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Strage nel sud di Gaza, la mattanza in fila per il cibo

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Hanno perso la vita mentre erano in attesa di ricevere cibo e aiuti. A Gaza si è consumata l’ennesima mattanza con decine di vittime, secondo fonti palestinesi che accusano l’esercito israeliano di aver aperto il fuoco vicino ad alcuni centri di distribuzione di aiuti nella Striscia meridionale. L’Idf ha spiegato, come in altre simili occasioni, che si è trattato di “colpi di avvertimento”, aggiungendo che l’accaduto è “sotto esame”. Le sparatorie – stando ai numerosi racconti di testimoni e non solo – sono avvenute nelle prime ore dell’alba vicino a due siti di aiuti umanitari. Oltre alle numerose vittime, si contano anche un centinaio di feriti. Funzionari palestinesi hanno puntato il dito contro l’esercito dello Stato ebraico, accusandolo di aver aperto il fuoco proprio su diversi palestinesi che stavano cercando di procurarsi del cibo. Una dinamica che oramai si ripete da tempo nella Striscia. Da parte sua l’Idf ha affermato di essere a conoscenza delle segnalazioni di vittime dopo che le truppe avevano individuato durante la notte persone ritenute “sospette” che si stavano avvicinando alle forze israeliane nella zona di Rafah, in una modalità definita dai militari come “minacciosa”.

I soldati, a quel punto, “hanno intimato loro di allontanarsi” ma al loro rifiuto hanno sparato “colpi di avvertimento”. Il ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas ha affermato che almeno 32 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani ai centri di distribuzione degli aiuti vicino a Rafah e a Khan Yunis, nel sud della Striscia. La Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta dagli Stati Uniti, ha preso le distanze, smentendo che gli spari siano avvenuti nei pressi della sua struttura. “L’attività dell’Idf è avvenuta ore prima dell’apertura dei nostri siti e, a quanto ci risulta, la maggior parte delle vittime si è verificata a diversi chilometri di distanza dal sito Ghf più vicino”, ha sottolineato.

Complessivamente sono oltre un centinaio i morti in diversi vari raid nelle ultime 24 ore, mentre si riducono le speranze di arrivare ad una tregua fra Israele e Hamas. Il presidente Usa Donald Trump nelle scorse ore ha mostrato un certo ottimismo annunciando che a breve saranno rilasciati “altri 10 ostaggi” e augurandosi che la guerra finisca presto, ma senza fornire ulteriori dettagli. Speranze che lasciano interdette le famiglie dei rapiti scese nuovamente per le strade di Israele a reclamare a gran voce il ritorno dei loro cari e a richiedere allo stesso tempo a Israele di “collaborare con gli Stati Uniti e abbandonare la follia della guerra eterna”. Appello inascoltato finora dalle forze armate che nelle ultime ore hanno martellato anche il vicino Libano, dove un militante di un’unità d’élite di Hezbollah è stato eliminato. Era “coinvolto negli sforzi per ristabilire i siti terroristici di Hezbollah”, il che “costituisce una palese violazione degli accordi tra Israele e Libano”, ha sostenuto l’esercito.

La guerra a Gaza si somma alla grave crisi alimentare e sanitaria. Il Programma alimentare mondiale ha affermato che quasi una persona su tre nella Striscia non mangia per diversi giorni consecutivi e “migliaia” sono invece “sull’orlo di una fame catastrofica”. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, Unrwa, ha denunciato di avere cibo a sufficienza per tutta la Striscia per almeno tre mesi, ma che tale cibo è accumulato nei magazzini e ne è stata bloccata la loro consegna. Il libero flusso di aiuti a Gaza è una richiesta chiave di Hamas nei negoziati indiretti con Israele per un cessate il fuoco di 60 giorni nella guerra, insieme al completo ritiro militare israeliano.

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Intesa Siria-Israele per cessate il fuoco, ‘mille morti’

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Dopo una settimana di scontri e un bilancio che secondo un’ong sfiora i mille morti, Israele e la Siria hanno concordato un cessate il fuoco. Damasco ha cominciato a schierare le sue truppe nella provincia meridionale di Sweida, teatro degli scontri con i drusi appoggiati dallo Stato ebraico, e il presidente siriano Ahmed al-Sharaa ha ribadito l’impegno del suo governo a proteggere tutte le comunità.

Ma Israele, che non ha confermato l’intesa, ha ribattuto che oggi in Siria è molto pericoloso appartenere a una minoranza. A dare l’annuncio del cessate il fuoco è stato l’ambasciatore statunitense in Turchia, Tom Barrack. Israele e la Siria, ha dichiarato, hanno “concordato un cessate il fuoco, sottoscritto da Turchia, Giordania e i Paesi vicini. Invitiamo drusi, beduini e sunniti a deporre le armi e, insieme ad altre minoranze, a costruire una nuova e unita identità siriana, in pace e prosperità con i suoi vicini”.

