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Toghe in pensione a 72 anni, c’è un emendamento che mette in apprensione l’Anm

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E’ ‘giallo’ su un emendamento che di fatto porta a 72 anni l’eta’ del collocamento a riposo per i magistrati e che lascia molto perplessa l’Anm. Proprio nel corso del comitato direttivo centrale dell’associazione si è discusso del testo di un emendamento alla manovra, non ancora depositato, che vede come primo firmatario il senatore Mattia Crucioli (M5s). “E’ un intervento avulso da una riflessione complessiva sulla carriera, senza alcuna interlocuzione preventiva”, contestano i magistrati. Ma in serata il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, esclude interventi: “Non c’e’ nessuna proposta del governo – twitta – che prevede la possibilita’ per i magistrati di rimanere in servizio per un biennio oltre il limite. L’epoca in cui i governi anticipavano o posticipavano di anno in anno il pensionamento dei magistrati si e’ chiusa definitivamente”. Un testo pero’ e’ circolato e ha messo in allarme il ‘sindacato’ delle toghe. “Con effetto dal primo gennaio 2019 – recita – ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, agli avvocati e procuratori dello Stato e’ data facolta’ di permanere in servizio, a domanda, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta’ per il collocamento a riposo per essi previsto”. Un differimento per tutti, dunque, di due anni e su richiesta, per il quale viene ipotizzata la maggiore spesa: 56 milioni per il prossimo anno, poi circa 200 milioni dal 2021. L’eta’ di collocamento a riposo dei magistrati e’ stato oggetto di diversi interventi e molte querelle negli ultimi anni. Il governo Renzi nel 2014 fisso’ nuovi limiti di eta’ che imponevano la pensione dei magistrati a 70 anni anziche’ 75. Ma nei fatti tutto slitto’ attraverso una serie di proroghe. A fine agosto 2016 fu varata per decreto legge anche una proroga fino alla fine del 2017 che valeva non per tutti, ma solo per i magistrati delle alte Corti: Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Avvocatura dello Stato. Tanto che l’Anm parlo’ di intervento con profili di incostituzionalita’. Tra le file della magistratura c’e’ chi, nel corso di questi anni, si e’ espresso a favore di un trattenimento in servizio fino a 72 anni per tutti e chi invece ritiene piu’ corretto riposizionare l’asticella a 70 anni. Di fronte alla possibilita’ di rimettervi mano, l’Anm chiede una “piu’ ampia riflessione” e che comunque venga prevista “una disposizione transitoria che differisca gli effetti ad un periodo congruo di almeno quattro anni”. Secondo l’Anm, infatti, l’intervento “giunge a modificare un assetto dei limiti pensionabili che subisce periodici e contraddittori mutamenti, creando un’incertezza insostenibile su una tema tanto delicato”; e “interferendo con la gestione dei processi e degli uffici giudiziari, determina effetti sull’indipendenza della magistratura, poiche’ alimenta il sospetto che l’intervento normativo sia diretto a favorire o a sfavorire, volta a volta, singoli magistrati”. I tempi per l’emendamento sono stretti: in commissione al Senato i termini sono scaduti, quindi potrebbero depositarlo solo il relatore o il governo. Oppure il testo dovrebbe essere presentato direttamente in Aula, ma in questo caso le probabilita’ che possa passare sono basse.

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Mattarella,Servizio sanitario da difendere e da adeguare

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“Il servizio sanitario nazionale è un patrimonio prezioso, da difendere e adeguare. E in questo la riflessione delle Regioni, in dialogo con il Paese e con la società, è particolarmente importante”. Mentre la legge di Bilancio entra nel vivo, palesando tutti i limiti di spesa e le difficoltà nel reperire le risorse, Sergio Mattarella tocca un nervo scoperto, quello della Sanità pubblica. Lo fa con poche parole che sono miele per la maggior parte dei governatori riuniti a Torino per una grande kermesse chiamata il “Festival delle regioni”.

Per le regioni infatti la spesa sanitaria costituisce il maggior onere gestionale sia in termini finanziari che organizzativi. Un onere che si abbatte violentemente sugli enti locali: basti pensare che la spesa in Sanità ha recentemente sforato il 13 per cento del totale della spesa pubblica complessiva. Non aggiunge altro il presidente della Repubblica ma l’assist è stato fornito. Il primo ad approfittarne è proprio il presidente della Conferenza delle regioni, Massimiliano Fedriga, che da tempo chiede “l’integrazione del fondo sanitario”. Le regioni, spiega, chiedono al governo “di incrementare il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale con la prossima Legge di Bilancio, al fine di realizzare un’efficace, innovativa e sostenibile programmazione sanitaria”. In questa giornata torinese – il Festival sarà chiuso dalla premier Giorgia Meloni – il presidente sfiora, volutamente solo lo sfiora, un altro tema caldissimo nel dibattito politico – divisivo anche tra le regioni -, quello delle Autonomie. Mattarella non si sbilancia e tanto meno entra nelle pieghe del progetto di Calderoli ma non esita a sottolineare due concetti.

Il primo è che la ” Costituzione si ispira al principio e al valore dell’Autonomia” non mancando di ribadire che “la repubblica è una e indivisibile”. Il secondo è quasi un richiamo a non confondere l’unità del Paese con superate rappresentazioni di nazionalismo: bisogna sempre, spiega Mattarella, “bilanciare questo messaggio di unità con l’Unione europea, ambito sempre più fondamentale per il futuro del nostro Paese” Ma il concetto che il presidente vuole promuovere è quello della “collaborazione”: il capo dello Stato esorta infatti la platea riunita a palazzo reale di Torino a muoversi con “il senso di servizio alle Istituzioni”, invita i governatori a “fare squadra, a collaborare secondo quello spirito che è poi un canone costituzionale della leale collaborazione”. Ricordando sempre che “le regioni sono la colonna vertebrale del nostro Paese”.

A Torino sono tutti d’accordo sull’idea generale della forza dell’autonomia differenziata ma le divergenze non mancano. Se Zaia si spinge a parlare di “un nuovo Rinascimento” spiegando che “l’autonomia non è la secessione dei ricchi o un atto sovversivo, ma è la volontà di dare compimento a quanto previsto nel dettato costituzionale”, Emiliano parla di “vedute differenti sulle modalità attraverso le quali raggiungerla”. “Non bisogna aver paura”, sintetizza il governatore della Liguria Giovanni Toti, perchè “una maggiore Autonomia non è in contrasto con l’unità del Paese”. Infine non manca la preoccupazione delle regioni sul Pnrr e a Torino il tema è stato centrale nel dibattito. Anche in questo campo è stato Emiliano a manifestare perplessità sull’eccessivo accentramento della spesa a palazzo Chigi. A rassicurare è intervenuto il ministro per gli Affari europei, il Sud e le politiche di coesione, Raffaele Fitto, che ha spiegato di essere ottimista sulla quinta rata del Piano. Parole che sono state apprezzate dal presidente Mattarella che lo ha pubblicamente ringraziato per il suo “impegno inesausto”.

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‘Abbiamo ragione, impugneremo’. Le mosse di Piantedosi

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“Impugneremo e siamo convinti che abbiamo ragioni da sostenere nel grado di giudizio successivo”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è turbato dalle decisioni di Iolanda Apostolico, la giudice del tribunale di Catania, sezione Immigrazione, che hanno disposto l’immediato rilascio di quattro richiedenti asilo tunisini trattenuti nell’apposito centro di Pozzallo.

“E’ la democrazia”, osserva. E l’Ufficio legislativo del ministero è al lavoro – in contatto con l’Avvocatura dello Stato – per definire la procedura di impugnazione, che potrebbe avvenire con un ricorso in Cassazione. Al Governo, più in generale, filtra fiducia sull’esito ed il titolare del Viminale assicura che, comunque, gli atti del magistrato siciliano “non frenano la nostra iniziativa, neanche nel caso di specie: si tratta di persone che cercheremo di rimpatriare attraverso le procedure accelerate che sono previste dalle leggi nazionali ed europee. Il trattenimento è solo uno strumento in più per gestire questo tipo di procedure, quindi andremo avanti sicuramente”.

