno realizzato questa piccola perla in onore ed in amore della bellissima isola d’Ischia.

Il 19 febbraio sarà il compleanno di Troisi. Il comune di San Giorgio a Cremano sta organizzando una celebrazione. Ti occuperai della regia, ti va di dirci qualcosa in merito?

Si. Il 19 febbraio Massimo compirà 70 anni. Il Comune di San Giorgio sta organizzando quest’evento straordinario. Io ho avuto la fortuna, dapprima, di essere stato invitato dal Sindaco e dal Vice-sindaco a presenziare insieme ad altri ospiti, amici e attori che hanno avuto la gioia di conoscerlo. Poi, da semplice ospite, ho avuto la telefonata proprio dal Vice-sindaco che mi chiedeva se avessi avuto intenzione di curarne la regia. Con orgoglio ho accettato.

 

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Gerardo Ferrara e i ricordi de “Il Postino”

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Certe volte, ciò che è scritto in una lettera può diventare il lascito di un’intera esistenza. Gerardo Ferrara è stato colui che ha permesso di girare le scene più impegnative nel film de “Il Postino” affiancando Massimo Troisi nella realizzazione del suo iconico capolavoro. Campano anche lui, precisamente di Sapri, con la sua bici si può dire abbia fatto, allegoricamente, il giro del mondo. Lo ha fatto, come ci racconterà, pedalando con amore per un Troisi già provato.

Divennero presto amici grazie alla sensibilità di entrambi e alla grande empatia del poetico attore di San Giorgio a Cremano. Tutti amavano Massimo ed il sentimento è ancora vivo. Dalle parole di Gerardo, in questa intervista, è facile comprenderne il perché.

Quando hai conosciuto Massimo?

L’ho conosciuto nel 1994 proprio durante le riprese del film de Il Postino. Era uno dei miei primi giorni di lavorazione ed eravamo a Cinecittà.

Cosa significa per te aver fatto la sua conoscenza?

Conoscerlo è stato per me un dono che la vita ha voluto riservarmi. Massimo ha rappresentato sempre il mito dei nostri tempi ed averlo conosciuto ed averne apprezzato soprattutto la persona, il suo volto umano, è stato un arricchimento meraviglioso di cui ringrazierò sempre la vita.

Uomo e attore, a quale dei due aspetti ti sei più affezionato e perché?

Prima di conoscerlo ero chiaramente affezionato all’artista, al suo modo di raccontare Napoli e la napoletaneità in un modo del tutto originale e mai scontato. Ero dunque coinvolto sensibilmente dalla sua arte. Poi, quando ho avuto il piacere e l’onore di conoscerlo, sono rimasto affascinato dall’uomo Troisi: dalla persona sempre attenta alle esigenze di tutti, vicino ad ognuno dei suoi collaboratori; dai suoi sorrisi; dalle sue dolci parole; dal suo modo di essere spontaneo, sincero e generoso nei confronti davvero di tutti.

E’ iconico il film de Il Postino che ti ha visto come interprete in alcune scene in sostituzione di Troisi. Raccontaci qualche aneddoto sul set.

Di aneddoti ce ne sono stati molti ed è difficile sceglierne uno ed esternarlo. Mi vengono in mente particolari situazioni e momenti vissuti insieme. E’ davvero difficile ma a doverne raccontare uno, ti racconto di quando stavamo girando la scena di un passaggio in bicicletta a Salina, mi avvicinai a Casa Neruda, scesi dalla bicicletta e feci un gesto spontaneo nello scostarmi il cappello quasi a voler scrollare la fatica di dosso. Lui era li, accanto a me aspettando di fare il cambio della bici visto che la prendeva per fare i primi piani, suonare il famoso campanellino e avvisare il poeta del suo arrivo. Sorrise dicendomi: “mamma Gerà, hai fatto esattamente quello che avrei fatto io!”. La troupe fece un caloroso applauso in quel momento. Sono stati quegli istanti, quei particolari e quei sorrisi che hanno effettivamente segnato l’intero percorso.

Massimo cosa pensava intimamente di questo suo ultimo lavoro?

Ci teneva tantissimo a questo film. Forse proprio perché era diverso dal genere classico.

Per me, il personaggio “Mario Ruoppolo”, quello che lui interpreta ne Il Postino, è esattamente lui. Vi era tutto il suo fascino per la cultura, l’amore per la poesia, la sua timidezza nel rapportarsi con il poeta e la generosità nel volerlo omaggiare in tutti i modi, la sua ricerca di quell’ amicizia bellissima con Neruda. Massimo era così: un amante della cultura, una persona meravigliosa e in questo film ha dato tutto se stesso. 

Lo ripeto sempre. Lui il film l’ha finito di girare, lo ha fatto tutto. Io l’ho solo sostituito nelle scene pesanti, l’ho affiancato e, di questo, mi era particolarmente grato. Delle volte era lui che mi veniva vicino dicendomi: “grazie Gerardo per quello che hai fatto”. Io ero esterrefatto poiché pensavo assurdo che fosse lui a ringraziare me. Mi sembrava una cosa così tanto fuori dal normale… ma Massimo era fatto così, era questo!

Durante le riprese del film gli sei stato vicino e così hai potuto vivere i momenti in cui la sua fragilità era ormai manifesta. Raccontaci una frase, un consiglio, un momento di quel periodo che, più di altri, rimarrà sempre con te.

Posso dire che io ho avuto, sin dall’inizio la giusta percezione. A distanza di anni mi sento orgoglioso e fiero di non aver mai pensato che quella poteva essere un’opportunità per un mio futuro. Ho da subito sentito di affrontare un ruolo particolare, quello di affiancare Massimo ed alleviarne la fatica affinchè riuscisse a portare a compimento il progetto che aveva in quel momento intenzione di concludere.

Come frase, ricordo nell’ultimo giorno, quando girò i primi piani di alcune scene a Salina. Noi eravamo soliti salutarci con un abbraccio e prima di farlo, poichè doveva andare e sottoporsi ad alcuni accertamenti, mi ringraziò ancora (e ripeto, immeritatamente) e mi disse: “Gerà, ti verrò a trovare a Sapri perché mi voglio riposare un po’ e tu me fai stà bbuon”.

Si era creato un bellissimo rapporto empatico seppur, purtroppo, per poco tempo. Eravamo entrati subito in sintonia (chiaramente non per merito mio ma suo). Questo mi ha permesso di vivere quei momenti con grandissima spontaneità e con una grandissima voglia di operare al meglio affinchè tutto il suo progetto potesse andar a buon fine.

Durante le riprese aveva qualche sentore di ciò che, purtroppo, poi è capitato?

Sicuramente era abbastanza provato e abbastanza affaticato soprattutto nell’ultimo periodo. Lui però ci teneva tantissimo a realizzare questo progetto e questo lo ha indotto a non desistere mai…

Chiunque parli di Troisi lo fa con amore. Da dove nasce questo immenso sentimento?

Tutti ne parlano con amore perché Massimo era un’espressione di sentimenti veri. Era un’esplosione di sentimenti veri! Non solo attraverso il set, lo schermo, la tv… no! Tu lo percepivi osservandolo. Eri inondato da questa esplosione di sentimenti veri, sinceri, spontanei guardandolo semplicemente negli occhi. Questo suo modo di essere spontaneo e generoso, impermeava tutta la persona. Faceva sempre in modo che tu ti sentissi a tuo agio e che entrassi in sintonia con lui ma con spontaneità senza alcun artificio. Era così che arrivava al cuore di tutti… per poi rimanerci!

 

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