Poche ore dopo, il presidente al-Sharaa, fondamentalista sunnita già membro di Isis e Al Qaida, ora su posizioni più moderate e appoggiato dalla Turchia, ha annunciato un cessate il fuoco “immediato” nella provincia di Sweida, nel sud del Paese. E’ la zona a maggioranza drusa dove nell’ultima settimana le milizie sunnite legate al governo si sono scontrate duramente con quelle locali. I drusi temono di essere perseguitati dai sunniti ora al potere, come sta succedendo agli alawiti dell’ex dittatore Bashar al Assad. Per questo hanno fatto resistenza alle forze di Damasco che cercavano di prendere il controllo della provincia. Il bilancio complessivo degli scontri intercomunitari nel sud della Siria è arrivato a 940 morti da domenica scorsa, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani.

Tra le vittime, scrive l’ong, ci sono molti civili, “giustiziati sommariamente da personale dei ministeri della Difesa e dell’Interno”. Nello scontro si è inserito Israele, che da sempre ha un rapporto privilegiato con la comunità drusa in funzione anti-araba. Lo Stato ebraico ha martellato le forze governative a Sweida, ed è arrivato a bombardare i centri del potere militare a Damasco. L’obiettivo di Israele è ampliare il territorio controllato nel Golan e nel sud della Siria. Il cessate il fuoco, mediato da Turchia e Giordania, col beneplacito degli Usa, ha permesso alle forze di sicurezza governative di schierarsi nella provincia di Sweida. “Lo Stato siriano è impegnato a proteggere tutte le minoranze e le comunità del Paese – ha detto il presidente in tv -. Noi condanniamo tutti i crimini commessi”. Il governo israeliano però è scettico.

“Il discorso del presidente siriano Ahmed al-Sharaa – ha scritto su X il ministro degli Esteri, Gideon Saar – ha manifestato il suo sostegno agli aggressori jihadisti (nelle sue parole: “Le tribù beduine come simbolo di nobili valori e principi”), incolpando le vittime (la minoranza drusa attaccata)”. Per Saar “nella Siria di al-Sharaa, è molto pericoloso appartenere a una minoranza, che sia curda, drusa, alawita o cristiana”. A Londra intanto, davanti alla sede della Bbc decine di siriani appartenenti a comunità minoritarie si sono radunati per chiedere azioni volte a proteggere i drusi a Sweida dove la violenza settaria ha causato centinaia di morti. Circa 80 manifestanti hanno gridato “Dio protegga i drusi” e “Smettete di sostenere Jolani”, riferendosi al nome di battaglia del leader siriano, abbandonato dopo che il suo gruppo islamista ha preso Damasco a dicembre scorso. I dimostranti nella capitale britannica hanno esposto cartelli che chiedevano la fine delle violenze a Sweida la scorsa settimana e l’apertura di un corridoio umanitario attraverso il confine con la Giordania.

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Le sanzioni non fermano Putin, raid sull’Ucraina

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Ancora droni, oltre 300. Ancora attacchi massicci russi contro l’Ucraina. Le nuove sanzioni imposte dall’Ue alla Russia e la minaccia del presidente Donald Trump di aumentare la pressione su Vladimir Putin per costringerlo a sedersi seriamente al tavolo delle trattative al momento non sembrano sortire alcun effetto. Negli ultimi mesi, la Russia ha infatti intensificato gli attacchi aerei a lungo raggio contro le città ucraine, così come gli assalti e i bombardamenti in prima linea, sfidando in questo modo gli avvertimenti del tycoon. Ma mentre lo zar intensifica la sua strategia guerrafondaia con un conseguente strascico di morte, Mosca, da parte sua, ha dovuto sospendere brevemente la circolazione dei treni nella regione meridionale di Rostov dopo un attacco con droni da parte di Kiev, oltre settanta sono stati abbattuti, che hanno causato il ferimento di un ferroviere.

Ad essere presa pesantemente di mira dalla ferocia russa è stata invece Odessa, nel sud del Paese, dove si è registrato almeno un morto e diversi feriti, fra cui un bambino, stando alla ricostruzione del sindaco della città, Gennady Trukhanov, e del capo dell’amministrazione militare regionale, Oleg Kiper che hanno riferito di palazzi e condomini danneggiati dai raid. Fuoco a volontà anche nella regione di Dnipropetrovsk, con almeno due vittime, mentre alcune strutture civili come un ambulatorio, una scuola, un centro comunitario e diverse abitazioni private sono state sventrate. A denunciare la pioggia di missili e droni, il presidente Volodymir Zelensky che ha parlato di oltre 300 velivoli senza pilota d’attacco e oltre 30 missili di vario tipo.

