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Sì degli svizzeri alla neutralità climatica entro il 2050

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Gli svizzeri, sempre più preoccupati per l’impatto del riscaldamento globale, che sta provocando il rapido scioglimento dei loro giacchiai, hanno detto sì alla neutralità climatica entro il 2050. Chiamati alle urne per nuova tornata di referendum, hanno approvato con il 59,1% di voti la legge federale per arrivare ad un saldo netto delle emissioni di gas serra pari a zero entro i prossimi decenni. Con una schiacciante maggioranza del 78,5 % di voti, è stata accettata anche l’introduzione di un’imposizione minima del 15% per i grandi gruppi di imprese attivi a livello internazionale. Contro la “Legge federale sugli obiettivi in materia di protezione del clima, l’innovazione e il rafforzamento della sicurezza energetica” adottata dal Parlamento, era stato lanciato un referendum dall’Udc, partito della destra radicale e maggiore forza politica del Paese.

Con la vittoria del Sì, invece, si punta ad una riduzione progressiva del consumo di petrolio e gas e di accrescere la produzione di energia da fonti rinnovabili, come l’eolico ed il solare. Il progetto prevede tra l’altro sostegni finanziari (200 milioni di franchi all’anno – pari a circa la stessa la somma in euro – per un periodo di dieci anni) per favorire la sostituzione di impianti di riscaldamento con carburanti fossili e la promozione dell’efficienza energetica degli edifici. Inoltre saranno sostenute le imprese che investono in tecnologie rispettose del clima. Non vengono introdotti divieti né nuove tasse. Soddisfazione è stata espressa dal Wwf, che ha parlato di un sì che equivale ad un mandato per il futuro. Due anni fa gli svizzeri avevano bocciato un testo per la riduzione delle emissioni di CO2.

Quanto alle multinazionali, l’attuazione del progetto di minimum tax richiedeva una modifica della Costituzione federale, per la quale era necessaria una votazione popolare. Con il sì alle urne la Svizzera si allinea alla riforma concordata, circa due anni fa, dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dal G20. La Confederazione vi ha aderito insieme a quasi altri 140 Paesi. Secondo una recente stima, nel Paese la riforma concerne direttamente poche centinaia di gruppi di imprese svizzeri e poche migliaia di gruppi di imprese esteri. La modifica costituzionale approvata crea i presupposti affinché il governo possa introdurre l’imposta integrativa mediante ordinanza già nel 2024. Il governo dovrà poi presentare un disegno di legge al Parlamento entro sei anni. Anche l’ultimo tema in votazione a livello federale è stato approvato senza difficoltà (61,9% di Sì). Concerneva la proroga fino a fine giugno 2024 di alcune misure previste dalla legge adottata durante la pandemia di Covid, contro la quale era stato promosso un referendum. La partecipazione è stata di quasi il 42%.

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Le richieste di Mosca per uno stop ai combattimenti

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Dagli scambi commerciali nel mar Nero al rientro delle banche russe nel sistema Swift: tra le condizioni elencate dal Cremlino per l’attuazione della parziale tregua con l’Ucraina a spiccare è la revoca di diversi tipi di misure che l’Occidente, dall’inizio della guerra, ha messo in campo contro Mosca. Sanzioni decise da Washington ma anche dall’Europa. Sono sedici i pacchetti messi in campo finora da Bruxelles. E alcuni di questi rientrano pienamente nelle aree sulle quali Mosca vuole un ritorno allo stato pre-guerra. In totale, secondo gli ultimi dati della Commissione – 19 marzo 2025 – è di 48 miliardi il valore dell’export verso la Russia che Bruxelles ha vietato. Somma che sale a 91,2 miliardi se si guarda al valore dei beni importati da Mosca.

Il Cremlino, nei punti inseriti nello schema per una tregua, ha messo la clausola della libera circolazione delle navi nel mar Nero. Petroliere, innanzitutto. Il divieto di import del greggio russo è stato messo in campo dall’Ue in coabitazione con il G7 a partire dal giugno del 2022, sebbene con alcune eccezioni. Nei mesi successivi Bruxelles ha approvato numerose altre misure per evitare l’aggiramento dell’embargo al petrolio, possibile con la collaborazione di Paesi terzi extra-Ue. Il divieto ha riguardato il 90% dell’import di petrolio russo da parte dell’Ue.

Nel 2021 il valore di queste importazioni era di 71 miliardi di euro. Diverso il discorso per i fertilizzanti. Le prime sanzioni ad uno dei prodotti russi e bielorussi più venduti in Europa risalgono al quinto pacchetto di misure, varato nell’aprile del 2022. Bruxelles, negli ultimi mesi, ha provato a rafforzare il muro, con la strada dei dazi. Ma le resistenze del comparto agricolo sono state diverse. Tra le richieste di Putin c’è anche il re-ingresso delle banche russe nel sistema Swift per le transazioni internazionali. Il divieto è stato tra le prime sanzioni imposte dall’Occidente. Nel marzo del 2022 l’Ue escluse i primi 7 istituti da Swift. Tra questi, tuttavia, non figurava Gazprombank, il principale canale con cui Mosca riceve gli introiti del petrolio.

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Mar Nero, il fronte navale dimenticato: perché la Russia ha accettato il cessate il fuoco

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Dalla pretesa del controllo totale sul Mar Nero all’ammissione di un cessate il fuoco imposto dai fatti. La Russia, che nel febbraio 2022 aveva avviato una delle campagne militari più ambiziose del conflitto, si trova oggi costretta a ridimensionare le sue ambizioni navali. La guerra sul mare è stata una disfatta strategica per Mosca, che ha perso almeno il 20% della propria flotta militare. Ed è proprio questo insuccesso a spingere Vladimir Putin ad accettare la tregua discussa ai negoziati in Arabia Saudita.

