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Terza dose: quanto dura immunità da vaccini Covid

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Covid vaccino

Almeno sei mesi. E’ questo l’intervallo minimo dopo il completamento del ciclo primario di vaccinazione anti-Covid che devono rispettare, per assumere la terza dose, i ‘fragili’ e gli over 60, le nuove categorie per cui una circolare del ministero della Salute ha dato ieri via libera alla vaccinazione booster. Il periodo di sei mesi e’ infatti quello piu’ indicato dalle aziende farmaceutiche come il limite di efficacia massima del vaccino. Da Pfizer a Moderna, a AstraZeneca a Johnson & Johnson, in linea generale tutte si dicono favorevoli alla terza dose: se infatti, dopo 6 mesi, la protezione per le forme gravi della malattia risulta pressoche’ invariata, successivamente la terza dose potrebbe garantire una maggiore protezione anche dalle forme lievi della malattia.

Ecco, per le 4 aziende, l’immunita’ dei loro vaccini in base agli ultimi studi disponibili e diffusi nell’ultimo periodo: PFIZER-BIONTECH – Due dosi del vaccino anti-Covid dell’azienda americana sono efficaci al 90% contro i ricoveri per Covid-19 per tutte le varianti, inclusa la Delta, per almeno sei mesi. La conferma in un nuovo studio del Kaiser Permanente Southern California (KPSC) health system e Pfizer pubblicato sulla rivista The Lancet. Questi risultati, si legge nello studio, sono coerenti con i rapporti preliminari dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) e del ministero della Salute israeliano, che hanno riscontrato riduzioni di efficacia del vaccino BNT162b2 contro l’infezione dopo circa sei mesi. Secondo un rapporto dell’azienda americana inviato alla Fda, l’immunita’ alle forme leggere o moderate di Covid, scende notevolmente tra i 6 e gli 8 mesi dopo la seconda dose di Pfizer. Anche senza il ‘booster’ la protezione del suo vaccino rimane pero’ forte nei confronti dei rischi di malattia grave.

MODERNA – A sei mesi dalla seconda dose, il vaccino anti-Covid dell’azienda americana continua a proteggere da almeno 6 varianti, compresa la Delta. A indicarlo la ricerca pubblicata sulla rivista Science dal gruppo dell’istituto americano Niaid (National institute of allergy and infectious diseases) guidato da Amarendra Pegu. Ed e’ di almeno 6 mesi la protezione del vaccino a un dosaggio piu’ basso (un quarto) di quello standard. Lo studio non dimostra pero’ che un dosaggio piu’ basso del vaccino di Moderna offra la stessa protezione di quello standard. Lo spiegano sulla rivista Science i ricercatori del La Jolla Institute for Immunology. In Europa la terza dose per immunocompromessi over 12 e’ stata autorizzata dall’Ema. Un numero crescente di studi, ha rilevato l’azienda, ha dimostrato il beneficio di una terza dose di vaccino Covid-19 in soggetti immunocompromessi. In particolare un recente studio in doppio cieco su 120 soggetti.

ASTRAZENECA – Il ciclo completo del vaccino, in base alla sorveglianza condotta in Inghilterra su un ampio campione di popolazione i cui risultati sono stati resi noti dalla Fnomceo (gli ordini dei medici), rispetto alla variante Delta garantisce un’efficacia del 67% (era del 74,5% contro la variante alfa). Una singola dose serve invece a poco, con un’efficacia di poco superiore al 30%. Un fattore importante, continua, e’ anche l’eta’.

JOHNSON & JOHNSON – Il richiamo a sei mesi per il vaccino contro il Covid di Johnson & Johnson aumenta di 12 volte il livello di anticorpi. Dopo 2 mesi, invece, il livello di anticorpi ha un incremento di 4 volte e la protezione arriva al 94%. Lo fa sapere la stessa azienda farmaceutica, che ha illustrato i nuovi dati sul vaccino in base a uno studio condotto negli Stati Uniti che ha incluso 390mila persone che hanno ricevuto il vaccino di Johnson&Johnson e circa 1,52 milioni di persone non vaccinate da marzo a fine luglio 2021. Il vaccino a dose singola di Johnson & Johnson, ricorda l’azienda, ha dimostrato un’efficacia del 79% per le infezioni e dell’81% per i ricoveri legati al Covid.

