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Sul decreto Pnrr passa la fiducia, domani il voto

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Con 196 voti a favore, 147 contrari e cinque astenuti la Camera ha votato la fiducia sul decreto Pnrr, domani il provvedimento sarà approvato e diventerà legge. Mercoledì prossimo, 26 aprile, il ministro Raffaele Fitto terrà al Senato la prima informativa sullo stato dei progetti e sulla realizzazione degli obiettivi del Recovery. Solo in quel momento si dovrebbero conoscere quali progetti il Governo ritiene di non poter realizzare entro il 2026 ed eventualmente travasarli nei piani dei programmi della Coesione. “Dalla rimodulazione del Pnrr avremo più capacità fiscale, più capacità di spesa pubblica per sostenere in nostro sistema economico e imprenditoriale” dice Fitto poco dopo che il decreto ha ottenuto il voto di fiducia. Mentre da Milano l’ex ministro dell’economia dei governi Renzi e Gentiloni, oggi presidente di Unicredit, Pier Carlo Padoan, teme che sul Pnrr “L’Italia rischi di perdere la credibilità”. I Comuni, per voce del presidente dell’Anci, Antonio Decaro non ci stanno ad essere indicati come incapaci di spendere i fondi a loro destinati dal Pnrr.

“I dati ufficiali aggiornati sull’andamento delle gare per il Pnrr confermano che i Comuni sanno spendere e lo fanno bene. Di fronte ai numeri spero si esaurisca finalmente il dibattito sui Comuni che potrebbero causare ritardi nell’attuazione del Piano di investimenti” dice Decaro. Il Pnrr ha affidato ai Comuni 40 miliardi. “Alla data del 7 marzo di quest’anno ne sono stati effettivamente assegnati 31 miliardi e 700 milioni” fa sapere Decaro. Sulla base di questi fondi, stando ai dati pubblicati da Anac, i Comuni hanno già bandito, per la realizzazione dei propri progetti, 35 mila gare, impegnando 17 miliardi e 700 milioni. “Questo vuol dire che siamo a oltre il 56 per cento delle risorse disponibili già messe a gara” attacca Decaro ricordando che, a causa del blocco del turn over e delle politiche di taglio alla spesa pubblica, “le amministrazioni comunali soffrono di mancanza di personale e hanno dovuto superare in questi ultimi due anni ostacoli burocratici d’ogni tipo”. I 40 miliardi destinati ai Comuni sono però solo il 19% della cifra complessiva del Pnrr. “C’è un altro 81% di cui non parla nessuno” dice Decaro. Alla Camera, durante le dichiarazioni di voto, i parlamentari della maggioranza hanno ribadito la validità delle misure del nuovo provvedimento che modifica la governance del Pnrr e introduce misure di semplificazione con l’obiettivo di accelerare gli interventi previsti dal Pnrr. Rebecca Frassini (Lega), smentisce che il suo gruppo voglia restituire una parte dei 209 miliardi di fondi, la cui terza tranche di 19 miliardi dovrebbe essere sbloccata a fine aprile.

“Abbiamo a cuore questi denari, abbiamo a cuore di spenderli bene e di non buttare via un solo centesimo, perchè sono risorse pubbliche, risorse dei cittadini” assicura la deputata. Non ci credono dall’opposizione che chiede al Governo “un’operazione di verità e di trasparenza” soprattutto sull’uso delle risorse destinate al Sud dai Fondi della Coesione che con il nuovo decreto vengono messi in comunicazione con gli investimenti del Pnrr. Da parte dei Dem si contesta la data del 31 agosto come possibile orizzonte temporale per rivedere il Pnrr “Il 31 agosto era la data indicata per modificare i piani qualora fossero state avanzate nuove richieste di prestiti, ma noi i prestiti li abbiamo già chiesti tutti” obietta Pietro De Luca. Mentre Fitto assicura che il Governo sta seguendo “le indicazioni della Commissione europea che prevedono un nuovo capitolo per il piano Repower EU, e quindi la possibilità di rivedere complessivamente la nostra scelta entro la data del 31 agosto”.

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L’omaggio di Mattarella,sempre fedele alla Costituzione

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Novantotto anni di vita e gli ultimi 70 vissuti da protagonista della storia italiana ed europea, in cui si è distinto per “la capacità di dialogo con tutte le culture politiche” e la sua fedeltà alla Costituzione. La politica di tutti i colori e partiti rende omaggio a Giorgio Napolitano,il presidente emerito della Repubblica che si è spento in serata nella clinica romana. Negli ultimi giorni le sue condizioni di salute si erano aggravate. Da allora il paese e il mondo della politica hanno atteso e incoraggiato l’ex capo dello Stato e senatore a vita, sperando nell’ennesima ripresa. Poco prima delle 20, la notizia dell’addio. La politica gli darà l’ultimo saluto nella camera ardente allestita al Senato, probabilmente domenica.

Nel fine settimana n minuto di silenzio verrà dal mondo del calcio, che ebbe in lui il tifoso più eccellente ai Mondiali vinti nel 2006. “Per tutti noi resterà sempre il presidente campione del mondo”, fa sapere la Figc. A nome di tutti gli italiani, è stato il suo successore Sergio Mattarella a esprimere “il cordoglio dell’intera nazione”. Poi citando il lungo excursus di Napolitano (“eletto alle più alte magistrature dello Stato, presidente della Camera, senatore a vita, presidente della Repubblica per due mandati), il capo dello Stato rimarca le sue qualità: “Ha interpretato con fedeltà alla Costituzione e acuta intelligenza il ruolo di garante dei valori della nostra comunità, con sentita attenzione alle istanze di rinnovamento presenti nella società”. Ricorda quindi l’impegno per i lavoratori: “inesauribile fu la sua azione per combattere la spirale delle morti sul lavoro”.

Ma sottolinea anche alcune scelte nette come “l’adesione alla causa antifascista e del movimento comunista, l’impegno per lo sviluppo del Mezzogiorno e delle classi sociali subalterne, fino alla convinta opera europeistica e di rafforzamento dei valori delle democrazie”. E non nasconde il dolore più intimo: “La sua morte mi addolora profondamente”,scrive facendosi portavoce sia dei “sentimenti più intensi di gratitudine della Repubblica” sia del cordoglio ai familiari del presidente emerito. Vicina alla famiglia, la premier Giorgia Meloni che a loro si rivolge con “un pensiero e le più sentite condoglianze” a nome del governo. Il suo predecessore a Palazzo Chigi, Mario Draghi, fa un elogio del presidente che “è stato assoluto protagonista della storia italiana ed europea degli ultimi settant’anni”. Cita i tanti ruoli (anche come ministro dell’Interno) e rimarca la capacità di “coniugare il dialogo con tutte le culture politiche con quella di agire con saggezza e coraggio, a tutela dei cittadini e della Costituzione”. E’ un ricordo condito di aneddoti, quello del presidente del Senato Ignazio La Russa: “Per lui politica, cultura e istituzioni erano vita, passione, ma anche razionalità e coerenza. Quando ero ministro della Difesa – racconta – aveva stabilito con me, da capo supremo delle forze armate, un forte rapporto di collaborazione e io mai ho celato le mie simpatie personali nei suoi confronti, nonostante avessimo posizioni politiche ben distanti”. Rammenta pure che “la sua parola fu decisiva affinchè la celebrazione per i 150 anni dell’Unità d’Italia avvenisse con l’importanza che meritava”. Fino all’ultimo impegno chiesto di recente per presiedere il Senato per due giorni, prima del nuovo incarico. Dalla Camera, il presidente Lorenzo Fontana sottolinea che “Napolitano è stato un protagonista della scena politica e istituzionale”.

Non manca il cordoglio della Farnesina con il ministro Tajani “profondamente rattristato” e che ricorda il lavoro fatto insieme per anni al Parlamento europeo. “Non condividevo le sue idee, ma lo considero un importante protagonista della storia politica italiana”, conclude. Poche parole dall’altro vicepremier, il ministro Matteo Salvini, che si limita a “un ricordo e una preghiera” perché “ogni parola in più sarebbe di troppo”. Per Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, Napolitano al Colle “ha servito lo Stato in modo encomiabile e ha attraversato, con decoro e linearità, tutti i passaggi della vita repubblicana”. L’ex premier Romano Prodi si sofferma sull’autorevolezza con cui “ha saputo sempre rappresentare la nazione”.

