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Sicurezza bis, il presidente Mattarella firma la legge ma con osservazioni: salvare migranti è un dovere

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“L’obbligo dei naviganti di salvare i naufraghi rimane”: a segnalarlo è il Colle. Mentre si moltiplicano gli appelli per un porto sicuro lanciati dalla nave di Open Arms, da una settimana nel Mediterraneo con 121 migranti, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, firma la nuova legge sulla sicurezza ‘bis’ ma rileva due criticità. “Al di là delle valutazioni nel merito delle norme, che non competono al Presidente della Repubblica non posso fare a meno di segnalare due profili che suscitano rilevanti perplessita’”, scrive il Presidente, “rimettendo – come si legge in una sua lettera al premier e ai presidenti delle Camere – alla valutazione del Parlamento e del Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo sulla disciplina in questione”. Per Mattarella, anche in presenza di questo decreto, l’obbligo dei naviganti di salvare i naufraghi rimane tutto. La prima osservazione si riferisce all’ammenda amministrativa che arriva fino a un milione di euro. Al riguardo il Colle ricorda una recente sentenza della corte costituzionale che dice che una pena cosi’ alta – peraltro non prevista dal testo iniziale del Viminale ma aumentata per emendamenti parlamentari – e’ paragonabile (sempre per la recente sentenza della corte) a una sanzione penale. Un altro aspetto riguarda la gradazione dell’ammenda, che non e’ specificata e per questo il Colle chiede di correggere la legge inserendo dei criteri oggettivi. Senza un adeguato correttivo – per ipotesi – si rischierebbe di punire con un’ammenda da un milione di euro anche chi con una barca a vela entrerebbe in un porto senza autorizzazione dopo aver salvato un solo naufrago. Nella lettera viene anche ricordato che, come indicato dallo stesso provvedimento, la limitazione o il divieto di ingresso puo’ essere disposto ‘nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia’, cosi’ come ‘il comandante della nave e’ tenuto ad osservare la normativa internazionale’.

Il secondo rilievo del Presidente non riguarda nello specifico il tema dei salvataggi in mare, ma la norma del dl sicurezza bis che consente di non applicare “la tenuita’ del fatto” in caso di reati contro i pubblici ufficiali. Quest’ultima “impedisce al giudice di valutare la concreta offensivita’ delle condotte” e quindi di accertare la cosiddetta lieve entita’ che porta al non luogo a procedere. Si sollevano dunque dubbi “sulla conformita’ al nostro ordinamento e sulla ragionevolezza nel perseguire in termini cosi’ rigorosi condotte di scarsa rilevanza” che possono riguardare anche casi che non generano “allarme sociale”. Il rischio, ad esempio, e’ che in un momento di rabbia, chi inveisce contro un postino per una raccomandata non consegnata rischia di essere perseguito per oltraggio a pubblico ufficiale con una pena di minimo sei mesi. Viene fatto inoltre presente l’incongruenza di aver non compreso i magistrati nei soggetti destinatari dell’oltraggio. Ma aldila’ della nuova legge sicurezza bis, sul fronte del Mediterraneo, prosegue la nuova odissea della Open Arms. “Gli stati europei dimostrano il loro coraggio voltandosi dall’altra parte”, denuncia l’organizzazione che con la propria nave e’ in mare da sette giorni. A questo proposito, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha indirizzato una lettera al leader della Commissione Ue Jean Claude Juncker, rivolgendo un appello affinche’ sia “coordinato un intervento umanitario rapido”, con “un’equa redistribuzione dei migranti”. Dello stesso avviso il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi: “L’Ue si doti finalmente di quella politica comune della migrazione che oggi e’ mancata”, auspica il titolare della Farnesina. Il Viminale ribadisce che la linea del governo non cambia e, dunque, non verra’ concesso l’ingresso nelle acque italiane, visto che la Open Arms e’ una nave che batte bandiera spagnola e, di conseguenza, “i migranti che sono a bordo sono sotto la diretta responsabilita’ di Madrid”. A proporre una soluzione e’ la Chiesa Evangelica, che in una lettera al premier Giuseppe Conte e al ministro dell’Interno Matteo Salvini offre la sua disponibilita’ ad accogliere i profughi soccorsi dalla Open Arms.