4/O RAPPORTO ISS-MINISTERO SALUTE: dati su 29 milioni di persone. Per i vaccini a mRna, nelle persone con piu’ patologie riduzione della protezione dall’infezione, dal 75% di riduzione del rischio dopo 28 giorni dalla seconda dose al 52% dopo circa sette mesi. In generale, confrontando i dati gennaio-giugno 2021 (con predominanza variante Alfa), con quelli luglio-agosto (a prevalenza Delta), emerge una riduzione dell’efficacia contro l’infezione dall’84,8% al 67,1%. Resta invece alta l’efficacia contro i ricoveri (91,7% contro 88,7%).

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Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

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La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

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Covid, meno ricoveri in ospedale e meno contagi

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L’indice di trasmissibilità per il Covid-19 basato sui casi con ricovero ospedaliero al 26 dicembre si conferma sotto soglia epidemica e sostanzialmente stabile con 0,75; in leggera diminuzione anche i ricoveri sia nei reparti che i terapia intensiva. Anche l’incidenza di casi Covid-19 diagnosticati e segnalati nel periodo 28 dicembre 2023-3 gennaio 2024 è in lieve diminuzione pari a 66 casi per 100.000 abitanti rispetto ai 70 della settimana precedente. Il numero di nuovi contagi segnalati è 38.736 contro i 40.988 della settimana precedente e i 60.556 della settimana ancora prima. Questo quanto emerge dall’ultimo monitoraggio del ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità, in cui viene spiegato che, per l’Rt, i valori potrebbero essere sottostimati “a causa di un ritardo di notifica dei ricoveri durante i giorni festivi” e per l’incidenza “in parte per una ridotta frequenza di diagnosi effettuate durante i giorni festivi”.

Per le ospedalizzazioni, al 3 gennaio l’occupazione dei posti letto in area medica risulta pari al 10,1% (6.320 ricoverati) rispetto all’11,0% rilevato al 27 dicembre 2023. In riduzione anche l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 2,8% (246 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (3,2% al 27 dicembre 2023). I tassi di ospedalizzazione e mortalità, viene rilevato nel monitoraggio, aumentano con l’età, presentando i valori più elevati nella fascia d’età 90+ anni; anche il tasso di ricovero in terapia intensiva aumenta con l’età. L’incidenza settimanale dei casi diagnosticati e segnalati risulta in diminuzione nella maggior parte delle Regioni e Province.

L’incidenza più elevata è stata riportata nella Regione Lazio (128 casi per 100.000 abitanti) e la più bassa in Sicilia (6 casi per 100.000 abitanti). Le reinfezioni sono al 43% circa, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente. Per quanto riguarda le varianti, alla data della più recente indagine rapida condotta dall’11 al 17 dicembre 2023, JN.1 (discendente di BA.2.86) è predominante, con una prevalenza nazionale stimata pari a 38,1%. Si conferma, inoltre, se pur con valori di prevalenza in diminuzione, la co-circolazione di ceppi virali ricombinanti riconducibili a XBB, ed in particolare alla variante d’interesse EG.5 (prevalenza nazionale stimata pari a 30,6%).

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In Spagna torna mascherina contro boom virus respiratori e Covid

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Un appello al “buon senso” e la raccomandazione “ad avere sempre a portata di mano la mascherina” da indossare negli ambienti affollati o sui trasporti pubblici è stato lanciato oggi dalla ministra spagnola di Sanità, Monica Garcia, a causa del “notevole aumento” di virus respiratori registrati negli ultimi giorni, che hanno già portato in emergenza numerosi centri di salute e servizi di pronto soccorso ospedalieri. In una dichiarazione alla tv nazionale Rtve, Garcia ha fatto riferimento all’incidenza attuale di virus respiratori “di 1.000 casi per 100.000 abitanti”, secondo il rapporto settimanale dell’Istituto Carlos III di riferimento.

“Il tasso di ricoveri, nonostante il lieve aumento, si mantiene basso, sotto i 30 casi per 100.000 abitanti”, ha aggiunto, ma “è prevedibile che continuerà a intensificarsi nei prossimi giorni”. La ministra ha convocato per lunedì il Consiglio interterritoriale del Sistema sanitario nazionale di salute, per “unificare i criteri per “affrontare i picchi di virus respiratori”, dopo che regioni come la Catalogna e la Comunità Valenziana hanno ripristinato da oggi l’obbligo di mascherina in ospedali, centri sanitari e residenze di anziani.

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