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Tajani lavora ad una voce unica del G7 sui mandati Cpi

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L’Italia vuole arrivare ad una voce “univoca” del G7 sui mandati di arresto emessi dalla Corte penale internazionale contro il premier israeliano Benyamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant. E il titolare della Farnesina Antonio Tajani, che ha riunito a Fiuggi i colleghi dei Sette Grandi, punta ad arrivare ad una presa di posizione comune, da mettere nelle conclusioni del vertice. “Vediamo se si potrà avere una parte del comunicato dedicata a questo. Stiamo lavorando per trovare un accordo, credo che sia giusto”, ha spiegato al termine della prima sessione del summit, dedicato proprio al Medio Oriente.

All’impegno a far fronte comune sui principali dossier internazionali, Tajani ha dedicato il suo intervento di apertura della prima giornata di lavori, dopo aver accolto ad Anagni i capi delle diplomazie del G7 per poi spostarsi a Fiuggi: “L’unità in questo momento è la nostra forza, mi riferisco soprattutto ai rapporti con la Federazione russa. Ma forza non significa fortezza”, e per questo “ho voluto invitare altri Paesi in modo da avere un confronto più ampio e concreto”, ha aggiunto, riferendosi alla presenza ai tavoli dei lavori in Ciociaria anche dei rappresentanti dei Paesi arabi per il dossier mediorientale, e quelli asiatici per il tema Indopacifico che sarà affrontato domani.

Una posizione “unica” sulla Cpi è necessaria, secondo il vicepremier, con gli sherpa che lavorano a limare un possibile testo comune mentre finora i Sette si sono espressi in ordine sparso: gli Usa si sono detti contrari all’arresto, non facendo parte della giurisdizione della corte. Diametralmente opposta la posizione del Regno Unito, ribadita a margine dei lavori dal ministro degli Esteri David Lammy, che ha assicurato “l’impegno nei nostri obblighi ai sensi del diritto internazionale” e “al giusto processo”. “Nessuno è al di sopra della legge”, gli ha fatto eco la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock riferendosi al premier israeliano.

Più diplomatica la posizione italiana, nonostante l’acceso dibattito anche all’interno della maggioranza: “Noi riconosciamo la Corte di giustizia e difendiamo il diritto internazionale a livello giuridico e non politico, ma non ci convince l’equiparazione tra il terrorista che ha organizzato la caccia all’ebreo il 7 ottobre e il capo di un governo, fermo restando che non condivido il modo in cui Israele ha reagito”, ha ribadito Tajani, secondo cui ora “bisogna essere realisti e cercare di raggiungere la pace”, perché “le scelte velleitarie servono solo a prolungare la guerra”.

E “di certo non risolviamo il problema con un mandato di cattura per Netanyahu”. Sarà in meno di 24 ore che si proverà a raggiungere un punto di caduta tra queste posizioni. Intanto, il G7 ha espresso ottimismo sul raggiungimento di un cessate il fuoco in Libano, primo passo verso un ritorno alla stabilità del Medio Oriente al quale è stata dedicata la prima giornata di ministeriale, anche con una sessione allargata al quintetto arabo di Giordania, Emirati, Egitto, Arabia Saudita e Qatar: “Il G7 vuole aprirsi al dialogo con interlocutori privilegiati con cui fare un percorso di pace e di crescita”, secondo Tajani. E in serata spazio è stato dedicato anche alla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, con una cerimonia di inaugurazione di una panchina rossa che ha visto anche l’apposizione di una targa commemorativa.

“Basta femminicidi e basta violenza contro le donne, anche il G7 si mobilita”, ha sottolineato il vicepremier. La seconda giornata dei lavori, domani, sarà dedicata innanzitutto all’Ucraina, con una sessione allargata al ministro degli Esteri di Kiev, Andrij Sybiha, – che ha una fitta agenda di bilaterali – in cui verrà ribadito il sostegno all’Ucraina e si parlerà di ricostruzione e di prospettive per arrivare ad una pace giusta. Si proseguirà con il focus sull’Indopacifico – con la presenza dei ministri degli Esteri di Corea del Sud, India, Indonesia e Filippine – e all’Africa, Venezuela e Haiti, prima del passaggio di testimone col Canada che presiederà il G7 nel 2025.

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Imbarazzo sul caso Santanché, Meloni prende tempo

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Il silenzio, che si protrae per l’intera giornata, è piuttosto eloquente. Mentre Lega, Forza Italia e Noi moderati si affrettano a dare mostra di garantismo, sottolineando la “fiducia” nella ministra del Turismo, da Fratelli d’Italia nessuno parla. Né il partito, né i colleghi di governo vanno in soccorso di Daniela Santanché, rinviata a giudizio per falso in bilancio nel processo Visibilia. Non parla neppure Giorgia Meloni, che non si è vista a Palazzo Chigi in un venerdì che non segna proprio una delle migliori giornate per il governo. Sia per “l’imbarazzo”, come lo descrive più di qualcuno, per una accusa che leggera non è.

