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Esteri

Se vota anche Londra, rischio terremoto al Parlamento europeo

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Socialisti europei in ascesa a dispetto dei Popolari in caso i britannici votassero alle europee a seguito di una lunga estensione della Brexit. E’ questo uno dei possibili scenari ipotizzati a Bruxelles a meno di 50 giorni dal voto di fine maggio, che potrebbe portare ad uno sconvolgimento degli attuali equilibri politici fra i vari gruppi all’Eurocamera. La partecipazione di Londra al voto, scrive Politico.ue, grazie alla ‘Flexit’, neologismo che indica un ritardo flessibile della Brexit di un anno, darebbe infatti ai socialisti europei la possibilita’ di superare il gruppo del centrodestra europeo per seggi. Il partito laburista britannico e’ stato infatti spesso una tra le piu’ numerose delegazioni all’interno del gruppo socialista e, secondo tale analisi che si basa su proiezioni, “potrebbe ottenere 25 seggi nelle prossime elezioni se non 30”. In tale scenario i socialisti potrebbero aumentare di peso fino ad arrivare a “167 seggi”, di fronte ad un Ppe che si prevede possa raggiungerne 177″. Tuttavia sottolinea Politico.ue “se i 14 europarlamentari ungheresi di Fidesz, attualmente sospesi dal partito”, per le scelte non in sintonia con i valori del Ppe fatte dal suo leader Viktor Orban, “dovessero decidere di andarsene via, allora i Popolari scenderebbero a 163”, lasciando in questo modo il primato agli S&D.

Palazzo Parlamento europeo

Un’ipotesi che gelerebbe il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, candidato per la presidenza della Commissione europea e dunque la sua scalata a Palazzo Berlaymont. Il voto di Londra porterebbe inoltre ad ingrossare le fila dei Conservatori Ecr grazie ai Tory, che potrebbero usare questo bottino per reclamare a gran forza un’alleanza con le forze sovraniste, in primis La Lega di Salvini e il Rassemblement National di Le Pen, date in ascesa. Ma al momento si tratta solo di ipotetici scenari visto che e’ impossibile avere certezza sulla partecipazione britannica a fine maggio. Un eventualita’ che Downing Street vorrebbe evitare e che l’Ue si augura di poter gestire.

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Esteri

Tunnel di Rafah, cento miliziani di Hamas rifiutano la resa: pressioni Usa e timori israeliani

A Rafah un centinaio di miliziani di Hamas rifiutano la resa e restano barricati nei tunnel. Pressioni Usa su Israele per una soluzione negoziale. Preoccupazioni di Tel Aviv per intese dirette tra Washington e Hamas.

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Una fonte palestinese della Striscia di Gaza, citata dall’emittente israeliana Kan News, ha riferito che circa un centinaio di appartenenti all’ala militare di Hamas restano trincerati in un tunnel a Rafah e hanno fatto sapere di non essere pronti ad arrendersi. Secondo la testimonianza, gli uomini non accetteranno alcun piano che li costringa ad abbandonare la rete sotterranea se non tramite un percorso scelto autonomamente e che, nelle loro intenzioni, consenta un’uscita “con dignità”.

La composizione del gruppo e il comando

Il gruppo sarebbe formato sia da operativi con esperienza di combattimento sia da militanti reclutati più di recente. A guidarli ci sarebbe un comandante di Hamas con grado equivalente a quello di un capo battaglione o brigadiere, indicato come la figura più autorevole presente nel tunnel.

Le pressioni degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti avrebbero intensificato le pressioni su Israele per trovare una soluzione alla situazione dei miliziani assediati. Jared Kushner, genero del presidente Donald Trump, ha inviato un messaggio a Tel Aviv sostenendo che Israele dovrebbe consentire il rilascio dei miliziani nelle aree ancora sotto controllo di Hamas, affermando che verrebbero fatti uscire disarmati e che tale misura potrebbe essere considerata parte del processo di smilitarizzazione della Striscia.

Il ruolo dell’inviato Steve Witkoff

È previsto che l’inviato del presidente Trump, Steve Witkoff, incontri l’alto funzionario di Hamas Khalil al-Hayya. Secondo le valutazioni israeliane, durante il colloquio verranno affrontate anche le possibili soluzioni per la crisi dei miliziani intrappolati.

