Collegati con noi

Cronache

Solidarietà dei giovani al pm Maresca: siamo al suo fianco, lei è la faccia dello Stato giusto

Pubblicato

del

In questi ultimi giorni, Catello Maresca ha visto andare in fumo una parte dello straordinario lavoro portato avanti in questi anni insieme a tanti colleghi. Boss mafiosi assicurati con enorme sforzo alla giustizia, hanno lasciato il carcere dopo aver ottenuto i domiciliari, grazie ad un circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ritiene la tutela della loro salute incompatibile con la detenzione carceraria. 

E allora è fisiologico che, anche solo per un momento, prevalga lo sconforto per un uomo che da solo, o comunque accompagnato da pochissime altre voci, da due mesi denuncia il ricatto delle mafie allo Stato. Un’analisi lucida che purtroppo ha trovato riscontro nella realtà. Lo Stato ha ceduto. Sin dalle rivolte di inizio marzo, Maresca aveva auspicato una risposta autorevole dello Stato, senza debolezze o tentennamenti. Invece sono arrivate le misure svuota carceri col Cura Italia del 17 marzo, e quattro giorni più tardi, la circolare del Dap.

“Non ci sto più, a questo gioco, in cui le regole le fanno a proprio gusto e piacimento. Non ci sto più. Vado a casa, anzi resto a casa. Giocatela voi questa partita e buona fortuna”, si era sfogato così il pm nei giorni scorsi. Ma la solidarietà e l’affetto della società civile hanno rincuorato Maresca, donandogli la forza per andare avanti, nel nome dello Stato e di quelle istituzioni che ha sempre onorato al massimo delle sue possibilità.

In mezzo a tanti messaggi, ce ne sono alcuni dal sapore speciale. C’è l’abbraccio caloroso e riconoscente dei pizzaioli dell’Accademia delle Arti, Mestieri e Professioni, ragazzi che dopo varie sbandate, hanno imparato un mestiere e ripreso in mano le loro vite. E lo hanno fatto grazie all’associazione messa in piedi dal magistrato napoletano insieme all’imprenditore Rosario Bianco.

“Siamo noi, i tuoi ragazzi, quei ragazzi che ormai da quasi tre anni prendi per mano ogni giorno, accompagnandoli su una strada che porta al cambiamento, al riscatto sociale, alla dignità, alla responsabilità e a tante altre belle cose di cui spesso noi, prima di conoscerti, ignoravamo l’esistenza, anche volutamente”, incomincia così la lettera scritta dai giovani pizzaioli per Maresca.

“Per noi sei l’esempio, il pilastro, una persona giusta, sempre dalla parte di noi giovani. Parole tue, ‘il futuro siete voi’, e questo ci fa sentire importanti in questa società. Ci sarebbe tanto altro da dire ma adesso noi sentiamo la necessità e il dovere di dimostrarti la nostra più ampia solidarietà. Questa volta tocca a noi e nessuno ce lo può impedire (…). Non ti nascondiamo che quando hai detto ‘io torno a casa’, ci siamo veramente preoccupati perché  se torni a casa tu, noi perdiamo tutto, perché in te abbiamo trovato quella sicurezza di uno Stato giusto, che prima non avevamo”.

Ugualmente significativa è la lettera scritta a Maresca dagli studenti dell’IISS Rinaldo d’Aquino di Nusco, in Irpinia, che il magistrato aveva incontrato tre anni fa. “Un magistrato forte, determinato, appassionato che, nonostante i suoi numerosissimi impegni, ha capito l’importanza di rapportarsi alle future generazioni. Oggi, uno sconforto palpabile in tutti noi, desertifica anni ed anni di duro lavoro, vanificando i tanti sacrifici resi. Ma nulla è finito; non è solo dott. Maresca, fin quando i nostri giovani si identificheranno in Lei, respirando i suoi valori. Nulla è finito, perché non sarà mai solo, potendo contare sulla loro forza ed energia. Sarà nostra cura ed impegno, in tempi migliori, invitarLa nuovamente al d’Aquino, certi di ritrovarLa con la stessa luce, di chi crede ancora possibile un futuro improntato ai valori del rispetto e della legalità. Noi abbiamo ancora bisogno di sognare e Lei è il nostro possibile sogno”.

 

Advertisement

Cronache

Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

Pubblicato

del

Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

Continua a leggere

Cronache

Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

Pubblicato

del

Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

Continua a leggere

Cronache

Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

Pubblicato

del

Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto