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Su Marte ci sono rocce con molecole organiche

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Contengono carbonio, idrogeno e ossigeno, le prime rocce marziane ricche di molecole organiche. Sono quattro e fanno parte delle 12 raccolte dal rover Perseverance della Nasa nell’ultimo anno e destinate a essere portate a Terra dal futuro programma Mars Sample Return (Msr), di Nasa e Agenzia Spaziale Europea (Esa). “Adesso sappiamo che il rover si trova nel posto giusto”, ha detto l’amministratore per la Scienza della Nasa Thomas Zurbuchen, nella conferenza stampa organizzata dall’agenzia spaziale americana e trasmessa online in diretta. Il sospetto forte e’ che possano essere le spie di forme di vita esistite in passato su Marte, ma al momento non ci sono elementi per poter affermare questo perche’ molecole del genere possono essere anche il risultato di processi chimici che non implicano la vita. Non si tratta comunque delle prime molecole organiche scoperte sul pianeta rosso: gia’ nel 2013 e poi nel 2018 un altro rover della Nasa, Curiosity, aveva scoperto sul suono marziano molecole che contenevano elementi “comunemente associati alla vita”, “ma che possono essere associate anche a processi non biologici”, come dissero allora i responsabili della missione. Di sicuro le ultime quattro rocce collezionate da Perseverance a partire dallo scorso 7 luglio sono sedimentarie, diverse da quelle ignee che da circa un anno fa ha cominciato a raccogliere in un altro punto del cratere Jezero. Questo e’ uno dei luoghi di Marte piu’ suggestivi per la ricerca della vita passata perche’ circa tre miliardi e mezzo di anni fa ospitava un grande lago nel quale confluiva un fiume. Qui Perseverance era arrivato nel febbraio 2021. La prima roccia a essere stata raccolta dal rover si chiama, Rochette, e come le altre sette raccolte in seguito e’ di tipo igneo, ossia e’ stata prodotta in seguito alla cristallizzazione del magma. Le ultime quattro, raccolte nella zona del delta dell’antico fiume, fanno invece parte della seconda parte della campagna di raccolta dei campioni e contengono molecole organiche. Non si tratta di molecole biologiche, hanno precisato gli esperti del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, responsabili dell’attivita’ del rover. Le rocce comprendono soprattutto carbonio, idrogeno e ossigeno, ma anche azoto, fosforo e zolfo: molecole del genere possono essere prodotte da processi chimici che non implicano la presenza di vita. Ad analizzarle e’ stato lo strumento Sherloc, equipaggiato con la telecamera Watson e del gruppo di ricerca incaricato di studiare i dati ci sono italiani che lavorano per l’Osservatorio di Arcetri dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Quasi sicuramente la risposta sulla natura di queste molecole si potra’ avere solo quando le rocce arriveranno a Terra grazie alla staffetta di missioni Msr, che secondo Lori Glaze, direttore della divisione di Scienze planetarie della Nasa, potrebbe partire fra il 2027 e il 2028, mentre i primi campioni potrebbero arrivare sul nostro pianeta nel 2033. Nel frattempo, ha detto Glaze, bisognera’ risolvere non pochi problemi, compreso quello di trovare un sito sicuro in cui far atterrare i veicoli del programma Msr.

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Verso il neurone artificiale, per l’IA del futuro

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Costruire un neurone artificiale che diventi la base per realizzare in futuro reti neurali superveloci perché basate sulla luce: è questo l’obiettivo del progetto Neho, finanziato dalla Commissione Europea con tre milioni di dollari per i prossimi tre anni e coordinato dall’Italia, con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Lecce. Le nuove reti neurali potranno essere utilizzate per ottenere una nuova fonte di calcolo a minor consumo energetico. Questo permetterà di rendere più efficienti le nuove tecnologie basate su algoritmi di intelligenza artificiale.

“Con questo progetto, potremmo entrare in una nuova era di elaborazione delle informazioni: più veloce, più efficiente dal punto di vista energetico e più flessibile che mai”, osserva il coordinatore del progetto Cristian Ciracì, leader dell’unità di Nanoplasmonica Computazionale dell’Iit di Lecce. Al progetto Neho (Neuromorphic computing Enabled by Heavily doped semiconductor Optics) partecipa per l’Italia anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche, per la Germania l’Università Ludwig-Maximilians di Monaco, per il Belgio l’Università di Gent e per la Francia il Cnrs e l’Università Paris-Saclay. Si apre così la strada a una nuova generazione di tecnologie dell’informazione basate sulle particelle di luce (fotoni), molto più veloci e meno dispendiose in termini di energia. Finora, però, è stato difficile riuscire a controllare i fotoni perchè queste particelle interagiscono molto debolmente con la materia. L’idea del progetto è perciò utilizzare delle quasi-particelle ibride che nascono dall’interazione degli elettroni con la luce: si chiamano plasmoni e sono composte da un elettrone e un fotone.

Per produrre i plasmoni i ricercatori dell’Iit intendono utilizzare semiconduttori ai quali aggiungere piccole percentuali di atomi estranei per modificarne le proprietà elettronich, e che vengono irradiati con luce con lunghezza d’onda nel medio infrarosso. Poiché un plasmone all’interno del materiale porta con sé sia un elettrone sia un fotone, i ricercatori potranno agire sulla parte elettronica per indurre un cambiamento sulla particella di luce. Questo tipo di interazione permetterebbe, in linea di principio, di controllare i fotoni ad una scala molto piccola. I ricercatori puntano a sfruttare gli effetti che si verificano sulla superficie dei semiconduttori, anziché all’interno del loro volume complessivo, in quanto tali effetti possono essere facilmente modulati controllando la densità superficiale degli elettroni, così come il vento genera onde sulla superficie del mare senza bisogno di muovere l’acqua in profondità. In questo modo, “potremmo rivoluzionare il modo in cui elaboriamo le informazioni – dice Ciriaci – sviluppando una piattaforma innovativa che sfrutta la tecnologia dei semiconduttori foto-plasmonici”.