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Addio a Napolitano, presidente due volte

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È stato l’uomo delle riforme a tutti i costi, napoletano di gran classe, elegante e ‘pignolo’, come egli stesso si è definito. Giorgio Napolitano, morto alle 19.45 di oggi, è stato il primo nella storia della Repubblica ad essere presidente due volte: rieletto al Quirinale nel 2013 dopo la prima volta del 2006. Attento ad ogni dettaglio, lavoratore instancabile, profondo conoscitore della vita parlamentare e delle dinamiche politiche dell’intera storia repubblicana. Sempre accompagnato con discrezione dalla moglie Clio, ha iniziato il primo settennato, nel 2006, gioendo per la vittoria dell’Italia ai mondiali di calcio di Berlino e ha concluso i quasi due anni del secondo mandato con qualche rimpianto per non essere riuscito a vedere del tutto compiuti quei cambiamenti istituzionali per i quali tanto si è speso. Ma soprattutto ‘re Giorgio’ ha dovuto affrontare quello che in molti considerano il periodo più buio degli ultimi 50 anni, navigando a vista tra gli scogli di una durissima crisi economica. E lo ha fatto con una convinzione incrollabile: che l’Italia avesse bisogno di stabilità politica.

In nome di questo principio ha cercato sempre di evitare scioglimenti anticipati della legislatura. Certamente il momento peggiore – che ha coniugato amarezza personale e preoccupazione istituzionale – è stato il suo coinvolgimento indiretto nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia con l’eccezionale deposizione alla Corte di Palermo salita in trasferta al Quirinale. Quella di Napolitano non è stata infatti una presidenza leggera né facile. Ma ha mantenuto sempre l’impegno preso il 15 maggio del 2006 quando promise solennemente davanti alle Camere che non sarebbe mai stato il capo dello Stato della maggioranza che lo aveva eletto, ma che avrebbe sempre guardato all’interesse generale del Paese. E così è stato, visto che dopo essere salito sul Colle più alto della politica italiana con i soli voti del centrosinistra, ha chiuso il primo settennato con l’aperto sostengo del centrodestra. Un sostegno che si è via via raffreddato durante lo storico bis nel 2013 al Quirinale che ha visto Silvio Berlusconi condannato e spesso i suoi all’attacco politico del presidente.

L’elezione del 2006 non era per niente scontata. La sua provenienza dal Pci lo faceva guardare con sospetto dal centrodestra berlusconiano. Ma il fatto di essere il primo dirigente comunista a diventare presidente della Repubblica non ha impedito al Cavaliere di riservargli, dopo poco, pubbliche lodi. Fino alla richiesta di far restare lui al Quirinale per superare quella turbolenta fase politica. Un Parlamento annichilito, dopo aver bruciato nel segreto dell’urna calibri come Franco Marini e Romano Prodi gli consegnò di nuovo lo scettro del Colle, inondandolo di applausi mentre Napolitano teneva nell’aula di Montecitorio un discorso durissimo nei confronti di un’intera classe politica. Le sue capacità di tenuta psicologica e mediazione gli sono state unanimemente riconosciute negli anni. Persino la Lega ha dovuto inizialmente riconoscergli l’impegno sul fronte del federalismo, nonostante più volte il capo dello Stato abbia redarguito il Carroccio sul tema dell’Unita nazionale. Lasciata con dispiacere l’amatissima casa nel rione Monti, ha dedicato grande attenzione alle relazioni internazionali. Indubitabile è stata infatti la stima che ha goduto all’estero: Washington, ad esempio, lo ha sempre considerato uno fra gli interlocutori più autorevoli e affidabili. Europeista convinto, Napolitano ha sempre sostenuto l’indispensabilità dell’Unione europea convincendosi via via che, così come in Italia, solo decise riforme dell’euroburocrazia potevano frenare il distacco dei cittadini e raffreddare il populismo crescente.

Affabile e cortese, dai toni sempre misurati, si è trovato a dover affrontare un muro contro muro solo con Grillo e il suo movimento, visto dal capo dello Stato, almeno nelle sue componenti più estreme, come il germe dell’antipolitica. Uno degli elementi caratterizzanti della sua presidenza è’ stato il tentativo di parlare all’Italia intera, di sedare lo scontro fra le correnti (a partire da quelle del Pd), di promuovere il dialogo fra le forze politiche nell’interesse del Paese. Compito non facile durante gli anni turbolenti dei suoi mandati. I primi due dei quali li passa monitorando le fibrillazioni che tengono il governo Prodi costantemente sul filo del rasoio. Fino alla caduta e al ritorno del Cavaliere a palazzo Chigi. I successivi tre anni scorrono nello sforzo di arginare l’attivismo di Berlusconi, evitando che le furiose polemiche sulle leggi ad personam prima e sugli scandali sessuali poi minassero la saldezza delle istituzioni. Tentando di non fare sconti al centrodestra, ma preferendo l’arma della moral suasion a quella, ben più dirompente, del rinvio dei provvedimenti alle Camere. Ma il passaggio che lo consegnerà alla storia come ‘re Giorgio’ (così lo incoronò il New York Times) è quello che nel novembre 2011 porta Mario Monti a palazzo Chigi. I critici parleranno di Repubblica presidenziale, di interpretazione estensiva delle sue prerogative. Evitato il default, l’Italia non riesce però a schivare la recessione. L’immagine del governo tecnico del presidente risulta danneggiata. I risultati elettorali che non diedero una maggioranza chiara, i veti incrociati dei partiti spinsero quindi Napolitano a nominare Enrico Letta sulla base di una larga intesa. Poi l’ascesa irrefrenabile di Renzi con il quale, nonostante la differenza di età, ha saputo costruire un rapporto sincero e pragmatico. Napolitano ha rassegnato le dimissioni il 14 gennaio 2015. È divenuto poi senatore di diritto a vita quale presidente emerito della Repubblica.

