Nuova stretta alla prescrizione vitamina D per la fragilità ossea in adulti sani. A indicarlo è l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), che ha aggiornato i criteri di appropriatezza in base a nuove evidenze scientifiche che ne hanno chiarito anche la mancanza di benefici contro il Covid19. La scelta però non piace ai medici che devono prescriverla. “E’ basata su una logica economica, ma miope dal punto di vista clinico e della prevenzione. Studi sperimentali mostrano quanto la vitamina D sia importante per il buon funzionamento di diversi apparati, da quello immunitario a quello scheletrico. Il risultato è che noi continuiamo a consigliarla e i cittadini ormai quasi sempre la pagano per conto loro”, spiega Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (Sie). L’uso di integratori a base di vitamina D, precisa l’Aifa, “è uno dei temi più dibattuti in campo medico, fonte di controversie e di convinzioni tra loro fortemente antitetiche”. Sintetizzata con i raggi del sole e diventata famosa come cura contro il rachidismo infantile, questo ormone (colecalciferolo, calcifediolo) è da sempre usato per ridurre il rischio di fratture dovute a osteoporosi, ma non solo.
“La Vitamina D in circolo nel sangue – spiega l’endocrinologa – è un parametro di buona salute, mentre la sua carenza è legata a un elevato livello infiammatorio nell’organismo, con tutte le malattie collegate, dallo sviluppo di tumori, al peggioramento di obesità, diabete, ipertensione”. La Nota 96 era stata pubblicata nel 2019 per limitare la prescrizione a carico del Sistema Sanitario Nazionale di vitamina D e aveva portato “un risparmio di diverse decine di milioni l’anno, anche se con forte variabilità regionale”, come indicato dall’ex direttore generale Aifa Nicola Magrini. Ora, la nuova determina 48/2023 abbassa ulteriormente i livelli di ormone nel sangue per i quali la vitamina può esser prescritta. A renderlo “necessario” sono le nuove evidenze pubblicate, precisa Aifa, ovvero due ampi studi clinici randomizzati, uno pubblicato sul Nejm nel 2022 e uno su Jama nel 2020. Entrambi hanno concluso che la supplementazione con dosi di vitamina D più che adeguate (2000 UI al giorno) e per diversi anni non riduce il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi. Questi risultati, precisa Colao, “mostrano che da sola non previene fratture, e questo è vero perché la fragilità ossea può esser dovuta anche a carenze nutrizionali nel corso di tutta la vita e ad altre patologie, cosa che lo studio non considera”.
La vitamina D è anche ampiamente prescritta anche dai pediatri per potenziare il sistema immunitario, perché chi ne ha bassi livelli nel sangue in genere risponde meno bene alle infezioni. La nuova determina Aifa precisa però che la letteratura scientifica sull’utilizzo contro il Covid-19 mostra come “l’efficacia della vitamina D sia stata smentita da studi progettati e condotti in modo corretto” e che “non esistono elementi per considerarla un ausilio importante”. In questi studi, però, precisa la professoressa Colao “sono stati arruolati pazienti che si sono ammalati di Covid e a cui è stata data vitamina D in aggiunta alle terapie. La supplementazione non ha mostrato benefici, ma non stupisce che una cosa che serve alla prevenzione, se usata come cura, non abbia effetto”. In qualsiasi caso, conclude la presidente degli endocrinologi, è importante, “come sottolinea anche Aifa, non sottovalutare i rischi di sovradosaggio e di uso improprio dei preparati a base di vitamina D”.