“Le regioni di Donetsk, Kirovohrad, Dnipropetrovsk, Sumy, Kherson, Volyn, Zaporizhzhia, Mykolaiv, Odessa e Zhytomyr sono state colpite”, ha precisato il leader ucraino, aggiungendo che “infrastrutture critiche sono state danneggiate a Sumy con migliaia di famiglie rimaste senza elettricità. Il governo ucraino – ha aggiunto Zelensky – sta “collaborando con i Paesi europei al di fuori dell’Unione europea affinché aderiscano” ai regimi sanzionatori previsti dal 18mo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Dal Wall Street Journal arriva intanto l’indiscrezione che l’amministrazione Trump potrebbe ridistribuire le forniture di armi agli alleati, preparandosi in futuro a dare priorità ai Paesi che sono disposti a fornire armi all’Ucraina, compresi i sistemi di difesa aerea Patriot, provenienti dalle loro scorte. In particolare, l’amministrazione Usa avrebbe spostato la Germania al primo posto nella lista per ricevere i Patriot, il che consentirebbe a Berlino di trasferire all’Ucraina i due sistemi di cui dispone, riporta il giornale che cita tre funzionari statunitensi. La promessa degli Stati Uniti di sostituire rapidamente i Patriot tedeschi è il primo esempio in cui il Pentagono facilita le consegne di armi all’Ucraina da quando il presidente Trump ha annunciato all’inizio di questo mese di essere favorevole all’invio di ulteriori armi. Allo stesso tempo, la mossa ha anche evidenziato la difficoltà di fornire i Patriot e altre armi a Kiev, poiché la produzione in Occidente fatica a tenere il passo con le richieste di aiuto dell’Ucraina.

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Due italiani nel centro migranti di Alligator Alcatraz

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Due italiani si trovano ad Alligator Alcatraz, il nuovo centro di detenzione per migranti illegali che sorge sulle paludi della Florida, le famose Everglades popolate da alligatori, coccodrilli e pitoni, e descritto da uno dei due come “un campo di concentramento”. Secondo quanto si apprende si tratta dell’italo-argentino Fernando Eduardo Artese, 63 anni, e del siciliano Gaetano Cateno Mirabella Costa, di 45. “Il Consolato Generale d’Italia a Miami e l’Ambasciata d’Italia a Washington – ha fatto sapere la Farnesina – stanno seguendo la vicenda con la massima attenzione, mantenendosi in costante contatto con i famigliari dei connazionali e continuando a interessare le Autorità dell’Immigration and Customs Enforcement per reperire informazioni aggiornate sullo stato di salute dei connazionali e sulle tempistiche previste per il loro rimpatrio”. Fernando Eduardo Artese è stato arrestato a fine giugno poco prima di imbarcarsi in un viaggio con la figlia Carla che li avrebbe portati dalla Florida alla California, e poi in Argentina e Spagna.

I due volevano documentare la loro traversata aprendo un canale YouTube dal nome ‘Argentinomade’. Qualche ora prima di partire, però, Artese è stato arrestato vicino a Jupiter, in Florida, con un mandato di cattura legato a un’accusa di guida senza patente di marzo scorso. Carla ha raccontato ai media della Florida che suo padre, immigrato senza documenti, non si era presentato all’udienza in tribunale dopo aver appreso che alcune persone erano state fermate dalle autorità dell’immigrazione mentre comparivano davanti al giudice. Artese è stato quindi portato al carcere delle Martin County e la sua famiglia ha pagato una cauzione da 250 dollari per farlo uscire ma non è bastato. Il 63enne è stato trattenuto lo stesso ai fini dell’immigrazione. “Non lo vediamo dal 25 giugno, ed è ad Alcatraz dal 3 luglio”, ha detto la figlia assicurando che il padre voleva lasciare gli Stati Uniti. Ai microfoni del Tampa Bay Times, Artese ha descritto la prigione come “un campo di concentramento. Ci trattano come criminali, è una ricerca di umiliazione”.

“Siamo tutti lavoratori e persone che lottano per le nostre famiglie”, ha aggiunto. Artese era entrato quasi 10 anni fa negli Usa dalla Spagna usando il suo passaporto italiano con un programma di esenzione del visto per 90 giorni, superando poi il periodo consentito. La sua famiglia lo ha seguito nel 2018: sua moglie, 62 anni, ha un visto per studenti e la figlia 19enne è arrivata legalmente. Gaetano Cateno Mirabella Costa, emerge dal suo profilo Facebook, vive in Florida da alcuni anni anche se sarebbe originario della Sicilia, di Fiumefreddo, a Catania. Il 3 gennaio del 2025 – emerge dal sito dello sceriffo della contea di Marion – è stato arrestato per possesso di droga e liberato qualche giorno dopo. Il 17 marzo è stato nuovamente arrestato e poi rilasciato il 22 marzo. Non è chiaro quando sia stato portato nel centro della Florida. Il carcere di Alcatraz Alligator, dove si trovano Artese e Mirabella Costa, è stato fortemente voluto da Trump per mostrare il suo pugno duro contro i migranti. Il presidente lo ha visitato e pur ammettendo che è un centro “controverso” ha sottolineato che non gliene “frega nulla”. “Potrebbe essere più duro della vera Alcatraz”, ha aggiunto.

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