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La Cgil stronca il tavolo sul caro-prezzi, ‘una finta’

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Confronto tra governo e sindacati sul caro prezzi a Palazzo Chigi, con il leader della Cgil Maurizio Landini che stronca la riunione come “uno dei classici incontri finti, senza novità”. Un confronto “positivo e costruttivo con i sindacati sul contrasto all’inflazione e sulle misure a tutela del potere di acquisto di lavoratori, pensionati e famiglie”, ha affermato invece il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che ha presieduto il tavolo.

“La direzione che sin dall’inizio della legislatura abbiamo intrapreso a sostegno dei ceti medio bassi, dei lavoratori e delle famiglie è giusta e largamente condivisa ed ha ottenuto ottimi riscontri in questi mesi: l’inflazione si è ridotta più in Italia che nella media Ue”, ha sottolineato il ministro. Alcune tabelle diffuse dal ministero, che riprendono l’elaborazione Unità di missione del Garante per la sorveglianza dei prezzi su dati Eurostat, mostrano che ad agosto di quest’anno l’indice dei prezzi al consumo armonizzato Ipca, che misura l’inflazione con metodo comparabile con altri Paesi Europei, segna una crescita su base annua in Italia del 5,5%, “inferiore” alla media UE-27 (+5,9%), alla Germania (+6,4%) e alla Francia (+5,7%). A maggio scorso è stato avviato il confronto con le imprese che poi è arrivato all’accordo sul trimestre anti-inflazione, che partirà il primo ottobre per offrire a prezzi calmierati o ribassati una serie di prodotti del carrello della spesa.

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, assente al tavolo con la Cgil rappresentata dal segretario confederale Christian Ferrari, ha sottolineato in una conferenza stampa successiva che per combattere l’inflazione “non bastano i bonus, ma bisogna risolvere i nodi di fondo, con interventi strutturali: con l’aumento dei salari, con la conferma del taglio del cuneo fiscale, aumentando le detrazioni, detassando gli aumenti dei contratti nazionali”. Landini ha aggiunto anche che non c’è “alcuna risposta sulle pensioni e sulla sicurezza siamo di fronte al nulla”. Molto critica anche la Uil. “Quello che oggi ci è stato detto è che su alcune cose intendono prorogare i bonus già esistenti e soprattutto si punta sui redditi medio bassi e voi capite che questo è importante ma noi abbiamo anche tantissime famiglie e lavoratori dipendenti e pensionati che stanno a redditi medi ma che fanno fatica con il caro carburante, il caro energia, il caro libri scolastici e il caro mutui con un aumento generalizzato e le misure che si prospettano non sono misure per noi sufficienti”, ha detto la segretaria confederale, Ivana Veronese. Meno conflittuali Cisl e Ugl che hanno mostrato un’apertura verso le misure del governo.

“Consideriamo l’incontro importante, che darà sicuramente frutti se si trasforma in un cammino partecipato, condiviso nella prospettiva di definire una intesa trilaterale: governo, associazioni datoriali, sindacati per contrastare e contenere l’inflazione”, ha detto il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, chiedendo, però, che il piano sui prezzi calmierati non comprenda solo i beni alimentari ma venga allargato ad altri campi come quello “dell’energia, del carburante, del trasporto areo, del trasporto pubblico locale, delle editoria di problemi legati agli affitti e alla casa”. E anche per il leader della Cisl è “centrale la proroga strutturale del taglio del cuneo contributivo”. Per il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone, “ci stiamo incamminando verso un percorso positivo che riteniamo possa portare risultati positivi per i lavoratori per i pensionati” ma è da “confermare il taglio del cuneo”, ha sottolineato.

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