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Cronache

Tensione al Vecchio Pellegrini: tentata aggressione a Nisida del minorenne che aveva sparato a Chiaia

Tensione all’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli, dove i parenti del giovane ferito a Chiaia hanno tentato di aggredire il minorenne detenuto a Nisida. Il Sappe denuncia carenze strutturali e rischi per la sicurezza.

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Momenti di tensione venerdì scorso all’ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli. I parenti del ragazzo ferito a colpi di pistola a Chiaia hanno tentato di aggredire il minorenne detenuto a Nisida, autore della sparatoria, che si trovava in ospedale per ricevere cure mediche alle gambe, dopo essere stato lui stesso ferito in un successivo agguato ai Quartieri Spagnoli.

Il giovane, individuato e arrestato dai carabinieri poche settimane fa, è detenuto da un mese presso l’istituto penale minorile di Nisida. Venerdì era stato accompagnato al Pellegrini dalla Polizia penitenziaria per sottoporsi a controlli sanitari, quando ha incontrato i familiari del ragazzo da lui ferito.


L’intervento delle forze dell’ordine

Secondo quanto riferito dal Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria), la situazione è rapidamente degenerata:
sono volate minacce e insulti, con tentativi di aggressione sventati solo grazie al tempestivo intervento delle forze dell’ordine.
Sul posto sono arrivati anche agenti della Squadra mobile di Napoli, diretta da Giovanni Leuci, insieme al personale della penitenziaria di Secondigliano.

“Il personale in servizio di scorta, composto da appena due unità, ha percepito il reale pericolo per l’incolumità del minore detenuto e ha chiesto rinforzi, riuscendo così a evitare il peggio”, ha spiegato Federico Costigliola, coordinatore regionale del Sappe per la Campania.

Grazie all’intervento congiunto, il giovane è stato messo in sicurezza e ricondotto a Nisida senza conseguenze giudiziarie per i presenti.


L’allarme del Sappe: “Serve una riforma per i minori detenuti”

L’episodio diventa occasione per riaccendere i riflettori sulle condizioni di detenzione dei minori.
Il sindacato sottolinea che il ragazzo è gravemente ferito e costretto a restare allettato, bisognoso di cure continue:

“È detenuto in un istituto situato in una zona rossa per rischio bradisismico – denuncia Costigliola – e la sua condizione richiede l’impiego di almeno tre agenti solo per gli spostamenti di emergenza, senza alcuna direttiva operativa chiara.”

Il sindacato denuncia una situazione logisticamente insostenibile, con carenze strutturali e di personale che mettono a rischio la sicurezza sia dei detenuti sia degli agenti.


Capece: “Devianza minorile in aumento, servono correttivi”

Il segretario generale del Sappe, Donato Capece, ha allargato l’analisi al sistema penitenziario minorile nel suo complesso, evidenziando l’aumento dei casi di devianza giovanile e la presenza di molti detenuti stranieri non accompagnati.

“Occorre un’attenta analisi di quanto accade nella giustizia minorile, condotta con professionalità dal capo Dipartimento Antonio Sangermano. I segnali sono preoccupanti e servono misure strutturali,” ha dichiarato Capece.

Il dirigente ha ricordato che il recente Decreto Caivano consente il trasferimento dei detenuti tra i 18 e i 25 anni nel circuito degli adulti, misura pensata per contenere episodi di violenza e incompatibilità con il trattamento minorile.

“Non si può ignorare – conclude Capece – che il vero nodo è capire le cause del crescente disagio giovanile e intervenire prima che la criminalità diventi l’unica scuola per tanti ragazzi.”

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Cronache

Tragedia ad Arezzo, 22enne muore in un incidente sulla regionale 327

Un giovane di 22 anni è morto ad Arezzo dopo essersi schiantato con l’auto contro un albero sulla regionale 327. Dinamica dell’incidente ancora da chiarire.

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Un ventiduenne ha perso la vita nel pomeriggio sulla regionale 327, alle porte di Arezzo, in località San Zeno. L’incidente è avvenuto intorno alle 17.

La dinamica ancora da chiarire

Secondo una prima ricostruzione, il giovane, di origine moldava, avrebbe perso il controllo dell’auto per cause ancora da accertare. Il veicolo è finito contro uno dei pini che costeggiano la carreggiata, senza lasciargli scampo.

I soccorsi

Sul posto sono intervenuti immediatamente le ambulanze del 118, i vigili del fuoco e la polizia municipale di Arezzo. Nonostante i tentativi di rianimazione, per il ragazzo non c’è stato nulla da fare.

