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Svolta in Slovenia, sconfitto l’euroscettico Jansa: vince il movimento Gibanje Slovenija di Robert Golob

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In Slovenia la vittoria elettorale del Movimento Liberta’ (Gibanje Slovenija) di Robert Golob sul Partito democratico (Sds) del premier conservatore ed euroscettico Janez Jansa imprime una svolta decisa allo scenario politico nazionale, che esce dal voto odierno piu’ compatto e al momento con solo quattro partiti sicuri di entrare in parlamento. Per il Partito conservatore di Jansa si tratta di una sconfitta piu’ netta di quanto indicavano i sondaggi pre-elettorali, che parlavano di un probabile testa a testa con Golob. Gli elettori, invece, sembrano aver votato non solo a favore del volto nuovo della politica slovena, ma anche contro le politiche dell’Sds che hanno sollevato numerose critiche sia in patria che a Bruxelles, dove la Slovenia e’ finita sotto la lente di ingrandimento della Commissione Ue per una serie di scelte politiche considerate dannose per lo stato di diritto, la liberta’ di stampa e la pluralita’ dell’informazione.

Dopo i primi exit poll che indicavano un successo di ampie dimensioni di Golob, con quasi quindici punti di vantaggio su Jansa, i primi dati ufficiali hanno ridimensionato il distacco. Dopo lo spoglio di quasi il 70% delle schede, il Movimento Liberta’ e’ infatti avanti con il 33,3%, quasi nove punti in piu’ rispetto al 24,8% dell’Sds. Sicuri di entrare in parlamento sembrano i conservatori di Nova Slovenija (NSi) che ottengono oltre il 7%, e i Socialdemocratici (Sd) a piu’ del 6%. Vicini allo sbarramento del 4% restano invece la Sinistra (Levica), Uniamo la Slovenia e la Lista Marjan Sarec. Alta l’affluenza alle urne, che ha sopravanzato di molti punti quella delle precedenti legislative del 2018, poco sotto il 53%. Janez Jansa, dopo aver preso il timone del governo a marzo 2020 da Marjan Šarec, la cui formazione politica sembra essere rimasta fuori dal parlamento, ha dato vita a un governo conservatore. Ma a pochi mesi di distanza, complici sia le restrizioni e le complicazioni per il contenimento dell’epidemia da coronavirus, sia le polemiche per le accuse di bavaglio alla stampa e restrizioni alla democrazia, ampi settori della societa’ civile hanno iniziato a scendere in piazza ogni venerdi’ per manifestare contro Jansa e il suo governo, che e’ riuscito comunque a rimanere saldo nonostante numeri sempre piu’ risicati. Tuttavia l’opposizione e’ rimasta divisa in tante single e non e’ riuscita a creare un’alternativa politica, permettendo cosi’ al premier di terminare la legislatura.

Il responso del voto di oggi e’ pero’ che la maggioranza degli elettori ha preferito una svolta premiando Robert Golob, un personaggio in netta controtendenza rispetto a Jansa. Golob, ingegnere originario di Nova Gorica, e’ sicuramente un volto nuovo, e’ la prima volta che ricopre una carica elettiva, ma non e’ del tutto estraneo al mondo della politica. Fra il 2011 e il 2013, infatti, e’ stato vicino prima al movimento Pozitivna Slovenija del sindaco di Lubiana, Zoran Janković, uno dei suoi grandi elettori, poi si e’ avvicinato al Movimento di Alenka Bratušek. A inizi anni 2000 Golob e’ stato sottosegretario all’energia con il governo di Janez Drnovšek, e pochi anni dopo ha dato vita alla societa’ di compravendita dell’energia elettrica GEN-I, che ha contribuito a fondare per poi vendere la maggioranza allo Stato. Fino a dicembre scorso e’ stato al vertice di GEN-I, riconfermato dal 2004 con governi di ogni colore, ma il suo mandato non e’ stato poi rinnovato dall’esecutivo di Jansa. Lo scorso marzo Golob ha dato vita al Movimento Liberta’, raccogliendo la piattaforma del partito ecologista Z.DEJ (Adesso) e portandolo a diventare la casa di riferimento per liberali e progressisti.

