Scenderanno in piazza per far sentire la propria voce i lavoratori stagionali del turismo campano. Il prossimo 10 aprile alle ore 10 manifesteranno nelle più emblematiche piazze del turismo regionale: Ischia, Capri, Sorrento ed Amalfi. Chiederanno sostegni concreti per i lavoratori di un settore in ginocchio, azzerato dal Covid-19. Fra i promotori della protesta l’Associazione Nazionale Lavoratori Stagionali. “È nato un coordinamento regionale di tutte le realtà turistiche, che comprende anche l’indotto. Hanno aderito tutte le associazioni di categoria”, spiega a Juorno Ferdinando Caredda, lavoratore stagionale ischitano e coordinatore regionale per la Campania dell’ANLS.
Avevamo già raccolto la testimonianza di Caredda alcuni mesi fa. Ci avevamo raccontato di un settore abbandonato a sé stesso, a cui il governo aveva destinato pochi fondi e peraltro vincolati a una serie di stringenti requisiti. “Con gli ultimi decreti qualcosa è cambiato, la platea dei beneficiari dei sussidi è stata ampliata, ma c’è ancora una grave questione da risolvere – chiarisce il coordinatore dell’associazione -: i lavoratori nei cui contratti non era stata inserita la clausola di stagionalità, non sono stati riconosciuti come lavoratori del turismo, pur essendolo a tutti gli effetti. Stiamo parlando di quasi il 50% degli stagionali”.
Il Dl Sostegni varato dal governo Draghi, che ha abolito i codici Ateco come criterio di erogazione del bonus, ha previsto per gli stagionali del turismo un’indennità una tantum di 2400 euro, come forma di compensazione dei tre mesi di lavoro persi nel 2021. Un passo indietro rispetto al decreto ristori 5, che aveva invece quantificato in 3mila euro il contributo per i lavoratori del settore.
I lavoratori scenderanno in piazza per avanzare alcune importanti richieste. “Chiediamo per tutti i lavoratori del turismo un sostegno al reddito per le famiglie fino alla fine dell’emergenza. L’anno scorso il 60% di noi non ha lavorato, gli altri sono stati assunti per un paio di mesi, i più fortunati hanno lavorato per quattro mesi”, spiega Caredda. “Serve poi una decontribuzione per chi assume lavoratori, non fino ai trent’anni, ma a prescindere dall’età, così da incentivare l’occupazione”. Infine, la richiesta di assicurare i sussidi a tutti i lavoratori rimasti a casa, anchea quelli nei cui contratti non viene riconosciuta la condizione di stagionale. “Nei territori a vocazione turistica, come Ischia, siamo tutti lavoratori stagionali. Qui si vive solo di turismo. È uno stagionale anche il vigile urbano assunto con contratto a tempo determinato per i sei mesi in cui sull’isola aumenta la popolazione a causa dei flussi turistici”.
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Forte è la preoccupazione anche per la prossima stagione turistica, che solo una vaccinazione di massa effettuata con rapidità ed efficacia potrebbe salvare al 100%. L’inizio della stagione intanto, che a Ischia è sancito proprio dalle festività pasquali, è compromesso. “Si è azzerato tutto il lavoro che c’è di solito attorno alla Pasqua. Chiediamo un piano vaccinale per gli attori del turismo, controlli e sicurezza all’entrata e all’uscita per tutto il flusso turistico, così da avere territori Covid free. La prossima stagione è legata ai vaccini: se saremo vaccinati e allenteranno le misure di sicurezza, allora sarà sicuramente un’estate migliore dell’anno scorso. Altrimenti sarà dura”.
Un dato restituisce il dramma che Ischia sta vivendo a causa della pandemia. Sono circa duemila le famiglie sfamate dalla Caritas in questo periodo. “In tanti hanno vergogna di andare alla Caritas e ricorrono ai genitori e ai nonni per farsi fare un po’ di spesa e per farsi pagare una bolletta – racconta Caredda -, il problema principale però sono gli affitti. Qui stiamo diventando tutti morosi, con gli sfratti giudiziari addosso. Quando il Governo li sbloccherà, tanta gente si ritroverà in mezzo a una strada, perché, non avendo lavorato per due anni, non sarà in grado di pagare gli arretrati. La situazione è davvero drammatica”.
Fare acquisti in contanti diventa via via meno frequente in Europa ma resta il fatto che il ricorso al cash è ancora oggi piuttosto elevato. E a utilizzarlo non sono solo le persone meno affini al mondo digitale ma è una platea piuttosto generalizzata: tanto che quasi sei transazioni su dieci vengono fatte con denaro contante. E’ quanto emerge dall’anticipo del bollettino economico della Bce sul tema ‘Perché il cash resta importante per tanti’ in cui si precisa che la percentuale di transazioni nei punti vendita condotte in contanti, passata dal 79% del 2016 al 72% nel 2019, resta comunque al 59% nel 2022.
