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Cronache

Si muove Israele: il nonno di Eitan ai domiciliari

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 Il nonno di Eitan interrogato e messo ai domiciliari: svolta sul caso del bambino di sei anni conteso dai due rami della famiglia dopo la tragedia del Mottarone in cui ha perso 5 familiari tra cui padre, madre e il fratello. In serata, infatti, l’unita’ speciale 433 della polizia israeliana ha interrogato Shmuel Peleg, nonno materno di Eitan, contestandogli le accuse di aver “rapito il nipote e averlo portato in Israele”. Al termine e’ stato rilasciato, ma con l’obbligo di restare nella sua abitazione almeno fino a venerdi’ (i media israeliani definiscono esplicitamente la misura restrittiva come ‘arresti domiciliari’), e gli ha sottratto il passaporto. Nella stessa abitazione continua a vivere anche Eitan. Allo stato non pare che la decisione delle autorita’ israeliane sia legata a una richiesta o a un mandato d’arresto italiano: “A me risulta che gli sia stato chiesto di restare a disposizione della polizia”, spiega il legale di Peleg, l’avvocato Paolo Sevesi, che sta seguendo gli sviluppi dell’inchiesta della procura di Pavia che ha iscritto nel registro degli indagati sia il nonno che la nonna di Eitan per sequestro di persona. I due pero’ ribadiscono la correttezza del loro operato. “Il trasferimento di Eitan in Israele e’ avvenuto in maniera legale e dopo una consultazione con esperti di diritto”, ha detto Peleg, secondo quanto riferito da Gadi Solomon, un portavoce della famiglia. Riguardo all’interrogatorio davanti alla polizia israeliana, Peleg – ha detto il portavoce – ha collaborato “in pieno con gli investigatori ed ha risposto a tutte le domande”. Si e’ presentato alla polizia dopo essere stato convocato per chiarire le modalita’ del “ritorno di Eitan a casa sua in Israele”, come avrebbero voluto – sostiene il nonno – i suoi genitori. Solomon ha quindi confermato la “limitazione” dei movimenti di Peleg fino a venerdi’. “Domani speriamo di sapere, grazie alla polizia israeliana, dov’e’ esattamente Eitan e speriamo cosi’ che torni presto da noi”, ha detto Or Nirko, lo zio paterno del bambino, che saluta positivamente le notizie provenienti da Tel Aviv. “I domiciliari? E’ un buon inizio. Spero solo che questa saga finisca al piu’ presto per il benessere mentale del bambino”, conclude lo zio, marito di Aya Biran, tutrice legale di Eitan. Dunque continua lo scontro tra le famiglie, i rami paterno e materno, cosi’ come proseguono le indagini della Procura di Pavia che allargano il campo delle presunte complicita’ nel rapimento. Certo, quello che appare sempre piu’ probabile e’ che la definizione della triste vicenda del piccolo Eitan, possa arrivare dai contatti diplomatici, dalle decisioni di Italia e Israele e da quelle dell’autorita’ giudiziaria del Paese mediorientale. La zia paterna e tutrice Aya Biran, dopo che quattro giorni fa il bambino e’ stato portato in Israele dal nonno materno, ha presentato, attraverso legali israeliani, un’istanza al Tribunale di Tel Aviv per chiedere di far rientrare il piccolo in Italia sulla base della Convenzione dell’Aja. Infatti, l’articolo 29 della Convenzione dell’Aja consente al titolare del diritto di affido di “rivolgersi direttamente al competente tribunale per chiedere il rientro del minore sottratto, anche senza l’intermediazione delle autorita’ centrali”. “E’ un’istanza prodromica e preparatrice per un’eventuale attivazione della procedura”, ha spiegato l’avvocato Cristina Pagni, che assiste in Italia Aya, assieme ai legali Armando Simbari e Massimo Saba parlando dell’iniziativa della zia paterna del bambino. “C’e’ ancora in corso una valutazione ed e’ ancora aperto il tema se ad attivare la procedura sara’ l’Italia o Israele”, ha chiarito. Potrebbe, infatti, arrivare anche una richiesta dai legali della tutrice che dovra’ passare per il Ministero della Giustizia. Nel frattempo, l’Ambasciata d’Israele a Roma ha fatto sapere che sta seguendo la vicenda sin dal momento in cui si e’ verificato il disastro della funivia il 23 maggio e anche questo triste caso e che se ne occupera’ in collaborazione con l’Italia, a beneficio del minore e in conformita’ con la legge e le convenzioni internazionali pertinenti. “Si spezza il cuore davanti agli ultimi e sorprendenti sviluppi legati al bambino”, ha spiegato l’ambasciatore Dror Eydar. Sul fronte dell’inchiesta, oltre all’attivazione di rogatorie internazionali, perche’ il bimbo sarebbe partito assieme al nonno e forse anche ad altre persone da Lugano con un volo privato, dopo aver superato il confine svizzero in macchina e grazie a un passaporto non riconsegnato, si allunga l’elenco degli indagati. E’ stata iscritta pure la nonna materna Esther, detta Etty, Cohen, ex moglie di Peleg, anche lui, ex militare e forse vicino ad ambienti dei servizi segreti israeliani, gia’ accusato di sequestro di persona aggravato e difeso dai legali Paolo Polizzi, Paolo Sevesi e Sara Carsaniga. In piu’ e’ in corso un lavoro di verifica di inquirenti e investigatori sul tragitto e sulle eventuali presenze di altri che hanno partecipato al blitz, senza trascurare l’ipotesi di un appoggio “strutturato”. Ieri era stato lo zio paterno di Eitan, Or Nirko, ad accusare la nonna materna di complicita’ nel sequestro in una piu’ ampia storia che pare intrecciare pure interessi economici legati ai risarcimenti per il disastro della funivia e motivi di educazione religiosa del bimbo. Anche se e’ stato riferito che la nonna sarebbe rientrata in Israele prima del giorno del rapimento. La stessa Aya aveva raccontato comunque che il nonno, quando e’ arrivato a prendere Eitan per la visita che gli era stata concessa, ha parcheggiato lontano dall’abitazione e non e’ chiaro se nell’auto ci fossero altre persone ad attenderlo. Intanto, Nirko ha lanciato nuove accuse dicendo che “la famiglia Peleg trattiene Eitan come i soldati dell’esercito israeliano sono tenuti prigionieri nelle carceri di Hamas”. Per poi rivolgere, pero’, anche un appello chiedendo di poter sapere dove si trova Eitan (“non e’ in ospedale”, ha detto) e come sta. “Sta bene”, ha fatto sapere la famiglia Peleg, mentre il nonno continua a ripetere di non averlo rapito ma di aver agito “d’impulso per il suo bene”. Poi, la richiesta dello zio per una “soluzione politica” e un riferimento a personaggi strani che si sarebbero avvicinati al piccolo: “”Nel corso di una visita precedente Eitan e’ stato tenuto per due ore e mezza dentro la macchina della nonna materna e interrogato da una persona sconosciuta, che diceva che il suo lavoro e’ ‘cambiare i baffi'”.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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