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Sofia Goggia e il sogno olimpico: «Per le cose belle vale la pena soffrire»

L’intervista di Sofia Goggia al Corriere della Sera tra ricordi olimpici, infortuni superati e l’attesa per Milano-Cortina 2026. «Spingo sempre oltre i miei limiti».

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Fin da bambina, Sofia Goggia disegnava i cinque cerchi olimpici sulla neve. Oggi, a 31 anni, dopo un oro a PyeongChang 2018 e un argento a Pechino 2022, è una delle icone dello sport italiano. In un’intervista al Corriere della Sera, la campionessa azzurra racconta la sua visione dello spirito olimpico e l’attesa per Milano-Cortina 2026, che potrebbe rappresentare il coronamento della sua carriera.

Lo spirito olimpico e il ricordo del maestro

«Non ho un ricordo preciso di quando ho cominciato a sentire questa passione – racconta – ma ricordo bene i racconti del mio maestro di sci. Le Olimpiadi per me sono sempre state il massimo, l’espressione più alta dello sport, e da allora è nato un fascino irresistibile».

Milano-Cortina, un sogno che si avvicina

L’atmosfera olimpica comincia già a farsi sentire, anche se Goggia cerca di tenersi distante dal clamore: «Tutti mi parlano solo dei Giochi, ma io ci penserò davvero quando sarò là. Prima ci sono la preparazione in Argentina e le gare di Coppa del Mondo: vanno affrontate con lucidità e concentrazione».

Il significato più profondo dei cinque cerchi

«Alle Olimpiadi respiri un’energia diversa. È la voglia di gareggiare per la nazione, di realizzare sogni che hai da sempre. Il bello è che indossi solo la tutina azzurra, senza sponsor, solo i cinque cerchi sul petto. Questo è il vero spirito olimpico».

Da PyeongChang a Pechino: due medaglie, due vite

Le medaglie olimpiche raccontano due momenti diversi: «Nel 2018 avevo 25 anni, ero la favorita, prima nel ranking mondiale. Ho vinto con lucidità, gratitudine e piena consapevolezza. Ricordo ancora i cinque cerchi sui pali, e dentro di me pensai: il mio sogno è qui».

A Pechino, nel 2022, l’argento arrivò in condizioni drammatiche: «Sciavo bene, ma ero provata fisicamente e mentalmente. Provavo dolore anche a camminare. Ricordo un giorno al villaggio olimpico: inciampai e vidi i “draghi”. Eppure, in partenza, quando vidi la scritta Beijing 2022, mi si accese un sorriso e capii perché ero lì».

Quando il dolore non fa paura

Goggia ha affrontato infortuni e limiti con coraggio: «A volte mi chiedo come abbia fatto. A St. Moritz ho gareggiato meno di 24 ore dopo un’operazione alla mano durata un’ora e 40 minuti. Ma questa è la mia forza: spostare l’asticella del possibile. Anche il dolore, quando è per qualcosa di bello, ha senso. Come diceva Platone: per le cose belle vale la pena soffrire».

Il sogno della bandiera a San Siro

Portare la bandiera a Milano-Cortina sarebbe il sigillo di una carriera: «Tutti gli atleti sognano questo onore. Dovevo farlo nel 2022, ma l’infortunio me lo impedì. Chi verrà scelto porterà nel cuore un’emozione che resterà per tutta la vita».

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Jannik Sinner re di Wimbledon: trionfo storico, orgoglio italiano e assenza delle istituzioni

Sinner vince Wimbledon ed entra nella leggenda: primo italiano a conquistare il torneo. Orgoglio nazionale, ma nessuna presenza istituzionale a sostenerlo dal vivo.

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Alle 20:24 del 13 luglio 2025, Jannik Sinner entra nella storia del tennis mondiale. Conquista il suo quarto Slam, il primo sui prati dell’All England Club, il più prestigioso. Un trionfo che rende orgogliosa tutta l’Italia, ma che si consuma senza il sostegno visibile di alcun rappresentante delle istituzioni italiane.

Sulla tribuna centrale ci sono il papà Hanspeter, la mamma Siglinde e il fratello, emozionati e fieri. Non c’è, però, alcuna figura dello Stato italiano ad applaudirlo. Nessun ministro, nessun presidente, nessun ambasciatore. Una differenza che si nota ancora di più guardando il box di Carlos Alcaraz, dove il Re di Spagna è presente per onorare il suo campione.