Sia perché le opposizioni sono ripartite alla carica con la richiesta di dimissioni (“Meloni le pretenda”, dice senza giri di parole Elly Schlein). Nella conferenza stampa di fine-inizio anno la premier, notano a Montecitorio, era già stata piuttosto freddina a proposito della titolare del Turismo, limitandosi a dire che una valutazione non si poteva fare senza prima aspettare la decisione dei giudici. Che oggi è arrivata e in molti ricordano come, per tutto lo scorso anno, lo spartiacque per un eventuale passo indietro sarebbe stato proprio un rinvio a giudizio.

“Poi ne parlerò con il ministro”, aveva puntualizzato Meloni e non è da escludere che una telefonata tra le due ci sia stata già all’ora di pranzo, poco dopo la pronuncia del Gup di Milano per il processo. Ma nulla filtra da Palazzo Chigi. Tutti chiusi in un silenzio che appunto si fa parecchio notare. “Vediamo bene le carte” prima, uno dei ragionamenti che si fa a taccuini chiusi tra i luogotenenti di Fdi. Ricordando peraltro che è l’altro procedimento, quello che vede la ministra indagata per truffa ai danni dell’Inps, quello più “pesante” e politicamente davvero “poco difendibile”.

Ma il fatto che nessuno si sia mosso o abbia parlato già segnala, secondo i bene informati, l’avvio di un accompagnamento alla porta per Santanché: tra i commenti si conta solamente quello del capodelegazione di Fdi e Bruxelles e neo vicepresidente di Ecr, Carlo Fidanza, che si ritrova davanti ai microfoni perché ospite di un convegno e comunque rimette ogni scelta alla presidente del Consiglio. L’ordine di scuderia resta infatti quello di non parlare. Ai piani alti di Fdi si riflette per tutto il giorno sull’opportunità di una uscita pubblica, soprattutto dopo quella degli alleati che rende ancora più eclatante l’assenza dal dibattito dei meloniani. Meglio tacere, almeno fino a che non si sarà pronunciata “Giorgia”.

Le note di Fi e Lega, peraltro, vengono lette in controluce ai piani alti di via della Scrofa. Perché una sua uscita rimetterebbe in gioco una casella nell’esecutivo che potrebbe interessare anche gli alleati, aprendo un fronte ulteriore oltre a quello, già caldissimo, delle prossime elezioni regionali. Niente rimpasti rimane un punto fermissimo per Meloni. Che, se si dovesse ripetere la necessità, riproporrebbe una staffetta rapida come già accaduto con l’uscita non proprio gloriosa di Gennaro Sangiuliano, subito sostituito da Alessandro Giuli, e con quella di tutt’altra natura (e di grande soddisfazione per la premier) di Raffaele Fitto al posto del quale è arrivato Tommaso Foti.

“Vediamo come si evolve la situazione”, dice chi ha avuto modo di parlare con la premier, anche se oramai in pochi sono pronti a scommettere che Santanchè rimarrà al suo posto fino a fine legislatura. Anche perché la grancassa delle opposizioni (fatta salva Italia Viva) non si placherà facilmente: “Con accuse così gravi chi ricopre incarichi istituzionali deve fare un passo indietro”, Meloni “è politicamente responsabile” del suo governo, va all’attacco la segretaria Dem. Uno spettacolo “indecoroso”, rincara la dose Giuseppe Conte, annunciando una nuova mozione di sfiducia del Movimento 5 Stelle contro la ministra. “Dimissioni subito” le chiedono anche da Avs e da Azione.

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A FI il seggio della Camera conteso al M5s

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Si profila un piccolo assestamento negli equilibri fra maggioranza e opposizione alla Camera, col centrodestra in procinto di salire di un seggio a scapito dell’area progressista. La Giunta per le elezioni di Montecitorio ha infatti accolto il ricorso dell’esponente di FI, Andrea Gentile, che, in seguito a un riconteggio dei voti, è stato “ripescato”. Nel caso in cui l’Aula confermi la decisione della Giunta, Gentile entrerà quindi nelle file dei deputati, prendendo il posto di Elisa Scutellà, eletta col M5s, che dovrà lasciare il Parlamento. Il ricorso di Gentile si basava sulla valutazione delle schede nulle e bianche del collegio in Calabria dove si è presentato per le elezioni politiche del 2022, senza essere eletto.

