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Tempi rapidi per l’ad Rai, poi i nuovi programmi e le direzioni dei telegiornali da cambiare

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Si attendono sviluppi a breve sul futuro della governance Rai. La nomina del nuovo ad, dopo le dimissioni di Carlo Fuortes, potrebbe arrivare già in settimana. Giovedì è in programma un consiglio dei ministri che potrebbe designare il direttore di Radio Rai, Roberto Sergio, per poi procedere con la convocazione del cda per la ratifica. Non è escluso, però, che si vada all’inizio della prossima settimana, prima della partenza della premier Giorgia Meloni per l’estero. E poco prima della possibile audizione di Fuortes in Commissione di Vigilanza, programmata per mercoledì 17 e in attesa di essere confermata o cancellata. In tempi rapidi dovrebbe poi essere nominato direttore generale Giampaolo Rossi, destinato a prendere il timone dell’azienda dall’anno prossimo con l’avvio del nuovo mandato.

In cda occorrerà trovare nuovi equilibri, perché i numeri sono comunque in bilico e per far passare i provvedimenti servirà l’appoggio della presidente Marinella Soldi, espressione del governo Draghi, dei due rappresentanti dell’opposizione o del membro eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà. Quest’ultimo denuncia l’ormai evidente controllo del governo e dei partiti nei confronti del servizio pubblico, negando che sia mancato un atteggiamento costruttivo da parte del cda, come affermato da Fuortes. L’ad dimissionario nega di aver chiesto compensazioni economiche.

“Mi sono dimesso – spiega rinunciando volontariamente a oltre un anno di compenso che avrei ricevuto se fossi rimasto in carica fino alla scadenza del mandato fissata al luglio 2024”. Il suo futuro è incerto: al San Carlo il sovrintendente Stephane Lissner è pronto a presentare ricorso contro il decreto che lo costringerebbe a lasciare, rallentando l’eventuale avvicendamento. Per quanto riguarda la Scala il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, torna ad escludere che “in questo momento possa essere presa in considerazione la candidatura di Fuortes”, perché “si è troppo politicizzata la cosa”.

Le prime urgenze per il nuovo vertice Rai sono i palinsesti autunnali, il contratto di servizio in scadenza e il piano industriale. La maggioranza non fa mistero di voler cambiare la narrazione del Paese, ritenuta da sempre sbilanciata a sinistra, e intende farlo anche rivoluzionando la tv pubblica con trasmissioni e conduttori rinnovati. Per il prossimo autunno è difficile che si possa cambiare molto, ma qualche primo intervento sicuramente ci sarà. Si prevedono cambiamenti, ad esempio, per i programmi informativi. Potrebbe tornare in Rai Nicola Porro, per condurre un nuovo programma o per prendere il posto di Fabio Fazio che viene dato in uscita verso il Nove.

Sembrano destinate ad avere sempre più visibilità Nunzia de Girolamo, Monica Setta e Laura Tecce, mentre Manuela Moreno è considerata in pole per la conduzione di Agorà. Presto è prevista anche la prima tornata di nomine, che potrebbe portare cambiamenti anche al Tg1, dove è forte la candidatura del direttore dell’Adnkronos Gian Marco Chiocci, anche se l’assemblea dei cdr Rai già si dice pronta alle barricate in caso di arrivo di un esterno.

Al Tg2 potrebbe arrivare, invece, Antonio Preziosi. Sul fronte intrattenimento, Marcello Ciannamea è in pole per la direzione Prime Time al posto di Stefano Coletta, finito nel mirino del centrodestra dopo il Festival di Sanremo. Sta, invece, già lavorando alla kermesse canora del prossimo anno Amadeus, forte di un contratto blindato nel doppio ruolo di conduttore e direttore artistico. In arrivo al timone de L’Eredità, che potrebbe partire a gennaio 2024 per il prolungarsi di Reazione a catena fino a dicembre, c’è Pino Insegno.

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Cinema

Cristina Comencini: il cinema delle donne è una nuova ricchezza. Io dalla parte delle donne sempre

Cristina Comencini racconta al Corriere della Sera il successo de “Il treno dei bambini”, la sua visione sul cinema delle donne, la politica e il suo nuovo amore.

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Cristina Comencini (le foto sono di Imagoeconomica), con il suo ultimo film “Il treno dei bambini” tratto dal romanzo di Viola Ardone e disponibile su Netflix, ha raggiunto quasi trenta milioni di visualizzazioni. «Mi sembra incredibile», racconta, «ma credo che il tema profondo del dopoguerra, del trauma che la guerra lascia sui sentimenti, abbia colpito il pubblico di tutto il mondo».

Il cinema tra piattaforme e sale

«Portare la gente in sala è bellissimo, ma difficile. Le piattaforme e il cinema possono coesistere. L’importante è, come diceva mio padre Luigi Comencini, mantenere sempre la massima verità e bellezza in quello che si crea», afferma Cristina, riflettendo sulla trasformazione del mondo cinematografico.

Il successo e la nuova generazione di registe

Comencini riconosce l’importanza del successo ma non lo vive come un punto di arrivo: «È un mestiere da montagne russe». È felice dell’affermazione di tante donne nel cinema italiano, come Paola Cortellesi, sottolineando: «Il cinema si è finalmente aperto alle storie delle donne, arricchendosi di nuove prospettive».

Il rapporto con la famiglia e il film di Francesca Comencini

Cristina racconta il forte legame con le sorelle e commenta il film di Francesca Comencini su loro padre Luigi: «Una scelta giusta. Ognuno vive un padre a modo suo». Nessuna gelosia, ma un affetto profondo che ha sempre unito la famiglia.

CRISTINA COMENCINI REGISTA

Politica, femminismo e il ruolo di Giorgia Meloni

Comencini ribadisce la sua radice di sinistra e il suo impegno per il femminismo: «Il sostegno reciproco tra donne non deve mai venir meno». Sul premier Giorgia Meloni, pur nella distanza politica, riconosce: «Per la sua parte politica sta facendo bene».

I cambiamenti nell’estetica e il coraggio delle attrici

Parlando di Giovanna Mezzogiorno, Cristina denuncia il problema della discriminazione estetica nel cinema: «Finalmente si inizia a dare meno peso all’apparenza e più al talento».

La maternità precoce e l’amore ritrovato

Diventata madre a 18 anni, Cristina confida di non aver rimpianti: «Mi ha dato la ricchezza di tutto ciò che ho scritto». Oggi vive una nuova fase felice della sua vita con il documentarista francese François Caillat, tra Roma e Parigi.

Il futuro: un nuovo romanzo in arrivo

Cristina annuncia anche il suo prossimo romanzo, “L’epoca felice”, che uscirà a ottobre per Feltrinelli: «Parlerà dell’adolescenza e della capacità della vita di sorprenderci anche quando meno ce lo aspettiamo».

 

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Esteri

Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: 14 morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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