L’ambizione: dominare il Mar Nero

Il piano iniziale era chiaro: occupare tutti i porti e le coste dell’Ucraina meridionale, escludere Kiev da una delle sue principali arterie economiche e imporre un monopolio russo sulla navigazione nel Mar Nero. Già il primo giorno di guerra, Mosca dichiarava la sospensione della navigazione a nord del 45° parallelo e nel Mar d’Azov. Il porto storico di Sebastopoli diventava il fulcro di operazioni “antiterrorismo”. L’obiettivo era Odessa, da raggiungere anche con operazioni anfibie, mai realmente decollate.

La svolta: l’affondamento della “Moskva”

Il punto di rottura arriva il 13 aprile 2022, quando l’incrociatore Moskva, fiore all’occhiello della Flotta del Mar Nero, viene colpito e affondato da un drone marino ucraino Neptune. È l’inizio della fine: a oggi almeno trenta unità navali russe sono state distrutte o rese inutilizzabili. Il grosso della flotta è stato ritirato verso est, a Novorossiysk, abbandonando di fatto il controllo attivo delle coste ucraine.

L’Ucraina resiste e reagisce

Kiev ha costruito un sistema difensivo sofisticato lungo le acque territoriali, proteggendo le rotte commerciali con droni marini e aerei. L’isola dei Serpenti, simbolo della resistenza, è stata riconquistata. I russi hanno reagito con attacchi mirati, ma non sono riusciti a ristabilire la superiorità marittima. L’Ucraina ha così riaperto i suoi corridoi navali, e nonostante le continue minacce, le esportazioni sono riprese.

Il blocco e il “corridoio del grano”

Nel 2022, con mediazione di Onu e Turchia, nasce il cosiddetto “corridoio del grano”. Funziona, inizialmente: 331 navi partite in pochi mesi. Ma nel 2023 Mosca inizia a ostacolare i controlli e infine impone di nuovo il blocco. Nel frattempo Kiev forza la mano, e tra ottobre 2023 e dicembre 2024 transita un volume record: 3.500 navi e oltre 93 milioni di tonnellate di prodotti esportati.

Gli attacchi di Mosca e l’alto costo della guerra

Nel solo bimestre gennaio-febbraio 2025, la Russia ha colpito Odessa almeno 21 volte, distruggendo parte delle infrastrutture portuali ed energetiche. Il prezzo umano è alto: il caso più tragico l’11 marzo, quando quattro marinai siriani muoiono a bordo di un cargo battente bandiera delle Barbados.

La mediazione possibile: il ruolo della Turchia

La tregua proposta oggi ai tavoli sauditi prevede una sospensione delle ostilità navali, ma resta fragile. Il monitoraggio potrebbe tornare nelle mani della Turchia, come nel 2022. Ma Erdoğan è oggi troppo impegnato nella crisi interna per giocare lo stesso ruolo. E così, mentre le truppe russe avanzano lentamente nel Donbass, il Cremlino ammette di aver perso il controllo di uno dei fronti che più avrebbe voluto dominare.

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L’Europa si prepara a guerra e altre emergenze: arriva la strategia Ue per resistere 72 ore in autonomia

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Una “borsa della resilienza” per ogni cittadino europeo, un piano comune per affrontare guerre, disastri naturali e pandemie, una piattaforma informativa e un comitato speciale di crisi. È questo il cuore della strategia che la Commissione europea presenta oggi per rafforzare la preparazione civile e militare dell’Ue, seguendo la traccia della relazione consegnata lo scorso ottobre dall’ex presidente finlandese Sauli Niinistö.

Trenta azioni chiave per affrontare le crisi

Il documento, intitolato “EU Preparedness Union Strategy”, prevede trenta azioni operative per migliorare la resilienza del continente, dai conflitti ai blackout, dagli attacchi informatici alle emergenze sanitarie. Una delle misure simboliche — ma anche pratiche — è la creazione di un kit di sopravvivenza per ogni cittadino, che dovrà contenere acqua, cibo, medicinali, documenti, fiammiferi e torce: l’obiettivo è garantire almeno 72 ore di autonomia in caso di crisi.

Una giornata per imparare la resilienza

La strategia prevede anche una “giornata nazionale di preparazione” da istituire in ogni Stato membro per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di essere pronti a ogni tipo di catastrofe. Particolare attenzione sarà rivolta anche alle scuole, con programmi didattici dedicati alla cultura della prevenzione e della gestione dell’emergenza.

Verso un comitato di crisi europeo

La bozza visionata da El País prevede la creazione di un comitato di crisi Ue che includa la Commissione europea, l’Alto rappresentante per la politica estera e i rappresentanti dei 27 Paesi membri. Questo organismo sarà supportato da tutte le agenzie europee competenti e avrà il compito di coordinare le risposte rapide e condivise a livello continentale.

Riserve strategiche e piattaforma digitale

Bruxelles punta anche a coordinare le riserve strategiche di medicinali, materie prime, energia e generi alimentari, per evitare frammentazioni e ritardi. Sarà inoltre lanciata una piattaforma digitale per informare i cittadini sui rischi in tempo reale, sulle opzioni di rifugio e sulle risorse disponibili in caso di emergenza.

Intelligence e sicurezza: potenziare l’analisi Ue

Infine, la Commissione vuole rafforzare il proprio Centro unico di analisi dell’intelligence, che riceve dati da tutte le agenzie di spionaggio civili e militari dei Paesi membri. Lo scopo è identificare precocemente le minacce e ridurre l’impatto di eventi critici prima che diventino ingovernabili.

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