La Giunta, presieduta da Federico Fornaro (Pd), gli ha dato ragione. Il M5s ha protestato per diversi aspetti della vicenda: “Abbiamo chiesto il riconteggio anche dei voti validi – ha ricordato Scutellà – Questa è la prima volta che viene negato l’ampliamento dell’istruttoria, con l’apertura delle schede valide”. Nel Movimento i dubbi riguardano anche le dinamiche calabresi. Il presidente Cinque Stelle, Giuseppe Conte, ha parlato di “una grandissima ingiustizia per la democrazia, per il rispetto del voto dei calabresi”, una “terra difficile, dove ci sono tantissime inchieste sullo scambio politico mafioso di voto, ci sono tantissime inchieste per quanto riguarda un sistema clientelare ben collaudato”.

Gentile entrerà in Parlamento al posto di Scutellà in seguito a un’articolata catena di conseguenze: il ricorso ha riguardato il collegio uninominale di Catanzaro dove Gentile è arrivato secondo a 482 voti dall’esponente del M5s Anna Laura Orrico. Col riconteggio, a Gentile sono stati assegnate 240 schede in più rispetto a Orrico, che quindi ha “perso” il seggio. La deputata M5s era stata però eletta anche nel collegio proporzionale, che aveva “ceduto” alla collega di partito Scutellà. Ora Orrico “si riprenderà” il seggio che aveva ceduto a Scutellà, mentre Scutellà dovrà lasciare Montecitorio. “Per l’ennesima volta – ha detto Scutellà – la maggioranza, con la forza dei numeri, ha sacrificato quello che è il principio di democrazia”. L’ultima parola non è stata però ancora detta: quella spetta all’Aula della Camera. Per gli avvocati di Gentile, Oreste Morcavallo e Gisella Leto, il giudizio della Giunta per le elezioni è “un importante risultato che riafferma i valori di giustizia e di libertà del nostro Paese e in particolare del popolo calabrese”.

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Mattarella: tempi difficili, rispetto reciproco e dialogo

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In tempi difficili sono sempre più importanti i valori del “rispetto reciproco, del dialogo e del confronto, con l’ascolto delle opinioni altrui”. Questo è il messaggio che il presidente della Repubblica ha lanciato dall’università del Salento dove ha esaltato l’importanza del ruolo degli atenei per la crescita sociale del Paese e come “motore di sviluppo del territorio”. Per questo il capo dello Stato ha sottolineato la necessità di non allontanarsi da quel “meridionalismo adulto e protagonista” che rianimò il sud d’Italia dopo le rovine della seconda guerra mondiale. Sergio Mattarella è sceso nel mezzogiorno d’Italia, a Lecce, per partecipare alla cerimonia di inaugurazione del 70° anno accademico dell’Università del Salento, dove è stato accolto con estremo calore e da una serie di interventi molto diretti che hanno preceduto il suo intervento.

Appassionato e senza sfumature quello del rappresentante degli studenti, Enrico Greco, che ha interpretato la voce dei movimenti giovanili che in tutta Italia stanno protestando contro il ddl sicurezza: “mette in atto politiche repressive, con l’intento di fermare ogni voce contraria”. Così come netto è stato il giudizio su Gaza dove, ha detto dal palco, è in atto “un genocidio compiuto dallo Stato di Israele, che il mondo sta scegliendo di ignorare”. Anche il rettore ha toccato un tema caldo come quello delle migrazioni: “bisognerebbe lasciare posti vuoti per ricordare quei migranti che lasciamo morire in mare, quei migranti che sono tra i nostri migliori studenti”.

Vola alto poi Massimo Bray, direttore generale dell’enciclopedia Treccani, spiegando quanto sia importante il ruolo della formazione in tempi nei quali domina “l’individualismo sfrenato”, “uno dei maggiori pericoli che ci troviamo oggi ad affrontare – evidenzia – è quello contro la distorsione della realtà, la sottovalutazione del valore della memoria che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento, per la difficoltà di individuare fonti affidabili”. Parole, quest’ultime, che hanno trovato il consenso di Mattarella: oggi assistiamo a “mutamenti così profondi, veloci e radicali, dall’intelligenza artificiale alla grande intensità di strumenti di comunicazione” che c’è sempre più bisogno “di individuare nuovi equilibri e questi nuovi equilibri vanno trovati attraverso la cultura”.

Sempre ponendo “al centro di queste osservazioni la centralità della persona umana, i suoi diritti, la sua libertà”. Dal presidente viene un forte sostegno alla forza propulsiva delle università, le quali, oltre al sapere, devono insegnare l’equilibrio attraverso la cultura e il rispetto per le opinioni altrui. Questo è l’unico modo per tenere al centro la persona in un mondo di tumultuosi cambiamenti tecnologici. Infine un elogio del “dubbio”. Parola che sta perdendo l’accezione positiva del pensiero liberale che lo poneva al centro rispetto alle ideologie che impongono verità certe: e solo “attraverso il dubbio”, sottolinea Mattarella, si crea la capacità di ascoltare veramente “le opinioni altrui”.

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