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Stretta sulla Corte dei Conti, “no a invasioni di campo”

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E’ una questione di “rispetto”. Dei ruoli e delle funzioni. Perché non ci devono essere “invasioni di campo”. Il governo, dopo giorni di polemiche, spiega così la scelta di mettere un freno ai poteri di controllo della Corte dei Conti sul Pnrr. Poteri che saranno ridimensionati perché i magistrati contabili, se passerà un emendamento depositato in commissione a Montecitorio, non potranno più operare il “controllo concomitante”, cioè in corso d’opera, sui progetti del Piano. Una azione che poteva essere richiesta anche dal Parlamento che ora vede “depotenziate” le sue prerogative, con la levata di scudi delle opposizioni, che hanno chiesto l’intervento del presidente della Camera per fermare una operazione “scandalosa” e che “lede pesantemente gli equilibri tra poteri”. Bisognerà attendere qualche ora per l’esito del ricorso sull’ammissibilità dell’emendamento del governo (che non interviene nel perimetro della pubblica amministrazione ma sui poteri di un organismo giurisdizionale) al decreto Pa, e arriva dopo il richiamo di Sergio Mattarella ai presidenti delle Camere proprio a evitare di fare lievitare i decreti legge caricandoli in Parlamento di modifiche non attinenti. “Si fanno beffe del presidente della Repubblica”, affonda da +Europa Riccardo Magi, mentre tutto il Pd parla di gesto “inaccettabile e chiede al governo di ritirare l’emendamento.

Avs senza mezzi termini la definisce una “porcata”, i 5S ci vedono l’ennesimo attacco a “trasparenza e legalità” cui Giuseppe Conte annuncia una opposizione “con tutte le nostre forze”, e il Terzo Polo accusa l’esecutivo di essere “senza pudore” e di dimostrare di non volere “essere disturbato”. La proposta dell’esecutivo, che in caso sarà sottoposta al voto domani, prevede anche la proroga di un anno dello “scudo” per il danno erariale. Altra questione sollevata anche dalla Corte, su cui l’esecutivo ha scelto di muoversi “in linea con i governi precedenti, non capisco le polemiche”, si difende il ministro Raffaele Fitto. Oggi per lui doveva essere il giorno della relazione sul Pnrr, la prima del governo di centrodestra, con cui fotografare lo stato dell’arte ma anche delineare i criteri guida per le richieste di modifica del Piano a Bruxelles. Ma il conflitto aperto con la Corte ha inevitabilmente occupato il dibattito tanto che domani ci sarà un incontro tra i magistrati contabili e il governo a Palazzo Chigi per chiarire la situazione (nel pomeriggio vedranno Fitto insieme ai sottosegretari Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano). Il controllo concomitante, ha sottolineato Fitto, è rimasto inattuato “per 12 anni, non c’è stato un solo intervento, mi permetto di sottolineare la tempistica”. Mentre ora, i dati che guardano nel governo, su “47 delibere” del collegio “44” sono state sul Pnrr, senza considerare che il governo Draghi alla Corte ha affidato un “controllo successivo” sui fondi del Pnrr. Elementi che probabilmente saranno portati domani al tavolo. In mattinata, peraltro, era arrivato anche il monito del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che nella sua ultima relazione annuale aveva sottolineato che “non c’è tempo da perdere”.

Fare “bene, velocemente ma non in fretta”, il mantra dell’esecutivo sintetizzato da Fitto, che ha comunque riunito la cabina di regia e illustrato in conferenza stampa le linee generali del documento, oltre 160 pagine, in cui l’esecutivo conferma l’intenzione di chiedere una revisione del Pnrr entro il 31 agosto, avviando però già da metà giugno le interlocuzioni con gli uffici della commissione. “Si tratta di un lavoro estremamente delicato che il governo sta portando avanti con la massima attenzione e con grande responsabilità”, ha scritto nella premessa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ribadendo che l’intenzione è quella di dare “piena attuazione” al Piano e di “mettere a terra” tutte le risorse. Ma è inevitabile, scrive il governo nella relazione, rivedere i passaggi intermedi ed eventualmente sostituire i progetti che si sono dimostrati irrealizzabili entro giugno 2026. Perché la guerra in Ucraina ha completamente modificato il quadro, i rincari, o l’assenza delle materie prime hanno rallentato i cantieri e il sistema ha ancora punti di “debolezza” soprattutto nella fase progettuale. Il processo di revisione, assicura comunque il governo, sarà portato avanti con un “proficuo confronto parlamentare, con l’intento di garantire la massima trasparenza nella rendicontazione dei risultati raggiunti”.

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Cronache

Campi Flegrei, che cosa succede? Parla il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo

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La preoccupazione è alta: le scosse di terremoto nei Campi Flegrei sono tante nelle ultime settimane. Bradisismo, eruzione, piani di evacuazione… La gente ha paura. Quello che potrebbe succedere nell’area flegrea puo interessare fino a 3 milioni di persone: abbiamo chiesto di capire di più ad un vulcanologo esperto, Giuseppe Mastrolorenzo. Ed ecco che cosa ci ha spiegato.

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Esteri

Ricatto di Saied, l’arma dell’invasione per i fondi

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Saied presidente Tunisia

Un gioco al rialzo o rivendicazioni a uso e consumo interno? Il presidente tunisino Kais Saied ha rifiutato un primo assegno da 127 milioni dell’Unione europea, bollandolo come “elemosina”, con un rigurgito – almeno all’apparenza – di anticolonialismo. O, piuttosto, per alzare la posta, brandendo la minaccia dell’invasione di migliaia di migranti pronti a salpare da Sfax verso le coste italiane. Con un duplice obiettivo: ricevere una somma più alta, sul modello dell’accordo da 6 miliardi di euro raggiunto dall’Ue con la Turchia di Erdogan nel 2016 per chiudere i rubinetti della rotta balcanica; e riuscire ad ottenere i 900 milioni di assistenza macrofinanziaria previsti dal memorandum del luglio scorso, sganciandoli dai quasi 2 miliardi che l’Fmi tiene bloccati in attesa di riforme. Riforme che Saied – che dal 2021 si presenta come nuovo autocrate del Nord Africa – non sembra intenzionato nemmeno ad avviare.

La Commissione europea aveva annunciato nei giorni scorsi di aver stanziato i 127 milioni da versare “rapidamente” a Tunisi. Bruxelles aveva precisato che si trattava di 67 milioni per combattere l’immigrazione illegale (i primi 42 milioni dei 105 milioni di aiuti previsti dal memorandum firmato due mesi fa e altri 24,7 milioni nell’ambito di programmi già in corso) e 60 milioni legati al sostegno del bilancio tunisino. Ma Saied ha bloccato tutto: “La Tunisia accetta la cooperazione, ma non accetta nulla che somigli a carità o favore, quando questo è senza rispetto”, ha dichiarato il presidente dopo aver rinviato e sospeso nei giorni scorsi anche le visite delle delegazioni europee, prima parlamentare e poi della Commissione. Questo rifiuto, ha tenuto a sottolineare Saied, “non è dovuto all’importo irrisorio ma al fatto che questa proposta va contro” l’accordo firmato a Tunisi e “lo spirito che ha prevalso durante la Conferenza di Roma” di luglio, “iniziativa avviata da Tunisia e Italia”.

“Non abbiamo capito ancora cosa volesse dire Saied. Non abbiamo avuto la trascrizione e stiamo lavorando per avere più informazioni”, ha ammesso un alto funzionario Ue, intuendo però che il tunisino “avrebbe preferito più aiuti” rispetto alla prima tranche. Sullo stato dell’intesa la fonte ha ricordato che il Consiglio “non è stato coinvolto” nei negoziati. Ma, ha sottolineato, “non possiamo dire che il Memorandum sia un fallimento”. E se anche a Bruxelles l’intesa con Tunisi trova un ostacolo nelle diverse posizioni dei 27, preoccupa lo stato dei diritti umani nel Paese, dove la democrazia sognata dalla rivoluzione dei Gelsomini è ormai naufragata e dove lo stesso Saied ha di fatto aizzato una caccia al migrante subsahariano, ormai poco tollerato da una popolazione alle prese con una grave crisi economica e alimentare.

Resta il fatto che l’Europa e l’Italia non possono fare a meno di lavorare con la Tunisia per arginare gli sbarchi che rischiano di mettere in crisi l’Unione e il suo futuro dopo le elezioni di giugno. E Saied lo ha capito, rilanciando ogni giorno, non solo per sedare le tensioni interne ma anche e soprattutto per spingere l’Europa, di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, a fare pressione su Washington per lo sblocco degli 1,9 miliardi del Fondo Monetario Internazionale.

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Sinner nella storia: batte Alcaraz e vola in finale contro Medvedev a Pechino

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Jannik Sinner nella storia: batte Carlos Alcaraz e vola in  finale del “China Open” a Pechino,  sui campi in cemento dell’Olympic Green Tennis Centre. Un torneo che ha come montepremi 3.633.975 dollari.

Sinner, 22 anni era la sesta testa di serie ed ha sconfitto in semifinale lo spagnolo Alcaraz, numero 1 del tabellone e del ranking mondiale, in due soli set con il punteggio di 7-6, 6-1, poco meno di due ore di gioco.  Il giovane azzurro altoatesino sfiderà per il titolo il russo Daniil Medvedev, seconda testa di serie e numero 3 del mondo, che in semifinale aveva battuto Alexander Zverev.

 

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