Collegati con noi

Economia

Studio Svimez presentato in Borsa: l’affare mozzarella vale 1,2 miliardi e dà lavoro a 11mila addetti giovanissimi

Pubblicato

del

Esiste un racconto di un altro Sud che è possibile. È questo il messaggio chiave della conferenza stampa tenutasi nella mattinata di oggi al Palazzo della Borsa di Milano, per illustrare i risultati dello studio Svimez sull’impatto socio-economico del comparto della Mozzarella di Bufala Campana Dop.

Scelta della location non casuale, che intendeva lanciare un messaggio importante: far capire che ci troviamo in un perimetro imprenditoriale ed economico, la mozzarella non è soltanto folkore di un prodotto tipico, come si tende spesso a minimizzare.

A illustrare i risultati di uno studio originale e peculiare, Luca Bianchi, direttore di Svimez, l’Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno. “Si è partiti da un elemento soprattutto identitario e si è cercato di capire se intorno a queste identità si costruiscono prospettive reali di sviluppo, e quanto questo grande prodotto contribuisce alla crescita del territorio”. Dati sorprendenti quelli emersi  “che non ci aspettavamo quando abbiamo commissionato lo studio”, spiegano gli esponenti del Consorzio che parlano di un settore che nel 2017 ha fatturato 577 milioni di euro. Un comparto che ha generato  un giro di affari di 1 miliardo e 218 milioni di euro. Ci troviamo davanti a un sistema molto solido pur essendo composto da imprese medio-piccole, con imprenditori che hanno generato dei numeri e una solidità finanziaria che fa invidia a tantissimi comparti della filiera agroalimentare.

La mozzarella offre lavoro a 11.2000 addetti, di cui il 32% al di sotto dei 35 anni. I giovani sono tanti e, come evidenziato dal Direttore del Consorzio, Pier Maria Saccani, parte del merito di questo sviluppo è dovuto a loro, che hanno una visione concreta e rivolta al futuro. 

La formazione è proprio uno dei tre punti principali individuati per crescere, insieme a internazionalizzazione e credito per lo sviluppo, rafforzando il rapporto con il sistema bancario meridionale per accrescere gli investimenti.  In un Mezzogiorno in difficoltà il Consorzio della Mozzarella rappresenta un caso unico, una storia di grande impegno che coinvolge 90 aziende e che riesce a rilanciare in Italia e all’estero l’immagine di un Sud molto diverso da come gli stereotipi tendono a dipingerlo.

“La mozzarella è probabilmente uno degli unici prodotti Dop italiani che ha un connotazione territoriale fortissima”, ha dichiarato Saccani. “La Campania nel 2018 è stata la seconda regione dopo il Veneto per turismo: c’è un interesse per il territorio, che è turistico e culturale”. E la scelta di spostare la sede del Consorzio alla Reggia di Caserta sta a significare come la mozzarella sia poi un vero e proprio bene culturale. Forte la vocazione all’export dei produttori della filiera bufalina: un terzo delle vendite del 2018 hanno infatti riguardato l’estero. Mercati di sbocco principali i più vicini paesi europei, ma anche Gran Bretagna e Stati Uniti, mentre si rileva un crescente interesse da parte di mercati emergenti dell’est Europa.

«La mozzarella ha avuto una crescita molto significativa negli ultimi anni. Nel 2018 ne sono stati prodotti oltre 50 milioni di kg” ha  spiegato il Presidente del Consorzio, Domenico Raimondo, che ha poi messo in evidenza i tre capisaldi che guidano il lavoro del settore: qualità, trasparenza e sostenibilità.

“I numeri illustrati sono in controtendenza rispetto a un Mezzogiorno che fa fatica a crescere. Gli scenari futuri dipendono da un’interlocuzione più efficace con istituzioni e politica. C’è bisogno di meno burocrazia e di più risposte da parte della politica per stare al passo con il mercato. Fare impresa al Sud è letteralmente “un’impresa”, e molte volte c’è scoraggiamento” ha chiosato il presidente Raimondo. 

Le condizioni per crescere ulteriormente ci sono ma, come è venuto fuori diverse volte durante la conferenza, c’è bisogno dell’aiuto di una politica che intervenga attivamente: partendo dal tanto richiesto alleggerimento della burocrazia, continuando con un aiuto nell’internazionalizzazione del brand, fino ad arrivare ai problemi logistici, molto significativi in questo caso, trovandoci davanti ad un prodotto fresco che va esportato in tempi necessariamente rapidi per conservare le caratteristiche organolettiche e per renderlo sempre un prodotto appetibile, non solo in Italia. 

Richieste che ci si aspettava sarebbero potute essere accolte da quello che poi è stato il grande assente di giornata, il Ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, trattenuto a Roma da cause politiche di forza maggiore. Il vicepremier, dall’alto del suo duplice ruolo, avrebbe potuto infatti dare risposte alle richieste del Consorzio di avere una mano concreta dal Governo.