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Hitler, uno studio genetico rivela che soffriva della sindrome di Kallmann: sviluppo sessuale inibito

Uno studio sul Dna di Adolf Hitler rivela che il dittatore tedesco soffriva della sindrome di Kallmann, una malattia genetica che avrebbe compromesso lo sviluppo sessuale. La ricerca della genetista Turi King accende nuove discussioni sulla psiche del Führer.

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Adolf Hitler avrebbe sofferto della sindrome di Kallmann, una rara malattia genetica che ostacola lo sviluppo della pubertà e influisce sulle funzioni sessuali. È quanto emerge da una nuova ricerca sul Dna del dittatore tedesco, condotta dalla genetista britannica Turi King, dell’Università di Bath, e raccontata nel documentario “Hitler’s DNA: Blueprint of a Dictator”, in onda su Channel 4.

Secondo la studiosa, la patologia avrebbe probabilmente compromesso lo sviluppo degli organi sessuali di Hitler, un paradosso tragico se si pensa che il Führer, seguendo i principi dell’eugenetica nazista, avrebbe potuto rientrare egli stesso tra le persone destinate alle camere a gas.


Le ipotesi sulle malformazioni e l’impatto psicologico

Già da decenni circolavano voci sulle malformazioni genitali del dittatore, ipotesi ora rafforzate dal nuovo studio genetico, che fornisce un fondamento scientifico alle teorie secondo cui Hitler avrebbe avuto un solo testicolo o un micropene.

Secondo lo storico Alex J. Kaym dell’Università di Potsdam, consulente della ricerca, la malattia avrebbe potuto incidere anche sulle relazioni personali e sessuali del Führer. “Questo aiuterebbe a spiegare la sua dedizione quasi totale alla politica, in assenza di una vita privata”, ha osservato Kaym.


I possibili disturbi mentali e le origini familiari

Lo studio, oltre a esaminare il profilo genetico di Hitler, ha indagato possibili predisposizioni a disturbi mentali, come schizofrenia e bipolarismo, senza però giungere a risultati definitivi.

È invece esclusa la discendenza ebraica del dittatore, un tema che aveva alimentato per decenni polemiche e speculazioni — rilanciate anche nel 2022 dal ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov — in relazione al mistero sull’identità del nonno paterno di Hitler, mai chiarita.


Il ritrovamento del campione di sangue

La ricerca si basa sull’analisi di un campione di Dna recuperato nel maggio 1945 dal colonnello Roswell Rosengren, membro dell’esercito statunitense e addetto stampa del generale Eisenhower. Durante una visita nel Führerbunker di Berlino, Rosengren trovò un pezzo di stoffa sporco di sangue sul divano dove Hitler si era tolto la vita sparandosi un colpo di pistola.

Quel frammento, conservato per decenni e ritrovato di recente nel Museo di Gettysburg, sarebbe stato sottoposto a test genetici per identificare le anomalie del dittatore.


Dubbi e limiti della ricerca

Non mancano tuttavia le perplessità. Come sottolineato dal Guardian, l’attendibilità del campione rimane controversa, poiché non esistono discendenti diretti disponibili a fornire materiale genetico comparativo. I parenti lontani di Hitler, residenti in Austria e negli Stati Uniti, hanno infatti rifiutato di partecipare per evitare esposizioni mediatiche.


Il paradosso dell’eugenetica

Turi King, nota per aver identificato nel 2012 i resti di re Riccardo III d’Inghilterra, ha concluso che se Hitler avesse potuto conoscere la propria composizione genetica, sarebbe rimasto sconvolto: la sua condizione lo avrebbe reso, secondo i principi dell’“igiene razziale” da lui stesso imposta, inadatto alla sopravvivenza.