Traffico in tilt

L’incidente ha provocato pesanti ripercussioni sul traffico della zona, con rallentamenti e deviazioni necessarie per consentire i rilievi e la messa in sicurezza dell’area.

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Cronache

Il delfino Mimmo torna nel bacino di San Marco dopo il salvataggio: non vuole lasciare Venezia

Il delfino Mimmo, appena accompagnato fuori dal bacino di San Marco con un sonar speciale, è tornato indietro scegliendo ancora una volta le acque veneziane come suo habitat.

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Ha scelto il bacino di San Marco e da lì non sembra voler andare via. Mimmo, il delfino che da giorni attira turisti e curiosi, è tornato a nuotare nello specchio d’acqua più famoso al mondo poche ore dopo essere stato accompagnato al largo.

L’operazione della Capitaneria

Ieri la Capitaneria di Porto aveva coordinato un intervento per guidare il cetaceo verso acque più profonde, utilizzando un particolare sonar e una scorta di imbarcazioni. Una manovra riuscita: Mimmo aveva seguito il percorso fino all’uscita dal bacino, lasciando sperare in un suo ritorno definitivo al mare aperto.

Il dietrofront inatteso

Il sollievo è però durato poco. Appena la scorta è rientrata alla base, il delfino ha cambiato rotta e ha fatto ritorno nel bacino di San Marco. Un dietrofront che ha sorpreso gli operatori e divertito i turisti, entusiasti di ritrovare Mimmo tra gondole e vaporetti.

La scelta del suo “habitat”

Nonostante gli sforzi per allontanarlo, Mimmo sembra aver deciso che quelle acque sono il suo habitat naturale. Una scelta che continua a regalare un piccolo spettacolo quotidiano nel cuore di Venezia.

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Cronache

Caso “La cattura di San Pietro”: cadono due accuse per Sgarbi, resta il processo per riciclaggio

Cadono autoriciclaggio e contraffazione, ma Sgarbi andrà a processo per riciclaggio nel caso della tela del ’600 “La cattura di San Pietro”. Al centro, il presunto trafugamento e la comparsa in mostra dell’opera modificata.

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Cadono due accuse, resta in piedi la terza. È il primo snodo giudiziario nel caso della pregiata tela del ’600 La cattura di San Pietro, che vede imputato Vittorio Sgarbi. Il gup di Reggio Emilia ha escluso il processo per autoriciclaggio e contraffazione di beni culturali, ma ha disposto il rinvio a giudizio per riciclaggio.

La ricostruzione dell’accusa

Secondo l’impianto accusatorio, il dipinto sarebbe stato trafugato nel 2013 dal castello dell’anziana nobildonna Margherita Buzio. L’opera — attribuita a Rutilio Manetti — sarebbe stata poi modificata: una torcia, inserita da un restauratore che avrebbe ricevuto incarico da Sgarbi, avrebbe alterato l’aspetto originario del quadro.

A far arrivare il fascicolo a Reggio Emilia è stata la confessione del pittore Lino Frongia, che ha ammesso di aver aggiunto la fiammella sul dipinto. L’opera sarebbe ricomparsa nel 2021, in una riproduzione 3D esposta nella mostra I pittori della luce a Lucca, curata dallo stesso Sgarbi.

Le zone d’ombra sulle indagini

Il furto, segnalato anche all’Interpol, era stato denunciato nel 2013 ma il reato è prescritto. Nella denuncia compariva già il nome di Sgarbi e quello del suo collaboratore Paolo Bocedi, che secondo i carabinieri avrebbe consegnato la tela — arrotolata e danneggiata — a un restauratore. La replica in 3D sarebbe servita, secondo gli investigatori, a mascherare gli interventi effettuati sull’originale.

La difesa di Sgarbi

Sgarbi sostiene che i quadri siano due e non lo stesso, spiegando di aver trovato l’opera in suo possesso in un castello abbandonato acquistato nel Viterbese. Secondo la difesa, le misure delle due tele non corrisponderebbero e gli archivi personali del critico lo dimostrerebbero.

Gli avvocati Alfonso Furgiuele e Giampaolo Cicconi osservano: «I due reati archiviati sono quelli su cui abbiamo svolto attività difensiva. Per l’imputazione residua ci riserviamo di presentare una memoria».

Il processo proseguirà dunque solo sul fronte del riciclaggio, con una vicenda giudiziaria che resta intricata e ancora lontana dalla conclusione.

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