Già, perché nelle intenzioni del ministro, quello di Pozzallo (84 posti), è solo il primo di una serie di strutture analoghe da realizzare sul territorio nazionale e destinate ad accogliere richiedenti per un periodo massimo di 4 settimane, il tempo di valutare la richiesta ed avere il via libera del giudice. In caso di diniego scatterebbe l’espulsione. Che non potrebbe avvenire se il richiedente si trovasse in libertà e non ristretto a disposizione dell’autorità di pubblica sicurezza.

L’aumento dei rimpatri è infatti tra gli obiettivi chiave della strategia dell’esecutivo. E uno dei passi decisivi per conseguirlo è rappresentato proprio dalle procedure accelerate di frontiera per chi arriva da Paesi inseriti nella lista di quelli cosiddetti “sicuri” – come la Tunisia, appunto – messe in campo con il decreto Cutro ed ulteriormente rafforzate dai successivi provvedimenti del Governo: da ultimo la contestata garanzia finanziaria di quasi 5mila euro richiesta al migrante per evitare di essere trattenuto in un centri in attesa dell’esito dell’iter della domanda di asilo. Già il decreto legislativo 142 del 2015 prevedeva che durante lo svolgimento della procedura alla frontiera può essere disposto il trattenimento “qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria”. Ed è tutto regolare, è la posizione del Viminale: sono rispettate le leggi nazionali, le direttive europee ed anche la Costituzione. E’ in discussione, in particolare, la direttiva europea 33 del 2013 che reca “norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.

Secondo il giudice Apostolico essa prevede che “il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda”. La direttiva dettaglia i casi in cui il migrante può essere trattenuto: per verificarne l’identità e quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, tra gli altri. Viene precisato comunque che il richiedente può essere trattenuto “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso”, salvo “se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.

La direttiva, poi – altro punto contestato dalla magistrata catanese – indica che la procedura di frontiera non può essere svolta in una zona diversa da quella di ingresso: a Lampedusa, dove sono sbarcati i tunisini, e non a Pozzallo. E qui potrebbe esserci stato un vizio procedurale da parte del questore che ha emesso il provvedimento di trattenimento. Gli uffici legislativi stanno intanto limando l’ultimo decreto approvato dal Consiglio dei ministri mercoledì scorso, prima dell’invio al Quirinale: contiene, tra le altre, misure per l’allontanamento degli stranieri pericolosi ed una stretta sull’accertamento dell’età dei minorenni soli. Anche questo si annuncia controverso.

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De Luca alla chiusura della festa dell’Unità di Napoli: problema non è terzo mandato, ma sono io senza padroni

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“Il problema non è il terzo o il quarto o il quinto mandato. Il problema è Vincenzo De Luca, un uomo libero che non ha padroni e non ha correnti. Questo perché tra la bandiera di partito e la verità scelgo la verita e perciò credo di avere il rispetto anche degli altri partiti”. Lo ha detto il governatore campano Vincenzo De Luca a chiusura della festa dell’Unità di Napoli. “Chi vi sta parlando – ha detto De Luca intervistato da Luigi Vicinanza – è il più votato d’Italia del Pd. Io ebbi il 70% dei voti. Il Pd alle Comunali di Napoli ha il 12%. Chi vi sta parlando ha preso il triplo dei voti di quello che ha preso la Schlein. Non che mi aspetti che mi si dica grazie, ma perlomeno non mi rompete le scatole, fate perlomeno le persone educate. L’educazione – ha ribadito De Luca – non è un optional vorrei ricordarlo a qualche giovanotto del Pd, ma una precondizione. Se fossimo partito serio – conclude De Luca – avremmo parlato di quanto fatto alla Regione Campania per sputare sangue e rivendicare con orgoglio le cose fatte. Ma invece siamo dei maleducati, geneticamente scostumati, almeno alcuni di noi”.

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