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Cronache

Testamento Lollobrigida, metà patrimonio al factotum

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Un patrimonio milionario diviso a metà: una parte al figlio, l’altra all’ex segretario e factotum. E’ quanto previsto, secondo anche i dettami di legge, nel testamento di Gina Lollobrigida, la grande attrice morta a Roma nei giorni scorsi all’età di 95 anni. Oggi si è proceduto all’apertura dell’incartamento, che sarebbe stato redatto nel gennaio del 2017, che destina metà dei beni al figlio della “Bersagliera”, Andrea Milko Skofic e l’altra ad Andrea Piazzolla che annuncia però di voler devolvere la sua parte alla Fondazione voluta dall’attrice.

“Non prenderò neanche un centesimo. Ho già detto che desidero che la mia parte sia messa a disposizione per quelli che sono i suoi desideri. Quindi anche questa mia parte sarà messa all’interno del trust” che ha voluto per promuovere le sua attività, dice il factotum a ‘La vita in diretta’, auspicando che altrettanto faccia il figlio dell’attrice, Milko Skofic. “Visto che la volontà di Gina è molto chiara e che desiderava non lasciare nulla al figlio, quello che gli chiedo è di rispettare la volontà della mamma e di mettere anche la sua metà” nel Trust. Piazzolla è al centro di alcuni procedimenti penali all’attenzione dei magistrati di piazzale Clodio dopo alcuni esposti presentati proprio dal figlio dell’artista. Nel processo principale Piazzolla, che è stato al fianco della Lollobrigida negli ultimi dieci anni, è accusato di circonvenzione di incapace perché accusato di una sistematica spoliazione dei beni dell’attrice tra il 2013 e il 2018.

Dal 2021 la diva aveva un amministratore di sostegno nominato dal Tribunale per tutelare il suo patrimonio. Con Piazzolla a processo c’è anche Antonio Salvi, l’uomo che avrebbe fatto da intermediario con una casa d’aste per la vendita di circa 350 beni di proprietà della Lollo. Dal canto suo l’attrice ha sempre difeso il suo segretario. Nel corso dell’ultima udienza davanti al giudice del tribunale monocratico, il 20 gennaio scorso, è stato sentito come testimone della difesa Francesco Ruggiero, il cardiologo che ha avuto in cura l’attrice negli ultimi anni. “In più di un’occasione – ha riferito in aula – la signora Lollobrigida mi disse: ‘mi voglio vendere tutto, mio figlio non deve avere nulla’. Erano confidenze che mi faceva quando terminavo le visite varie e volte faceva riferimento al fatto che il figlio dell’attrice fosse lontano e non lì ad accudirla”.

Dal canto suo il figlio, sentito nel marzo dell’anno scorso in tribunale, parlando del rapporto tra la madre e Piazzolla, ha affermato di avere notato “un forte cambiamento nel suo comportamento, una persona si è approfittata della sua debolezza – ha detto Skofic -. Ho deciso di denunciare perché mia madre, dopo la conoscenza di Piazzolla, è cambiata, è diventata fuori controllo. Mia madre era molto attenta a come spendeva i soldi, una persona semplice, non faceva feste. Tutto questo è andato avanti fino a quando non è arrivato Piazzolla, intorno al 2009”. Il nome di Piazzolla compare anche in un altro procedimento che lo vede accusato di avere sottratto alla donna una auto di lusso e in un terzo processo legato alla vendita di opere d’arte presenti all’interno della villa sulla Appia dell’attrice. Secondo le accuse della Procura, il collaboratore personale della Lollobrigida avrebbe sottratto complessivamente diversi milioni di euro e beni, tra cui quadri e cimeli. “Gina ha sempre avuto un alto tenore di vita, fatto di viaggi e di tutto quello che riguarda i bisogni di una diva che vive nello splendore” spiega nell’intervista a Ra1 dove insiste: “la volontà di vendere era arrivata da Gina e non da me”. Piazzolla nega inoltre di essere stato a conoscenza del contenuto del testamento: “ho sempre evitato di parlarne” .

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Cronache

Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Cronache

Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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