Le preoccupazioni di Israele

Fonti israeliane, citate dai media, riferiscono che il governo di Tel Aviv è stato informato dell’incontro in anticipo, ma teme che Stati Uniti e Hamas possano raggiungere un’intesa senza un pieno coinvolgimento delle autorità israeliane. Una dinamica che, secondo tali fonti, solleva preoccupazioni politiche e di sicurezza.


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Esteri

Macron e Zelensky firmano l’accordo per 100 caccia Rafale e nuova difesa aerea

Francia e Ucraina firmano una lettera di intenti per l’acquisto fino a 100 caccia Rafale e sistemi di difesa avanzati. Accordo decennale che rafforza la cooperazione militare tra Parigi e Kiev.

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Il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky hanno firmato una lettera di intenti che apre alla possibile acquisizione di nuovi sistemi militari francesi da parte di Kiev nei prossimi dieci anni. Una scelta che l’Eliseo considera strutturale per rafforzare la sicurezza dell’Ucraina.

Fino a 100 Rafale per l’aeronautica ucraina

Il cuore dell’intesa riguarda la potenziale fornitura di circa 100 caccia Rafale, completi dei relativi armamenti. L’accordo renderebbe Kiev uno dei principali utilizzatori europei del jet francese, aumentando la capacità di risposta dell’Ucraina nel conflitto in corso.

Samp-T, radar e droni nella futura cooperazione

La lettera di intenti include anche la possibilità di acquisire sistemi di difesa Samp-T di nuova generazione, radar e droni. Strumenti considerati cruciali per proteggere infrastrutture e centri urbani dagli attacchi russi, sempre più mirati alle reti energetiche e logistiche.

Il messaggio politico di Parigi a sostegno di Kiev

Con questa mossa, la Francia intende riaffermare il proprio sostegno a Kiev in un momento in cui il fronte occidentale appare meno compatto. Per Macron si tratta di un gesto politico e strategico che rafforza la cooperazione bilaterale e offre nuove garanzie di sicurezza all’Ucraina.


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Presidenziali in Cile: la comunista Jeannette Jara e il conservatore José Kast volano al ballottaggio

La candidata comunista Jeannette Jara e l’ultraconservatore José Kast si sfideranno al ballottaggio del 14 dicembre. Fuori la destra tradizionale, exploit del populista Franco Parisi.

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La corsa alla presidenza del Cile si restringe a due nomi: Jeannette Jara, candidata del Partito Comunista, e José Kast, rappresentante del Partito Repubblicano e figura di riferimento dell’ultradestra. Con il 40% dei voti scrutinati, gli analisti considerano irreversibile il vantaggio dei due candidati, destinati a sfidarsi nel ballottaggio del 14 dicembre.

Jara in testa, Kast subito dietro

Secondo i dati del Servizio Elettorale (Servel), Jara guida il primo turno con il 26,45% delle preferenze, seguita da Kast con il 24,46%. Una sfida polarizzata tra programmi opposti, a cui si aggiunge un inaspettato terzo posto: il populista Franco Parisi, che conquista il 18,62% superando sia la destra tradizionale di Evelyn Matthei che l’ultradestra di Johannes Kaiser.

Il Paese diviso in tre aree

Dai primi risultati emerge un Cile spaccato territorialmente:

  • Sud: forte presenza per Kast, che domina nelle regioni meridionali.

  • Area metropolitana: prevale Jara.

  • Nord: exploit di Parisi, capace di intercettare il voto scontento e antisistema.

La destra promette di ricompattarsi

Nonostante la divisione al primo turno tra Kast, Kaiser e Matthei, i commentatori osservano una schiacciante affermazione complessiva delle destre. Per il ballottaggio è già stata annunciata la convergenza: un sostegno reciproco che potrebbe favorire Kast nella corsa verso La Moneda.

Kast: terzo tentativo per il “duro” della politica cilena

Kast, dichiaratamente simpatizzante di Augusto Pinochet, tenta per la terza volta l’ingresso al palazzo presidenziale. Il suo programma punta sulla repressione della criminalità e sul contrasto all’immigrazione clandestina, temi centrali per l’elettorato cileno.

Matthei riconosce la sconfitta e appoggia Kast

Evelyn Matthei ha ammesso subito la propria uscita di scena, congratulandosi con Kast. Con il 27% dei seggi scrutinati, la leader della destra tradizionale è ferma al 13,07%. “Andrò personalmente al comitato elettorale di José Kast per congratularmi”, ha dichiarato.

Il Cile si prepara ora a un ballottaggio che riflette una polarizzazione profonda: tra la sinistra comunista e un’ultradestra determinata a riunificare il proprio fronte.

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