Orgoglio e gratitudine di un campione

«È il sogno dei sogni, quello che fai da bambino e che non pensi mai possa avverarsi», dice Jannik con lo sguardo lucido e il cuore colmo di emozione. Al centro del campo si stringe in un abbraccio con Cahill e Vagnozzi, la sua guida tecnica e umana, a cui dedica il successo: «Devo tutto a voi, grazie».

Poi si volta verso il pubblico, dove riceve il trofeo dalle mani della principessa Kate, e dichiara con semplicità:
«Sono orgoglioso di essere italiano».
Parole semplici, potenti. Di quelle che toccano il cuore di chi sente forte il senso di appartenenza a un Paese, a una storia.

Un successo epocale per il tennis italiano

Sinner diventa il primo italiano della storia a vincere Wimbledon in singolare, 138 anni dopo la prima edizione. Dopo le finali perse da Berrettini e Paolini, dopo i successi in doppio di Errani e Vinci, è finalmente arrivato il giorno della gloria azzurra.

E lo fa battendo Carlos Alcaraz, interrompendo una striscia di cinque sconfitte consecutive contro di lui. Dopo il primo set ceduto, Jannik è rimasto glaciale, lucido, implacabile. Ha chiuso al secondo match point, là dove al Roland Garros ne aveva sprecati tre.

Assenza che pesa

Tutto perfetto? Quasi. Perché in quel momento unico per lo sport italiano, mancava un abbraccio dello Stato. Nessuno ad accompagnare il ragazzo che ha portato il nome dell’Italia in cima a Wimbledon.

Non una delegazione, non un volto delle istituzioni, mentre nella tribuna reale spiccavano il principe William, la principessa Kate e i loro figli, incantati dai riccioli rossi e dal sorriso del campione. Un’assenza che stride, che lascia spazio all’amarezza. Non tanto per Sinner, abituato a far parlare il suo tennis, ma per un Paese che spesso si dimentica dei suoi migliori figli quando salgono sul podio più alto.

La leggenda di Jannik

Sinner è oggi l’icona dello sport italiano, un simbolo di talento, dedizione e pulizia morale. Lo era già da tempo, ma la vittoria a Wimbledon lo consacra tra i grandi della storia:

  • quattro finali Slam consecutive a 23 anni

  • successi a New York, Melbourne, Wimbledon

  • unica sconfitta a Parigi, da cui ha tratto forza

E mentre fuori dal campo ringrazia la famiglia, il team, il fratello e chi gli è stato vicino anche nei momenti duri, come dopo la sconfitta di Parigi, Sinner diventa anche l’uomo che incarna il riscatto sportivo di un Paese.

Adesso tocca all’Italia riconoscere, sostenere e celebrare chi ci fa sognare con il talento e l’orgoglio. Wimbledon ha un nuovo re, si chiama Jannik. E il suo regno è solo all’inizio.


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Napoli, il ritorno a Castel Volturno: parte l’era Conte tra visite mediche e ritiro a Dimaro

Antonio Conte riapre le porte di Castel Volturno: da oggi visite mediche e test per gli azzurri prima del ritiro in Trentino. Attesi anche De Laurentiis e i nuovi acquisti.

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Rieccoci. Dove eravamo rimasti? 49 giorni fa su un bus scoperto, tra lacrime e applausi, con lo scudetto sul petto e la promessa di un futuro ancora da scrivere. Ora quel futuro comincia davvero. Il Napoli di Antonio Conte riapre le porte di Castel Volturno, pronto a ripartire con un programma serrato di visite mediche, test fisici e ritiro tra Trentino e Castel di Sangro.

Il ritorno al lavoro

La prima giornata non è ancora dedicata al campo, ma alla valutazione dello stato fisico dei calciatori azzurri. Tocca allo staff medico fare il punto: ECG, prove da sforzo e tapis roulant per ricostruire le condizioni di ogni atleta. I dati raccolti accompagneranno lo staff anche a Dimaro, dove verranno analizzati con attenzione per impostare i carichi di lavoro personalizzati.