Rimane quella che è un’incredibile storia, fatta di imprenditori che investendo hanno saputo creare valore su un territorio non facile, e di un Consorzio, quello della Mozzarella di Bufala Campana Dop, che li riunisce e li aiuta a continuare a scrivere questa bella pagina, dimostrando che un altro Sud è possibile.

Advertisement

Economia

Utili record per le banche italiane: oltre 112 miliardi tra 2022 e 2024

La stretta monetaria ha generato utili record per gli istituti di credito italiani: 46,5 miliardi solo nel 2024. Lo rileva un’analisi della Fabi. Torna centrale il credito.

Pubblicato

del

La stretta monetaria degli ultimi anni ha prodotto un effetto d’oro per gli istituti di credito italiani. Secondo un’analisi della Federazione autonoma bancari italiani (Fabi), dal 2022 al 2024 le banche hanno registrato utili netti aggregati superiori a 112 miliardi di euro, con un record assoluto raggiunto nel 2024: 46,5 miliardi di euro.

Il dato è reso possibile da un contesto di tassi d’interesse elevati, che ha rilanciato il core business del credito e rafforzato la redditività del comparto. A guidare la crescita è stata una dinamica positiva avviata nel 2022, dopo una fase di profitti più contenuti nel quadriennio precedente.

Il credito torna centrale nei ricavi bancari

Nel 2024 i ricavi totali del settore bancario hanno toccato quota 110,1 miliardi, con un aumento del 7,2% rispetto al 2023 e un incremento del 33,8% rispetto al 2018. In particolare, il credito è tornato a rappresentare la principale voce di ricavo, con una quota del 58,5%, superando le commissioni (41,5%) che avevano dominato dal 2019 al 2021.

L’ammontare dei prestiti a imprese e famiglie a giugno è cresciuto dello 0,9% su base annua, con un’accelerazione rispetto al +0,1% del mese precedente. Più nel dettaglio, i prestiti alle famiglie sono cresciuti dell’1,5% mentre quelli alle imprese hanno segnato un calo dell’1,4% nel mese di maggio.

Tassi in calo, ma il margine resta ampio

La fase di tassi elevati sembra ora avviata verso una normalizzazione. I tassi di mercato, secondo l’Abi, sono in discesa da ottobre 2023. A giugno, il tasso medio sui nuovi finanziamenti alle imprese è sceso al 3,56%, e quello per l’acquisto di abitazioni è stabile al 3,17%, in netto calo rispetto a dicembre 2023 (4,42%).

Il tasso medio complessivo sui prestiti è sceso al 4,02%, dal 4,08% del mese precedente.

Qualità del credito e stabilità patrimoniale

Resta solida anche la qualità del credito: l’incidenza dei crediti deteriorati netti è all’1,5%, con un tasso di copertura del 52,5%, ben sopra la media europea (41,4%). Le cessioni di Non Performing Loan per oltre 17 miliardi tra 2023 e 2024 hanno contribuito a stabilizzare i bilanci.

Gli indici di efficienza e redditività delle banche italiane restano tra i più solidi in Europa. A sostegno di questi risultati, sottolinea il segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni, c’è il lavoro quotidiano di centinaia di migliaia di dipendenti del settore, che hanno contribuito al raggiungimento di bilanci “così in salute”.

Nel 2023, grazie al nuovo contratto collettivo, è stato garantito un aumento medio di 435 euro mensili per i lavoratori, e recentemente è stato riconosciuto un ulteriore incentivo per i dirigenti.

Il sistema bancario italiano si presenta quindi robusto e performante, in un contesto economico che si avvia verso una nuova fase, segnata da tassi in calo e maggiore concorrenza tra istituti.

Continua a leggere

Economia

Carrefour verso l’uscita dall’Italia: in vendita tutta la rete dei supermercati

Affidato mandato a Rothschild per sondare il mercato. Interesse da gruppi italiani ed esteri. In corsa anche Mercadona, Lidl, Esselunga e Conad.

Pubblicato

del

Il colosso francese della grande distribuzione Carrefour sta valutando l’uscita definitiva dal mercato italiano. Nel 2024 l’Italia è diventata il quinto Paese per ricavi, ma resta classificata come mercato non strategico, e il gruppo ha affidato un mandato a Rothschild per cercare potenziali compratori.

La rete italiana comprende circa 1200 punti vendita, di cui 980 in franchising, e 18 mila lavoratori, diretti e indiretti. Secondo diverse fonti, sono già arrivate manifestazioni di interesse sia dall’Italia che dall’estero.

Mercadona favorita, ma si valuta anche la vendita a pezzi

L’opzione preferita sarebbe una cessione in blocco a un unico operatore, magari una catena non ancora presente in Italia. Mercadona, il gigante spagnolo, viene indicato come uno dei più accreditati. Tuttavia, la dimensione dell’operazionepotrebbe rendere più praticabile una vendita frazionata, per aree geografiche o per tipologie di punti vendita: prossimità, supermercati e ipermercati.

Questa ipotesi aprirebbe la partita anche a gruppi già presenti sul mercato come Esselunga, Conad, Selex, Végé, ma anche Lidl e Aldi.

Perdite per 874 milioni in cinque anni

Il gruppo francese è da tempo in sofferenza nel nostro Paese. Secondo Mediobanca, fra il 2019 e il 2023, Carrefour ha accumulato in Italia perdite per 874 milioni di euro. Nel solo 2023, i ricavi sono scesi del 4,8%, da 3,9 a 3,7 miliardi.

Pochi giorni fa, Carrefour ha anche annunciato 175 esuberi nella sede centrale di Milano, nell’ambito di un piano di ristrutturazione volto alla sostenibilità finanziaria.

Margini sotto pressione e potere d’acquisto in calo

L’Italia resta un mercato estremamente competitivo e frammentato, osserva Carrefour, dove la pressione sui margini è acuita da costi energetici, logistica e tassi d’interesse in crescita. A ciò si aggiunge il calo del potere d’acquisto dei consumatori, che rende ancora più difficile operare con profittabilità.

Se l’uscita di Carrefour sarà confermata, si tratterà di una svolta significativa per il panorama della grande distribuzione in Italia, aprendo spazi a nuovi equilibri e consolidamenti tra operatori.

Continua a leggere

Economia

Merz contro Unicredit, modalità ostili non le accettiamo

Pubblicato

del

Tempi duri per Unicredit che, oltre a non trovare sponde in Italia su Banco Bpm, mastica amaro anche in Germania. Su Commerzbank resta il muro contro muro con Berlino. L’approccio utilizzato dal gruppo guidato da Andrea Orcel continua a non piacere al Cancelliere tedesco. “Le modalità seguite sono ostili e noi non le accettiamo e non le sosteniamo”, è tornato a ribadire Friedrich Merz in occasione della conferenza estiva. Cambiano i governi ma non cambiano le posizioni. Merz si è riferito esplicitamente alla circostanza in cui Unicredit ha “trasformato” i derivati in azioni “senza concordarlo né con Commerzbank né con noi”, e ha definito la procedura appunto ostile e non accettabile. L’istituto di Piazza Gae Aulenti ad inizio mese ha convertito in azioni una parte della propria posizione sintetica nella banca di Francoforte sul Meno, consolidandosi così al 20% come primo azionista e con l’opzione di arrivare al 29,9%, la soglia d’opa.

Un modus operandi che ha ulteriormente indispettito la Cancelleria, con Merz che ha citato anche una “seconda ragione” sulle sue “riserve” all’operazione. “L’istituto che verrebbe fuori da questa operazione – ha spiegato – potrebbe rappresentare, anche a causa della sua struttura di bilancio, un consistente rischio per il mercato finanziario. E fino a quando questa questione non è chiarita in modo esaustivo – ha puntualizzato – non potrò cambiare la mia opinione”. Non si riducono dunque le distanze in Germania, così come in Italia resta impantanata l’ops su Piazza Meda con il termine del 23 luglio sempre più vicino. Anche la possibilità di un ulteriore rinvio della scadenza da parte della Consob ha una bassa percentuale.

“Stiamo studiando se abbiamo poteri, di fronte a una situazione che non è ancora chiarita, se abbiamo ancora poteri di poter concedere altro. La prima risposta che abbiamo è che non è così però se dall`analisi giuridica emerge che li abbiamo, allora eserciteremo questi poteri”, ha sottolineato il presidente della Consob, Paolo Savona, nella recente audizione alla Commissione d`inchiesta del Senato sul sistema bancario, finanziario e assicurativo. Detto questo la lente resta sempre sul cda di Unicredit, convocato per il 22 luglio per licenziare i conti del semestre mentre sottotraccia resta l’ipotesi di un consiglio straordinario che maturi una decisione definitiva. Nel caso di una rinuncia che è anche prevista nel prospetto, Unicredit potrebbe poi ripresentare l’offerta in un secondo momento. Stessa possibilità nel caso in cui l’offerta sia lasciata arrivare a scadenza senza raggiungere gli obiettivi. Per gli analisti di Mediobanca Research, la banca avrebbe bisogno “di due mesi per consentire ai processi in corso, tra Tar e Commissione Ue sulla legittimità del golden power, di arrivare ad una conclusione”, limitando al stesso tempo i margini a “disposizione del Credit Agricole per costruire una partecipazione in Banco Bpm sopra il 20%”. La Banque Verte peraltro ha in ballo con Unicredit la scadenza nel 2027 della partnership per la distribuzione dei prodotti di Amundi.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto