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Economia

Sei miliardi di truffe al Superbonus: tra i percettori criminali, detenuti, parcheggiatori abusivi e prestanome

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All’Agenzia delle Entrate ha comunicato di aver maturato crediti d’imposta per lavori edilizi stimati 30 milioni di euro. Il Superbonus edilizia. E quale è il problema? Il signore che certifica il credito d’imposta in quel periodo era in carcere.
Tra i casi di truffa più eclatanti questo è l’ultimo. Sono quasi 6 i miliardi sottratti allo Stato, di cui 2 miliardi “già incassati”, come ha confermato al Parlamento il ministro dell’Economia Daniele Franco.
Nell’elenco dei truffatori del superbonus, spesso persone che hanno truffato milioni di euro, senza avere titolo ci sono parcheggiatori abusivi, macellai improvvisati imprendtori edili, detenuti condannati per reati gravi, esponenti delle mafie, percettori tuffatori anche del Reddito di cittadinanza. La frode del Superbonus ha raggiunto dimensioni incredibili. Il dramma è che questi truffatori hanno ora rallentato e forse bloccato il Superbonus e con esso i lavori di chi invece ha seguito le regole e oggi vanta crediti che ha difficoltà a incassare. Ci sono migliaia di società oneste e imprenditori perbene che in attesa di controlli rischiano il fallimento, la chiusura.
La circolare emessa il 23 giugno scorso chiarisce la procedura per la cessione del credito e ribadisce la necessità che Poste Italiane e le banche effettuino i controlli prima di erogare i soldi proprio per non ostacolare chi ha rispettato le norme.
Ma sia Poste sia gli istituti di credito hanno già subito perdite da centinaia di milioni e adesso i ritardi si accumulano penalizzando i cittadini in regola. Colpa dei truffatori, certo. Ma colpa anche di chi avrebbe potuto e dovuto effettuare controlli su soggetti davvero improbabili. Il caso del detenuto o del mafioso non  sono casi limite. C’è di più e di peggio.
A Napoli la procura ha disposto “il sequestro di crediti derivanti da bonus edilizi e di locazione per oltre 772 milioni di euro, vantati da 143 soggetti, tra persone fisiche e giuridiche tra le province di Napoli e Caserta”. Erano stati inseriti nel portale dell’Agenzia delle Entrare “crediti per svariati milioni di euro, a fronte di fantomatici lavori di ristrutturazione di fatto mai eseguiti”. Tra i titolari del credito di imposta “soggetti più volte segnalati dagli investigatori per esercizio abusivo dell’attività di parcheggiatore, per essere risultati privi di partita Iva, per aver svolto attività d’impresa per un solo giorno, per essere risultati impegnati in settori economici differenti da quello edilizio e persino per contiguità con la camorra, sia napoletana che casertana”.
Tra gli indagati anche un signore della truffa che “avrebbe ricevuto lavori di ristrutturazione per oltre 34 milioni di euro e, al contempo, ne avrebbe egli stesso asseritamente eseguiti per oltre 30 milioni di euro, benché fosse in realtà detenuto presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere”. Un genio della truffa o uno Stato che esegui controlli all’acqua di rosa? Per fortuna la Guardia di Finanza  di Napoli ha bloccato questa enorme, colossale e banale truffa milionaria.
Il 6 luglio sono state bloccate erogazioni per oltre 110 milioni di euro dai magistrati di Parma che avevano chiesto e ottenuto l’arresto di quattro persone. La società incaricata dei lavori «avrebbe ricevuto una provvista di denaro monetizzando crediti di imposta legati a “sisma bonus”, “eco bonus” e “bonus facciata”, procedendo poi a trasferire la somma all’estero su un rapporto bancario lituano riconducibile a un trust svizzero”. Gli investigatori hanno poi  scoperto che i lavori erano stati pianificati per “281 immobili inesistenti e soprattutto 23 immobili ubicati in Comuni soppressi da tempo (anche nei primi anni del secolo scorso) e decine di altri immobili di proprietà di terzi soggetti che però erano totalmente estranei agli affari”.
Tornando alle indagini avviate a Napoli per controllare la regolarità del Superbonus, la magistratura che ha coordinato il lavoro della Finanza, ha accertato che “il 70 per cento delle persone titolari del credito di imposta risultava percettore o comunque richiedente il Reddito di cittadinanza”. Ancor più eclatante quanto scoperto a Caserta dove sono stati sequestrati oltre 13 milioni di euro a due imprenditori che avevano avviato lavori anche a Modena. La Guardia di Finanza ha svelato che “i due indagati, senza avere una concreta organizzazione aziendale (mezzi, dipendenti, uffici), avevano generato crediti di imposta per lavori edili mai svolti, per i quali non erano state emesse fatture nei confronti dei presunti clienti. I crediti generati venivano poi ceduti, di solito in tranche di 500 mila euro, a una moltitudine di soggetti privi della necessaria forza economica per pagare il prezzo della cessione del credito e, in alcuni casi percettori del Reddito di cittadinanza, che avevano l’esclusivo compito di rivendere i crediti d’imposta agli istituti di credito i quali, ignari della provenienza delittuosa, provvedevano a monetizzarli”. Ma chi “compra” i crediti di imposta è davvero ignaro della provenienza? Quali controlli effettua concretamente quando assume crediti per miliardi? Anche su questo versante la procura di Napoli (e non solo) svolge delle indagini. Per capire se c’è negligenza nei controlli (e sarebbe grave) e se invece c’è dell’altro.

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5 miliardi per gli sconti taglia bollette e sanità

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Prima il caso della liberalizzazione delle vendite promozionali, che compaiono nelle bozze ma che il ministero si affretta a smentire. Poi il via libera, atteso, che invece non arriva. Il Consiglio dei ministri che stanzia 5 miliardi per rinnovare – di molto ridotti – gli sconti taglia-bollette e mettere una toppa al buco da 2,2 miliardi del payback che pesa sulle aziende del biomedicale non approva il disegno di legge sulla Concorrenza. Il nuovo ddl andava avviato già nel 2022 e rappresenta uno degli obiettivi del Pnrr per quest’anno. Ci sarebbero problemi di copertura, in questo caso, in particolare per il capitolo energia. Ma ci sarà anche da superare l’esame di Bruxelles per la revisione delle regole per le concessioni degli ambulanti.

Il Cdm, che inizia molto in ritardo e dura quasi due ore, approva se non altro il nuovo codice degli appalti, un altro target del Pnrr, oggetto della successiva cabina di regia presieduta da Raffaele Fitto. E nel decreto bollette, che diventa di fatto un omnibus, infila un pacchetto sanità e anche una sostanziale riscrittura del calendario delle sanatorie fiscali. Ma il provvedimento più importante per l’esecutivo è lo stop ai cibi sintetici, cui viene dedicata per intero la conferenza stampa post Cdm e che Giorgia Meloni scende a festeggiare insieme alla Coldiretti in un flash mob per tutto il pomeriggio accanto a Palazzo Chigi.

La premier si fa attendere a lungo dai ministri e anche Antonio Tajani è impegnato, prima del Cdm, sul dossier migranti – al centro dell’agenda dell’esecutivo – in particolare per cercare di sbloccare i finanziamenti alla Tunisia. La riunione peraltro è preceduta da qualche intoppo: il ministero del Made in Italy deve correre a smentire che con il nuovo ddl concorrenza si intenda rivisitare il calendario dei saldi, una norma che i tecnici – sulla base delle indicazioni dell’Antitrust – avrebbero inserito nelle prime bozze senza avere ricevuto il placet politico e che aveva fatto scattare l’allarme soprattutto tra i piccoli commercianti. Arrivano poi i dubbi sulle coperture e l’esame non va oltre la fase iniziale. Serviranno approfondimenti dicono dall’esecutivo. Mentre nel nuovo Codice appalti – una “rivoluzione” secondo Matteo Salvini – l’esecutivo si sarebbe “scordato” i consorzi artigiani, come denuncia la Cna, impedendo così di fatto agli artigiani l’accesso alle gare.

Ma il vicepremier non è in conferenza stampa a spiegare le novità, perché, fa sapere il Mit, resta a Palazzo Chigi impegnato nella cabina di regia sul Pnrr. Il codice porta l’impronta del nuovo governo, come evidenzia una nota del ministero illustrando una norma definita “prima l’Italia”, che premia chi utilizza materiali italiani. Europei tuttalpiù. Nemmeno la premier va in conferenza stampa – in serata dovrebbe tenersi l’ennesima riunione sulle nomine. Ma sui social rimarca che la “priorità” per il governo resta quella di “sostenere concretamente cittadini e imprese”, come fa con i 5 miliardi bollette e sanità. Ai cronisti si presenta Francesco Lollobrigida, accompagnato dal ministro della Salute Orazio Schillaci, per rivendicare lo stop ai cibi sintetici, anche per sventare il rischio “di ingiustizia sociale, in una società in cui i ricchi mangiano bene ed i poveri no”. Entusiasti per lo scampato pericolo gli agricoltori che a sorpresa ricevono in serata la visita della premier.

Il disegno di legge vieta la produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici, un cavallo di battaglia di Fdi, citato spesso anche dalla premier in occasione della partecipazione agli eventi degli agricoltori. Il principio base è quello di “precauzione” dice Schillaci, che non fa direttamente menzione invece del pacchetto sanità (approvato però in Cdm) che prevede più fondi per gli straordinari dei medici in Pronto soccorso, limiti ai camici bianchi a gettone e l’introduzione di una nuova aggravante per chi aggredisce medici e infermieri, per arginare i fenomeni di violenza in corsia. Anche il nuovo reato ha avuto bisogno di qualche limatura tecnica, con gli uffici della Giustizia mobilitati.

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Appalti più semplici e veloci, arriva il nuovo Codice

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Parola d’ordine: semplificazione. E’ questa la stella polare che guida il nuovo codice degli appalti approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri. L’insieme delle nuove norme, racchiuse in 229 articoli, parte da due principi fondamentali, quello del risultato – da conseguire con la “massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza” – e quello della fiducia nella legittimità delle scelte fatte. “Per fare una gara si risparmieranno da sei mesi ad un anno”, calcola il ministero delle Infrastrutture che evidenzia anche l’arrivo di una norma che battezza ‘Prima l’Italia”: fissa criteri premiali per il valore percentuale dei prodotti originari italiani o dei Paesi Ue, ma anche la valorizzazione delle imprese che hanno sede nel territorio interessato dall’opera. Per frenare i ‘no’ viene introdotto il dissenso qualificato: come dire le amministrazioni avranno una cornice più limitata per bloccare un’opera. I piccoli comuni potranno poi procedere ad affidamenti diretti fino a 500mila euro ed è prevista la cosiddetta liberalizzazione sotto soglia (fino a 5,3 milioni) e l’arrivo di una piattaforma digitale nazionale per evitare duplicazioni burocratiche nelle documentazioni richieste. “Sarà una rivoluzione positiva”, afferma il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Ma non sembrano dello stesso parere gli artigiani che viceversa si sentono esclusi e avanzano forti critiche per “l’assenza di riferimenti alla specificità dei consorzi artigiani nelle bozze di decreto legislativo sul Codice degli appalti” che li taglia fuori.

Pronti a scendere sul piede di guerra anche i sindacati che paventano il rischio che, con la liberalizzazione dei subappalti, i cantieri si trasformino in una giungla. FenealUil e Fillea Cgil si preparano quindi a scendere in piazza il prossimo 1 aprile. Tra le altre caratteristiche del nuovo codice, ci sono anche i minori vincoli sui subappalti che possono diventare ‘a cascata’ – che sono una delle novità sui cui si indirizzano le critiche – e l’obbligo di prevedere adeguamenti dei prezzi se i rincari dei materiali superano un certo rialzo. Arriva inoltre l’appalto integrato, che prima era vietato e che permetterà ora di attribuire con una stessa gara il progetto e l’esecuzione dei lavori. C’è poi la liberalizzazione degli appalti sottosoglia: fino a 5,3 milioni di euro le stazioni appaltanti potranno decidere di attivare procedure negoziate o affidamenti diretti, rispettando il principio della rotazione. Per gli appalti fino a 500 mila euro, allo stesso modo, le piccole stazioni appaltanti – in pratica i comuni minori – potranno procedere direttamente senza passare per le stazioni appaltanti qualificate. Si interviene anche sulla cosiddetta “paura della firma” ritoccando le sanzioni: niente colpa grave per i funzionari e i dirigenti degli enti pubblici se avranno agito sulla base della giurisprudenza o dei pareri dell’autorità. Tutele simili per la delicata questione dell’illecito professionale.

In particolare, per alcuni tipi di reato, l’illecito professionale può essere fatto valere solo a seguito di condanna definitiva, condanna di primo grado o in presenza di misure cautelari. C’è poi la digitalizzazione che diventa un vero motore per modernizzare tutto il sistema dei contratti pubblici e l’intero ciclo di vita dell’appalto. Il pilastro di questo processo risiede nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici (che fa capo all’Anac), nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, nelle piattaforme di approvvigionamento digitale, nell’utilizzo di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici. Inoltre, si realizza una digitalizzazione integrale in materia di accesso agli atti che tutti i cittadini possono richiedere. Viene impresso un grosso slancio al sistema di programmazione per le opere considerate prioritarie. Il Governo, di concerto con le Regioni, qualifica una infrastruttura come strategica e di preminente interesse nazionale e l’elenco di tali opere è inserito nel documento di economia e finanza (Mef).

E’ prevista poi la riduzione dei termini per la progettazione, l’istituzione da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici di un comitato speciale appositamente dedicato all’esame di tali progetti. Per quello che riguarda le quotazioni in appalto, è confermato l’obbligo di inserimento delle clausole di revisione dei prezzi al verificarsi di una variazione del costo superiore alla soglia del 5 per cento, con il riconoscimento in favore dell’impresa dell’80 per cento del maggior costo. Per la determinazione della variazione dei costi e dei prezzi si utilizzano gli indici Istat, tra cui quelli dei prezzi al consumo e alla produzione e gli indici delle retribuzioni contrattuali orarie. Nel nuovo codice è infine previsto anche il riordino delle competenze dell’Anac con un rafforzamento delle funzioni di vigilanza e sanzionatorie.

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Roma astenuta sulle auto in Ue, Parigi preme su nucleare

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Il sigillo finale è arrivato. Non all’unanimità, e senza l’Italia. Ma tanto basta all’Europa per tracciare la via per la “mobilità a zero emissioni” da raggiungere dal 2035, salvando comunque i motori termici. Nel D-day sulle automobili ‘green’, Berlino porta a casa il bottino sui tanto invocati e-fuels, mentre Roma si astiene dal ratificare l’accordo che lascia fuori i biocarburanti. Una contesa che, nelle parole del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, Roma è pronta a tenere viva – nonostante il via libera definitivo a maggioranza delle capitali Ue – dimostrando “già nei prossimi mesi” la neutralità tecnologica dei bio-fuels cruciali per l’automotive italiano. E che Bruxelles vedrà tornare in auge quando, in autunno, sarà chiamata a presentare come promesso il regolamento per i carburanti sintetici. Uno dei tanti fronti caldi sul campo dell’energia, al quale si affianca anche la sfida appena agli albori sul nucleare: Parigi preme per i finanziamenti sui piccoli reattori modulari e le prime linee guida Ue sembrano essere ormai all’orizzonte. Dopo settimane di trattative serrate – sfociate nell’intesa sull’uso futuro degli e-fuels tra Berlino e Bruxelles annunciata sabato -, l’attesa conferma che le richieste del governo di Olaf Scholz, e soprattutto della sua componente liberale, sono state esaudite da Palazzo Berlaymont è arrivata. E in autunno l’esecutivo comunitario presenterà il suo regolamento per continuare a immatricolare anche dopo il 2035 i veicoli alimentati a e-fuels. Niente da fare invece come ampiamente pronosticato per i biocarburanti. Un salvataggio in extremis dei motori termici comunque “apprezzato” dal governo italiano, ha fatto sapere Pichetto, ma non ancora sufficiente per dare speranze anche ai biocarburanti.

Da qui la decisione di Roma di astenersi, insieme a Bulgaria e Romania, senza però fare muro votando contro la ratifica finale come fatto in ultima istanza solamente dalla Polonia. L’apertura di Bruxelles – è la strenua difesa italiana – è comunque “troppo restrittiva” e la neutralità nelle emissioni CO2 dei biocarburanti “potrà essere dimostrata” anche prima della valutazione intermedia già prevista dall’Ue nel 2026. Una scadenza che, accompagnata dalla futura analisi sui progressi compiuti dalle industrie nazionali, lascia ancora qualche speranza a Roma perché l’Ue rimetta in discussione la strada da seguire. Anche se, è il mantra che da giorni si sente ripetere nei palazzi delle istituzioni Ue, i biocarburanti emettono CO2, pur in quantità meno significativa rispetto a quelli quelli fossili, e l’intenzione di Bruxelles è di tenere il punto “rispettando il mandato legislativo” ottenuto da 23 ministri. E forte anche dell’intesa raggiunta sulle stazioni di ricarica per le auto elettriche che dovranno essere installate ogni 60 chilometri entro il 2026 sui principali assi stradali indicati nelle reti prioritarie dei trasporti europee (Ten-T). Dietro il braccio di ferro sulle auto, sulla scena delle ambizioni climatiche dell’Ue irrompe intanto in maniera sempre più prepotente il dibattito sul nucleare che in prospettiva fa già tremare l’asse Parigi-Berlino.

 

Con una fuga in avanti orchestrata dalla Francia, tredici Paesi, tra i quali l’Italia in qualità di ‘osservatore’ insieme a Belgio e Paesi Bassi, si sono riuniti intorno al tavolo della direzione generale Energia della Commissione europea per definire le priorità di investimento future, puntando dritti verso il mini reattori nucleari. E, al termine della riunione, la Rappresentanza francese presso l’Ue ha diffuso una nota congiunta per sottolineare l’unità dell’alleanza davanti al futuro dell’atomo di ultima generazione, assicurando che fosse stata validata da tutti i 13 partecipanti alla riunione, compresi gli osservatori. Un piccolo caso diplomatico, seguito poi dalla smentita da parte di fonti del ministero dell’Ambiente che hanno indicato come l’Italia non abbia firmato “alcun documento”. Segno che per valutare il ruolo del nucleare in tutta Europa servirà ancora tempo. Ma Bruxelles ha già in mente alcune “linee guida”.

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