La rosa si presenterà al centro tecnico a scaglioni fino a mercoledì, per evitare sovrapposizioni e gestire meglio i test. I nuovi volti – Lang e Beukema – si aggregheranno direttamente in Trentino.

Conte, De Laurentiis e i primi volti noti

Conte supervisionerà i primi passi della preparazione, in parte in presenza, in parte a distanza, seguendo l’andamento e comunicando con i senatori della squadra, già contattati durante la pausa estiva. Saranno presenti anche il direttore sportivo Giovanni Manna e Aurelio De Laurentiis, atteso a Castel Volturno prima di partire per Dimaro, dove incontrerà personalmente la squadra.

Il presidente è rientrato da Capri e Ischia e parteciperà a un panel al Giffoni Film Festival prima di volare in Trentino. Ieri sera, in città, sono già stati avvistati Di Lorenzo, Lobotka e anche Kevin De Bruyne, che ha scelto per il soggiorno partenopeo la stessa location che un anno fa fu di McTominay.

Condizione fisica: nessun azzurro si è fermato

Tutti i calciatori si sono tenuti in forma in queste settimane. Mazzocchi si è allenato tra palestra e spiaggia, Gilmour e Rrahmani hanno condiviso sui social video di sessioni intense, Lukaku ha seguito un programma autonomo dopo l’assenza dalla preparazione un anno fa. L’obiettivo è chiaro: arrivare pronti fin dai primi giorni.

Novità e attesa per la nuova maglia

La prima novità visiva è già arrivata: il nuovo kit da allenamento, presentato ieri sui canali ufficiali del club. Ma i tifosi aspettano altro: la nuova maglia azzurra con lo scudetto, attesa proprio a ridosso del debutto a Dimaro. Un segnale di continuità con il recente trionfo e l’inizio di un nuovo capitolo sotto la guida di Conte.

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Mondiale Club, Chelsea batte Psg 3-0 ed è campione

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La serata magica di Cole Palmer regala al Chelsea la vittoria del primo Mondiale per Club col format a 32 squadre. Al MetLife Stadium di New York, sotto gli occhi di Donald Trump, i Blues battono in finale 3-0 un Psg irriconoscibile, lontano parente della squadra capace di travolgere il Real Madrid in semifinale e ancor prima l’Inter nell’ultimo atto della Champions League.

Si chiude una stagione da incorniciare per Enzo Maresca che aggiunge un altro trofeo internazionale alla sua bacheca da allenatore dopo il trionfo in Conference. A Breslavia, nel 4-1 contro il Betis, furono Enzo Fernandez, Jackson, Sancho e Caicedo a decidere la finale. Stasera, a New York, sono Palmer e Joao Pedro a prendersi la scena.

La doppietta del fantasista inglese e’ praticamente in fotocopia. Al 22′ Nuno Mendes (tra i migliori in stagione) sbaglia la lettura su un lancio di Sanchez e spalanca un’autostrada a Malo Gusto: Hakimi mura il tiro del francese, ma non l’assist per il mancino vincente di Palmer all’angolino. Dalla stessa zolla arriva anche il 2-0 al 29′, ma stavolta fa tutto il 23enne che si divora le praterie lasciate sulla destra, si accentra e batte per la seconda volta Donnarumma. Psg sotto shock, incapace di reagire e sotto di tre gol prima del duplice fischio.

Merito di Joao Pedro che al 43′ sfrutta l’assist pregevole del solito Palmer e beffa il portiere italiano con un tocco sotto. La reazione del Psg nella ripresa e’ puntuale, ma Sanchez a mano aperta nega d’istinto a Dembele il gol che riaprirebbe tutto. Al 68′ e’ il Chelsea a sfiorare il poker: il neo entrato Delap guida il contropiede e calcia col destro a giro, ma Donnarumma sfodera tutta la sua bravura e devia il tiro in corner.

Nel finale il Psg chiude in 10 uomini: Joao Neves tira i capelli a Cucurella all’86’ a palla lontana e riceve il rosso dell’arbitro Faghani dopo la chiamata del Var. Una finale senza storia, che si chiude nel peggior modo possibile per i campioni d’Europa con tanto di rissa, per fortuna sedata in tempo, in mezzo al campo che vede coinvolto anche l’allenatore dei parigini Luis Enrique.

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