Questa cifra, sottolinea lo studio della banca centrale, maschera l’esistenza di utenti misti, con fino al 74% delle persone che hanno effettuato almeno una transazione in contanti in un dato giorno nel 2022: il che sottolinea la continua importanza del cash insieme alle opzioni di pagamento digitale (carte di debito, di credito o conti di pagamento). E il cash è usato non soltanto da chi non dispone di una carta o di un conto bancario, ma anche da una molteplicità di altre persone.
Alla luce di queste evidenze, spiega quindi la Bce, viene corroborato l’impegno dell’ Eurosistema ad assicurare che tutti abbiano accesso al contante, malgrado la digitalizzazione dei pagamenti. I risultati dell’indagine mostrano che le persone con un accesso più limitato ai pagamenti digitali hanno profili sociodemografici diversi, e l’adozione di strumenti di pagamento digitali non è guidata esclusivamente da limitazioni dal lato dell’offerta.
Ma un ruolo significativo è da attribuire alla scelta personale e alle abitudini. Da un questionario compilato da quasi 40.000 consumatori in 17 Paesi dell’area dell’euro emerge che quasi un adulto su cinque (19,5%) dichiara di non avere né carte di debito né di credito né conti di pagamento. L’elevata quota per il gruppo meno digitalizzato, viene precisato tuttavia, può comprendere non solo le persone che non dispongono di strumenti di pagamento digitali, ma anche chi non sa di disporre di tali strumenti. Tra coloro che hanno effettuato pagamenti durante il giorno dell’indagine, l’80% delle persone senza carta o conto ha effettuato almeno un pagamento in contanti, rispetto al 73% della restante popolazione.
Coloro che non hanno carte o conti tendono ad essere più giovani: il 25% delle persone di età compresa tra i 18 e i 30 anni contro il 15% dei più anziani. Ciò, secondo la Bce, potrebbe essere dovuto al fatto che le persone più giovani, spesso studenti o persone che hanno appena iniziato la loro carriera, fanno affidamento sul sostegno della famiglia. Quanto alle competenze digitali, il 78% del gruppo meno digitalizzato utilizza Internet quotidianamente, contro l’87% della popolazione generale, E un divario maggiore esiste nell’online banking, rispettivamente con il 41% contro il 64%.
I prossimi cinque anni saranno decisivi per quello che si profila come un vero e proprio ricambio generazionale all’interno della pubblica amministrazione, quando un dipendente pubblico su cinque andrà in pensione. Tra il 2024 e il 2028, infatti, ci saranno 681.800 nuove assunzioni a fronte delle uscite per il pensionamento. Non solo: si prevedono anche ingressi aggiuntivi al turnover per ben 60.500 unità. Il quadro emerge dal rapporto “Previsioni dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine” realizzato da Excelsior insieme ad Unioncamere. Per gli uffici pubblici, insomma, si va verso un ringiovanimento della forza lavoro che andrà di pari passo col grande sforzo per l’ammodernamento dell’amministrazione pubblica, a partire dal fondamentale processo della transizione digitale. Il settore, a causa dell’elevata età media del personale, è dunque quello in cui nei prossimi anni si attende un tasso di sostituzione più elevato. A fronte di un valore medio di ‘replacement’ di poco inferiore al 12%, il pubblico impiego supera il 20% (a fronte del 10,4% per i dipendenti privati).
“Durante il quinquennio 2024-2028 – si legge nello studio – il settore pubblico dovrà procedere alla sostituzione di circa 682mila dipendenti pubblici, pari a una media di oltre 135mila all’anno. Questa necessità, unita all’espansione occupazionale prevista genererà un fabbisogno complessivo di circa 742mila unità, di cui quasi il 92% sarà necessario per turnover”. Andando nel dettaglio, settore per settore, nei prossimi anni si cercheranno per l’Istruzione e i Servizi formativi pubblici 234.500 lavoratori (19.800 aggiuntivi e 214.700 per sostituire quelli che andranno in pensione), mentre 197.500 sono quelli che serviranno per la Sanità e l’Assistenza sociale (12.400 aggiuntivi e 185.500 per il turover). Quasi 310mila i posti che si renderanno disponibili nel comparto dei Servizi generali della pubblica amministrazione e in quello dell’Assicurazione sociale obbligatoria (28.300 aggiuntivi e 281.600 per sostituire chi va in pensione).
“Il turnover elevato nel settore pubblico – si spiega nello studio – rappresenta una criticità, ma anche un’opportunità significativa per i giovani, rispetto ai quali sono necessari sforzi mirati per rendere la pubblica amministrazione più attraente”. L’analisi dei fabbisogni per macro-gruppo professionale evidenzia quindi come le richieste maggiori saranno quelle per figure qualificate e ad elevata specializzazione, circa il 43% del fabbisogno del settore pubblico nel periodo 2024-2028. Seguono le figure tecniche con un peso di circa il 22% e gli impiegati con una quota del 21%”. Per 583.300 ruoli sarà quindi richiesta la formazione terziaria, vale a dire una laurea. “Il fabbisogno di personale in possesso di un titolo universitario nel comparto Istruzione e Servizi formativi pubblici – si legge – sarà di poco superiore alle 191mila unità, pari all’81,5% dei fabbisogni del settore.