Una scoperta che non solo aggiunge un tassello al mistero sulla psiche del dittatore, ma anche un potente simbolo del paradosso ideologico del nazismo, fondato sull’odio e sull’ossessione per la purezza biologica.

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Intelligenza artificiale, da Google nuove frontiere per meteorologia, ricerca e istruzione

Alla conferenza Google Research di Varsavia, l’intelligenza artificiale si mostra come strumento per meteorologia, laboratori scientifici e istruzione. Yossi Matias: “Serve un uso responsabile e regole sulla sicurezza”.

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Dalla meteorologia all’istruzione, fino ai laboratori scientifici, l’intelligenza artificiale si prepara a trasformarsi in strumento concreto per migliorare la vita quotidiana e la ricerca. È questo lo scenario delineato durante la prima conferenza europea di Google Research, organizzata a Varsavia da Google Research@Poland.

Abbiamo un ruolo nel plasmare il futuro. L’IA è una tecnologia potente che suscita entusiasmo e preoccupazioni, e per questo dobbiamo definire norme di sicurezza che ne impediscano un uso improprio”, ha dichiarato Yossi Matias, vicepresidente di Google e responsabile di Google Research.


Earth AI e AI co-scientist: la ricerca accelera grazie ai modelli intelligenti

Tra i progetti più avanzati presentati c’è Earth AI, un modello di intelligenza artificiale addestrato su dati meteorologici, geologici e geofisici. Lo strumento consentirà a ricercatori, amministratori e cittadini di interrogare il sistema su rischi di tempeste e inondazioni, rendendo la prevenzione ambientale più immediata ed efficace.

Altro progetto in fase di sviluppo è AI co-scientist, pensato per affiancare i ricercatori nei laboratori scientifici come un vero e proprio assistente virtuale. “Mi aspetto che l’IA abbia un impatto concreto nel tempo — ha detto Matias — siamo solo agli inizi, ma i risultati sono promettenti”.


Il “ciclo magico della ricerca” e le applicazioni scientifiche

Secondo Matias, l’intelligenza artificiale potrà generare un “ciclo magico della ricerca”, accelerando la scoperta e alimentando nuove domande scientifiche. I primi benefici si vedranno nei settori del calcolo quantistico, delle neuroscienze e della ricerca farmacologica, anche se “per molti versi siamo ancora agli inizi della nostra capacità di esplorazione scientifica”.

“Un bambino può risolvere problemi che l’intelligenza artificiale non sa ancora affrontare — ha aggiunto Matias — segno che c’è ancora molto da scoprire”.


L’IA come leva per trasformare l’istruzione

Anche la scuola è destinata a cambiare profondamente. “L’IA trasformerà l’istruzione”, ha spiegato Matias, sottolineando la necessità di prevenire i rischi di dipendenza cognitiva e di garantire un uso consapevole degli strumenti digitali.

Tra le iniziative di Google, AI Quest mira a rendere l’intelligenza artificiale accessibile ai bambini fin dall’infanzia, sviluppando curiosità, creatività e senso critico.

Un esempio concreto arriva dall’Africa: in una scuola di Accra (Ghana) è in corso la sperimentazione di un sistema di valutazione basato su IA che fornisce feedback giornalieri agli studenti, consentendo agli insegnanti di dedicare più tempo alla didattica.


Regole e responsabilità per un futuro condiviso

“L’intelligenza artificiale aprirà nuove opportunità a persone brillanti e creative, ma serviranno regole chiare e responsabilità etica per garantire che la tecnologia resti al servizio dell’uomo”, ha concluso Matias.

L’IA, dunque, non solo come progresso tecnologico, ma come nuovo patto sociale tra innovazione, conoscenza e tutela dei cittadini.