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Attacco ucraino con missili Atacms su aeroporto militare a Taganrog: danni e risposta russa

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Le tensioni tra Russia e Ucraina si intensificano con un nuovo attacco sferrato dalle forze ucraine. Il ministero della Difesa russo ha annunciato che sei missili americani Atacms sono stati lanciati contro un aeroporto militare nella città di Taganrog, situata nella regione di Rostov. Secondo le dichiarazioni ufficiali, due missili sono stati intercettati dai sistemi di difesa aerea Pantsir, mentre altri quattro sono stati deviati grazie alle tecnologie di difesa elettronica.

L’attacco non avrebbe distrutto le infrastrutture principali dell’aeroporto, ma ha causato lievi danni. “Due edifici sul territorio dell’aerodromo e tre veicoli militari, insieme ad alcuni veicoli civili parcheggiati nelle vicinanze, hanno subito danni leggeri”, ha riferito il ministero. Tuttavia, vi sono stati feriti tra il personale a causa dei frammenti dei missili intercettati.

La risposta russa: “Misure appropriate”

In seguito all’attacco, il ministero della Difesa russo ha promesso una reazione. “Questo attacco con armi occidentali a lungo raggio non rimarrà senza risposta, saranno prese misure appropriate”, ha dichiarato il dicastero, senza fornire ulteriori dettagli. L’attacco è stato definito un’azione con armamenti forniti dall’Occidente, sottolineando la crescente influenza internazionale nel conflitto.

Un attacco simbolico o strategico?

L’utilizzo di missili Atacms, forniti dagli Stati Uniti, rappresenta un ulteriore passo nell’intensificazione delle operazioni ucraine, evidenziando il ruolo cruciale delle forniture militari occidentali. L’aeroporto militare di Taganrog, situato in una zona strategica vicino al confine con l’Ucraina, è un obiettivo significativo che segna un’escalation nelle operazioni di lungo raggio.

Un conflitto sempre più acceso

L’attacco ucraino e le conseguenti dichiarazioni del ministero della Difesa russo sottolineano come il conflitto tra i due Paesi continui a evolversi in un contesto sempre più teso e imprevedibile. Le implicazioni di queste azioni, sia sul fronte militare che diplomatico, potrebbero avere ripercussioni a lungo termine non solo sulla regione, ma anche sugli equilibri geopolitici globali.

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Siria, decine di esecuzioni sommarie di fedeli di Assad

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E’ l’ora della resa dei conti in Siria. Il regime di Assad si è dissolto ma la guerra civile continua più violenta che mai, con la furia che si è scatenata contro gli aguzzini del deposto rais. Li sono andati a prendere nelle loro case, tirati giù dai nascondigli improvvisati. Trascinati in strada, a Latakia, porto nord-occidentale siriano per decenni descritto come la roccaforte dei clan alawiti associati al potere degli Assad. Membri di quelle che fino a pochi giorni fa erano le temibili mukhabarat, i servizi di controllo e repressione governativi, sono stati giustiziati con colpi di pistola alla tempia o raffiche di mitra su tutto il corpo.

Sorte analoga ma più cruenta è toccata ad altri esponenti degli apparati di sicurezza del regime: uccisi e i loro cadaveri trascinati a lungo per le strade di Idlib, roccaforte dei jihadisti ora al governo a Damasco, mentre la folla inferocita li prendeva a calci. Sono state decine le esecuzioni sommarie condotte oggi in varie regioni della Siria, in particolare nelle zone di Idlib, Latakia, Hama, Homs e Damasco. Una violenza che viene da lontano e che sta riemergendo con tutti i suoi veleni in queste frenetiche ore di vendetta, seguite all’euforia della “liberazione” delle ultime 48 ore.

Almeno 40 cadaveri accatastati con evidenti segni di tortura e con fresche tracce di sangue sono stati rinvenuti a Damasco nell’ospedale militare di Harasta. “Ho aperto la porta dell’obitorio con le mie mani ed è stato uno spettacolo orribile: una quarantina di corpi erano ammucchiati, con segni di terribili torture”, ha raccontato uno dei primi miliziani di Hayat Tahrir ash Sham giunto nel tristemente noto ospedale-mattatoio di Harasta. E’ anche il giorno in cui continuano a riemergere testimonianze scioccanti delle sevizie compiute per decenni dagli aguzzini del regime nei confronti dei detenuti politici nella prigione di Saydnaya.

Nel carcere-inferno è stata trovata una delle sale di tortura: una serie di corde da impiccagione rosse di sangue rappreso, una pressa meccanica per “schiacciare i corpi” senza vita, che venivano poi spostati nella “sala dell’acido e del sale”, dove “venivano sciolti”. Sull’onda di una rabbia antica e incistata nelle pieghe di una società violentata da troppo tempo, il leader dei miliziani jihadisti Ahmad Sharaa (Jolani) in mattinata aveva annunciato l’intenzione di pubblicare una lista dei “nomi degli ufficiali più anziani coinvolti nella tortura del popolo siriano”.

“Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni su alti ufficiali dell’esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra”, si leggeva nell’annuncio di Sharaa. Mentre il premier incaricato, Muhammad Bashir, ha promesso che il suo nuovo governo “scioglierà i servizi di sicurezza” del dissolto regime. Ma se gli ufficiali più anziani delle mukhabarat sono quelli che hanno maggiori risorse per fuggire all’estero o per nascondersi meglio, la furia si è abbattuta sui quadri medio bassi del sistema di repressione. “Lui è complice dei massacratori di Tadamon”, afferma un miliziano in uno dei video  indicando un presunto militare governativo, fermato dagli insorti. Il quartiere damasceno di Tadamon aveva visto nell’aprile 2013 l’uccisione di 41 civili da parte di soldati di Assad.

Come era emerso allora da una serie di video, confermati dagli inquirenti internazionali, le vittime erano state invitate a correre verso una fossa e in corsa venivano falcidiate da raffiche di mitra, cadendo morti nella fossa. In un altro filmato, girato nella località di Rabia, a ovest di Hama, due uomini, accusati di aver commesso crimini “contro i siriani”, sono circondati da uomini armati e in divisa. Urlano addosso ai due l’accusa di essere “maiali alawiti”. Seguono gli spari. Altre raffiche di fucili automatiche sono esplosi insistenti contro un camion aperto sul retro con a bordo miliziani filo-curdi catturati sul fronte orientale di Dayr az Zor.

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Corea Sud, arrestati capi della polizia nazionale e di Seul

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Il capo della polizia nazionale della Corea del Sud e quello di Seul sono arrestati per il loro ruolo nell’applicazione del decreto di breve durata sulla legge marziale del presidente Yoon Suk-yeol del 3 dicembre, dichiarata in serata e ritirata sei ore dopo per la bocciatura decisa dal Parlamento. E’ quanto riportano i media locali, ricordando che lo sviluppo è maturato a sole poche ore dalla presentazione della nuova mozione di impeachment contro Yoon da parte delle opposizioni guidate dal partito Democratico che dovrebbe essere votata sabato dall’Assemblea nazionale. In precedenza, l’ex ministro della Difesa e strettissimo collaboratore di Yoon, Kim Yong Hyun, è stato arrestato formalmente dopo che un tribunale di Seul ha approvato la misura cautelare nei suoi confronti per le accuse sul ruolo chiave ricoperto nell’imposizione della legge marziale e per abuso di potere. Kim è la prima figura di alto livello arrestata nella vicenda.

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