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Arriva Vision Pro, il visore di realtà mista di Apple

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‘One more thing’. Con lo slogan che ha reso famoso Steve Jobs, co-fondatore di Apple, Tim Cook, l’attuale amministratore delegato dell’azienda americana, ha svelato Vision Pro, il primo visore di realtà mista della Mela. Il prezzo parte da 3.499 dollari, con disponibilità a inizio 2024 negli Stati Uniti e altri Paesi che si aggiungeranno nel corso del prossimo anno. “Pensiamolo come un nuovo computer, un modo per guardare film, serie televisive e giocare, come mai prima d’ora. Se l’iPhone ha aperto al mercato degli smartphone, Vision Pro avvia quello dello ‘spatial computing’. Niente più sarà come prima” ha spiegato Cook. A lungo atteso, il visore ha forme e design futuristici, con un sistema di fotocamere che permette, all’istante, di passare dalla visione dei contenuti virtuali alla comprensione dell’ambiente circostante, che si tratti della propria stanza o di un luogo condiviso. In tale modalità, a cui si accede girando una corona sulla plancia del dispositivo, i contenuti vengono sovrapposti al mondo reale, unendo così la realtà virtuale a quella aumentata.

“Questa è per noi la realtà mista” ha spiegato Alan Dye, vice presidente della divisione Human Interface. A differenza di visori concorrenti, Apple ha pensato ad una funzionalità particolare: Eyesight. Con questa, il visore mostra gli occhi di chi lo indossa, per un senso maggiore di presenza e di condivisione. Le telecamere a infrarossi e i led sono quasi invisibili sulla parte frontale. Questi sensori tracciano i movimenti degli occhi, mentre le telecamere riprendono ciò che l’utente ha intorno per restituirlo in alta risoluzione sullo schermo di Vision Pro. Il device è, come tutto l’ecosistema Apple, sincronizzato con i dispositivi del marchio che già si possiede. In questo modo, può visualizzare foto, video, musica e i file sul cloud creati e salvati da iPhone, iPad o computer. L’idea è anche quella di permettere di avviare una navigazione web, con Safari, da un Mac e continuarla, in maniera immersiva, su Vision Pro.

Non a caso, il visore supporta l’uso di mouse e tastiera via Bluetooth, per replicare in digitale il proprio computer e consentire di lavorare in modalità futuristica, anche su app famose come Microsoft Teams e Zoom. L’autonomia è di due ore con la batteria integrata ed è possibile usare l’accessorio da collegato alla presa di corrente, proprio come se fosse un Pc. Sul fronte audio, Vision Pro è dotato di un nuovo sistema audio spaziale, in grado di personalizzare il suono in base all’utente e di adattarlo all’ambiente in cui si trova. Apple chiama questa funzione “audio ray tracing”. Alla base del funzionamento c’è visionOs, il primo sistema operativo della Mela per la realtà mista che introduce anche Optic Id, un modo per autenticare l’utente tramite la lettura degli occhi e impedire ad altri di usare il visore e accedere ai dati personali.

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Un progetto da 128 milioni per la robotica nella riabilitazione

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Un progetto da 128 milioni di euro messi a disposizione dal Pnrr che mette in rete università, organismi di ricerca, clinica e industria per rilanciare la robotica nella medicina riabilitativa iniziando dalla ricerca per portare fino al paziente le enormi potenzialità offerte dal progresso tecnologico. A promuoverlo sono Ics Maugeri e l’ateneo di Pavia. L’obiettivo fissato dal ministero dell’Università e della Ricerca, coordinato dal Cnr (Centro Nazionale Ricerche), e presentato a Salerno è di ambizione pari alle risorse investite: creare il Centro di eccellenza per la riabilitazione con la Robotica e le Tecnologie Integrate (MedRehabRob). In tutto sono 25 i soggetti in campo. Il centro avrà due poli, uno a Salerno sotto la guida di Fondazione Don Gnocchi, e uno all’interno dell’Irccs Maugeri di Bari.

“Siamo molto onorati di fare parte di un progetto così importante – ha dichiarato nel suo intervento Luca Damiani, presidente di Ics Maugeri – e sentiamo in questa sfida il peso di una doppia responsabilità: fare presto per mettere a disposizione dei pazienti le enormi possibilità in più che ogni giorno la tecnologia ci offre; non sprecare neppure un centesimo dei fondi messi a disposizione perché il Pnrr impegna il futuro e dobbiamo esserne all’altezza”.

Robotica e tecnologie integrate miglioreranno la qualità di assistenza delle persone fragili, affette da malattie croniche o con disabilità, e i sistemi robotici per la riabilitazione possono essere lo strumento per migliorarne la qualità della vita. Attrattività di cervelli, sviluppo professionale per nuovi professionisti, saranno conseguenza dell’avanzamento dei lavori. “Maugeri e Don Gnocchi condividono l’essere eccellenze in campo riabilitativo ma è evidente che questo progetto – ha concluso Damiani – col suo patto tra istituzioni, punta su una grande squadra: Ministero, CNR, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, gli Atenei di Napoli e Pavia e altre venti soggetti di valore. Sono convinto che questo modello di collaborazione possa ottenere risultati importanti, e l’obiettivo è poterli mettere al più presto a disposizione dei pazienti dei nostri istituti e di tutto il Servizio sanitario nazionale”.

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