Tale quota scende al 79,1% per i Servizi generali della Pubblica Amministrazione (245mila unità) e al 74,3% per la Sanità, assistenza sociale e servizi sanitari pubblici (147mila unità)”. La crescente domanda di personale altamente specializzato e le risorse effettivamente disponibili – si spiega ancora – stanno già generando tensioni significative nel mercato del lavoro, dando luogo a fenomeni di squilibrio tra la richiesta e l’offerta di competenze in tutti i settori della pubblica amministrazione. Il mismatch è aggravato anche dalla “concorrenza” del comparto pubblico con i settori privati, che già manifestano elevate difficoltà di reperimento delle professioni specializzate e possono in maniera più flessibile ricorrere ad incentivi organizzativi e salariali per attrarre determinate figure professionali.
Vodafone cede le sue attività in Italia per 8 miliardi di euro a Swisscom. Vodafone Italia verrà fusa con Fastweb, controllata dagli elvetici, con l’obiettivo di dare vita a “un operatore convergente leader” grazie all’unione di “infrastrutture mobili e fisse complementari di alta qualità, nonché delle competenze e asset” delle due filiali italiane. La newco potrà contare su 19,2 milioni di clienti mobili (15,8 di Vodafone e 3,5 di Fastweb) e su 5,7 milioni di clienti nel fisso (3,1 milioni di Vodafone e 2,6 milioni di Fastweb), con ricavi totali su base pro-forma per circa 7,3 miliardi e oltre 9000 dipendenti. “Con questa operazione rafforziamo in modo significativo la nostra presenza in Italia e miglioriamo la competitività di Fastweb. Ciò consentirà a Fastweb di diventare il numero 2 in questo mercato altamente competitivo”, ha dichiarato il ceo di Swisscom, Christoph Aeschlimann.
Economie di scala, efficienze sui costi e sinergie per circa 600 milioni all’anno “consentiranno alla nuova compagnia di generare un elevato valore per tutti gli stakeholder, di sostenere gli investimenti e di offrire servizi convergenti innovativi e a prezzi competitivi, migliorando le prestazioni e l’esperienza per i clienti in tutti i segmenti di mercato”, afferma Swisscom, che parla di “passo fondamentale” verso l’ “obiettivo strategico di una crescita redditizia in Italia”. Per Vodafone, ha spiegato la ceo Margherita Della Valle, si tratta del “terzo e ultimo passo nel rimodellamento delle nostre attività europee” dopo la vendita della Spagna e la joint venture con Three in Gran Bretagna. Il colosso britannico, che ha visto le sue attività valutate 7,6 volte l’ebitdaal e 26 volte i flussi di cassa operativi attesi nel 2024, restituirà sotto forma di buyback 4 dei 12 miliardi di euro incassati dalla vendita di Italia e Spagna.
“In futuro – ha aggiunto Della Valle – le nostre attività opereranno nei mercati in crescita delle telecomunicazioni, dove deteniamo posizioni forti, consentendoci di realizzare una crescita prevedibile e più robusta in Europa. Ciò sarà accompagnato dalla nostra accelerazione nel B2B, mentre continuiamo a conquistare quote in un mercato dei servizi digitali in espansione”. Il closing, atteso nel primo trimestre 2025, resta subordinato alle autorizzazioni antitrust. La nuova Fastweb sarà prima per quote di mercato nella banda ultralarga (Ftth), seconda nella banda larga (Fttc) e appaiata a Wind per clienti mobili. Il mercato però non si attende rimedi troppo invasivi, al contrario di quelli che avrebbe richiesto una fusione tra Vodafone e Iliad, più impattante sul mercato mobile. Prima di avviare trattative in esclusiva con Swisscom, Vodafone aveva respinto una proposta dei francesi, solo parzialmente cash, che valutava Vodafone Italia 10,6 miliardi.
L’acquisizione è stata fatta con il benestare del governo svizzero, che detiene il 51% di Swisscom. Gli 8 miliardi cash verranno tutti finanziati a debito senza però intaccare il rating ‘A’. Nell’ambito dell’intesa Vodafone fornirà alcuni servizi a Swisscom, tra cui un contratto di licenza che consente l’uso del marchio Vodafone in Italia per massimi 5 anni, a fronte di un corrispettivo annuo iniziale di circa 350 milioni. Tutti contenti in Borsa: Vodafone è salita del 5,7% a 69,8 pence, Swisscom del 4,9% a 528 franchi.