La denuncia chiara, ferma, grave anche nella sua semplicità, arriva dai Verdi, intendiamo dire il movimento politico dei Verdi della Campania che mette al centro della sua azione non l’ideologia ma i temi dell’ambiente, della salubrità dell’ambiente, della qualità della vita, delle risorse pubbliche da rispettare, dei beni comuni da tutelare e tramandare alle future generazioni.
Francesco Emilio Borrelli. Il consigliere regionale della Campania dei Verdi – Il Sole che Ride
Parliamo di Napoli e di una “spiaggia demaniale ‘ostaggio’ di un lido privato, di uno stabilimento balneare che vieta l’accesso ai cittadini” scrivono in una nota congiunta Francesco Emilio Borrelli, consigliere regionale della Campania e Giovanni Caselli, consigliere della I municipalità di Napoli dei Verdi – Il solo che Ride. I due politici denunciato una “situazione intollerabile”, una situazione in cui è palese che “si limita la libertà dei cittadino”.
Da qui l’invito alle “forze dell’ordine” a fare “i dovuti controlli per ripristinare la legalità”. La legalità. A Napoli è una parola vuota se non la si riempie di significati seri. I Verdi, intendiamo il Movimento politico del Sole che Ride in Campania, ci provano sempre a dare contenuti alla parola legalità. Non con le chiacchiere ma con i fatti. E i fatti dicono che in un luogo meraviglioso della costa napoletana, “a Posillipo viene negato l’accesso ai cittadini ad una spiaggia demaniale. Accade alla baia delle Rocce Verdi, dove è presente una piccola spiaggetta di proprietà del demanio, alla quale si accedeva tramite Parco Sud Italia, su viale Costa. L’ingresso, però, è stato chiuso a causa di una frana. Misteriosamente scomparso anche il ponte di legno che collegava la spiaggetta con il costone del parco. Ad oggi l’unico accesso è quello tramite una scaletta del lido Villa Fattorusso, ma, come tantissimi cittadini ci hanno segnalato – scrivono Borrelli e Caselli in una nota-denuncia ai media -, i proprietari dello stabilimento non consentono il passaggio a nessuno. Chi è riuscito a ‘superare’ l’ostacolo ha dovuto minacciare una chiamata all’autorità portuale. Inoltre, come molti cittadini hanno sottolineato, anche l’ingresso via mare viene impedito da soggetti non identificati”.
Sono persone che anche con modi spicci “difendono” una proprietà che privata non è, ed impediscono la frizione di un bene demaniale, una spighetta deliziosa ed un mare cristallino. “C’è inoltre, nella caletta demaniale, un’attività di noleggio canoe. Una situazione – scrivono ancora Borrelli e Caselli – che di certo è poco chiara e sulla quale bisogna far luce”. Perchè, prosegue la nota-denuncia dei Verdi “è assolutamente inaccettabile che uno stabilimento privato – aggiungono Borrelli e Caselli – non consenta l’accesso ai cittadini ad una proprietà demaniale. Non è tollerabile questo atteggiamento che, di fatto, limita la libertà dei cittadini di poter usufruire di uno spazio pubblico. Chiediamo alla Capitaneria di porto di verificare al più presto questa situazione a tutela del patrimonio demaniale del Comune e, soprattutto, della libertà. Sia ripristinata al più presto la legalità in uno dei luoghi più belli e simbolici della città”.
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.
È costituzionalmente illegittima la previsione dell’automatica rimozione dall’ordinamento giudiziario dei magistrati finiti in vicende penali culminate con la condanna, a loro carico, a una pena detentiva non sospesa. Lo ha deciso la Consulta – esaminando il caso di un giudice coinvolto in aspetti ‘secondari’ del cosiddetto ‘sistema Saguto’ – che ha accolto una questione sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione alle quali si è rivolto l’ex giudice Fabio Licata.
L’ex magistrato è stato condannato in via definitiva alla pena non sospesa pari a due anni e quattro mesi per falso materiale per aver apposto la firma falsa della presidente del collegio, Silvana Saguto, con il consenso di quest’ultima, ed è stato rimosso dalla magistratura. Per effetto della decisione della Consulta, il Csm “potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare” a Licata, compresa ancora l’opzione della rimozione, “laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni medesime”. Saguto, anche lei radiata dalla magistratura, e ora reclusa a Rebibbia, è stata condannata in via definitiva a 7 anni e dieci mesi di reclusione per aver gestito in modo clientelare le nomine degli amministratori giudiziari dei beni confiscati alla mafia, ottenendo in cambio anche denaro.
La Corte costituzionale – con la sentenza n. 51 depositata – ha ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può, da sola, determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. Sanzioni disciplinari fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale; e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete. La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa, finendo così per spogliare il Csm di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso concreto.
Nel caso che ha dato luogo al giudizio, il giudice penale – rileva la Consulta – aveva irrogato una severa pena detentiva non sospesa, senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma, neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare “la proporzionalità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni”. E ciò pur “a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa, della persona interessata”.