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Quasi 4 milioni di italiani con diagnosi di diabete, cresce il rischio al Sud e tra gli over 50

Alla vigilia della Giornata Mondiale del Diabete, l’Istituto Superiore di Sanità segnala quasi 4 milioni di diagnosi in due anni: la malattia cresce con l’età e colpisce più al Sud.

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In Italia, quasi 4 milioni di persone, pari a poco meno del 5% della popolazione adulta, hanno ricevuto una diagnosi di diabete negli ultimi due anni. Lo rileva l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) nel Rapporto 2024 alla vigilia della Giornata Mondiale del Diabete, che si celebra il 14 novembre.

Secondo il presidente dell’Iss Rocco Bellantone, si tratta di “una delle principali sfide per la salute pubblica”, con una prevalenza in crescita e fortemente correlata all’età. Tra le persone tra i 50 e i 69 anni, infatti, il tasso di incidenza sfiora il 9%.


I progetti europei Care4Diabetes e Jacardi

L’Iss è capofila di due importanti progetti europei: Care4Diabetes e Jacardi.

Il primo promuove l’autogestione della malattia attraverso programmi educativi e una piattaforma digitale che mantiene il contatto costante tra pazienti e operatori sanitari, fornendo strumenti e materiali formativi per i team multidisciplinari.

Jacardi, invece, punta a creare il Registro Nazionale del Diabete e a sviluppare percorsi di screening pediatrico per il diabete di tipo 1 e la celiachia, con l’obiettivo di migliorare la pianificazione sanitaria, prevenire complicanze e individuare precocemente i gruppi a rischio.


Differenze territoriali e sociali: il Sud più colpito

Secondo la sorveglianza Passi 2023-2024, la prevalenza del diabete è più alta tra gli uomini (5,2%) rispetto alle donne (4,4%), e raggiunge il 16% tra le persone con basso livello di istruzione o difficoltà economiche.

La malattia è più diffusa nel Sud (6%) rispetto al Nord (4%) e spesso si associa ad altri fattori di rischio cardiovascolare:

  • ipertensione nel 50% dei casi,

  • ipercolesterolemia nel 40%,

  • eccesso di peso nel 70%,

  • sedentarietà nel 48%.

Solo il 36% dei pazienti ha controllato l’emoglobina glicata negli ultimi quattro mesi, un indicatore chiave per monitorare il livello di controllo della malattia.


Una sfida anche a livello europeo

Nella Regione Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa 66 milioni di adulti convivono con il diabete, con una prevalenza media del 9,8%. Si stima che un terzo dei casi non sia ancora diagnosticato e che una persona su dieci possa sviluppare la malattia entro il 2045.

Gli esperti ribadiscono la necessità di rafforzare le politiche di prevenzione e la collaborazione internazionale per fronteggiare l’epidemia silenziosa del diabete.


Buzzetti (Sid): “Il diabete non è più una malattia dei nonni”

“La maggior parte dei diabetici è in età lavorativa: sette su dieci”, ricorda Raffaella Buzzetti, presidente della Società Italiana di Diabetologia (Sid).

Pur riconoscendo che l’aspettativa di vita dei pazienti ben controllati è simile a quella della popolazione generale, Buzzetti sottolinea che “sul benessere e sulla qualità della vita c’è ancora molto da fare”.

Il diabete, infatti, influisce anche sullo stato emotivo e mentale: secondo i dati IDF, tre persone su quattro soffrono di ansia o depressione correlate alla malattia e quattro su cinque vivono un burnout da diabete.


Prevenzione, innovazione e formazione le parole chiave

Per la presidente Sid, è urgente “rafforzare la prevenzione, formare gli operatori e informare il pubblico”.

Servono cure più accessibili, l’uso di farmaci innovativi e dispositivi digitali, e un impegno condiviso per migliorare l’assistenza diabetologica in tutto il Paese.

Un obiettivo che passa anche attraverso la costruzione di una cultura della salute consapevole, capace di unire prevenzione, innovazione e inclusione sociale.

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