Scuola Ranucci di Marano, una mamma protesta: mai discriminato il bimbo autistico, mai buttati i suoi giocattoli, abbiamo pulito la scuola che è in condizioni igieniche assurde
I giocattoli di un bimbo autistico buttati. Mamme che avrebbero mostrato scarsa civiltà, fors’anche ignoranza nei confronti di questo bambino speciale che andrebbe integrato, aiutato e non ghettizzato e discriminato. I fatti che narriamo sarebbero accaduti all’istituto Comprensivo Amanzio Alfieri Ranucci di Marano, grosso centro del Napoletano. La storia, ovviamente, è complessa. Queste storie e i loro protagonisti, una volta finiti nel frullatore mediatico, dividono, creano polemiche che fanno perdere di vista il problema più serio: la scuola è un luogo aperto a tutti, deve integrare e deve aiutare quegli alunni che hanno più difficoltà degli altri. Perché se non è così non è una scuola. Ecco perchè, aldilà di quella che spesso può essere una brutale informazione, proviamo a ricostruire e riportare con lealtà e con onestà, per quanto possibile, tutte le versioni in campo. Al centro di questo caso vi è ancora una volta la scuola, agenzia e avamposto educativo primario.
La storia raccontata in radio
Come nasce questa storia? Una consigliera comunale di Marano raccoglie la protesta di una madre che aveva già però fornito sue dichiarazioni ad un giornale circa il fatto che alcune mamme avrebbero buttato i giocattoli del suo bambino per motivi discriminatori. La consigliera comunale chiede alla dirigente scolastica di verificare se quel grave episodio di discriminazione fosse vero e se davvero fosse avvenuto nei confronti di un alunno affetto da problemi dello spettro autistico. Il bambino al rientro nella sua classe della scuola materna non avrebbe trovato i suoi giochi. In particolare non c’era più un camion giocattolo rosso. La madre del bambino aveva riferito di una crisi del piccolo per quel giocattolo che non c’era più a scuola. Quello che finisce sui media è il racconto di un episodio grave e cioè che altre mamme di altri bambini avrebbero buttato i giochi del bimbo autistico per ignoranza o peggio per discriminazione. Se fosse vero sarebbe un episodio di una gravità inaudita. La notizia diventa di dominio pubblico. Il frullatore mediatico rende virale il tutto. Ma è tutto vero quello che si dice? Davvero c’è un gruppo di mamme così ignoranti in questa scuola di Marano che avrebbero buttato i giocattoli del bimbo autistico pensando che potessero essere usati anche dai loro figli e dunque avrebbe causato non si sa quali problemi anche a loro? Davvero c’è chi può credere che toccare i giocattoli di un bimbo autistico ti espone al rischio di contrarre questa malattia?
L’altra storia raccontata da un’altra mamma
“Faccio parte del gruppo delle mamme che erano andate nell’aula a pulire e lo abbiamo fatto per i nostri figli, per tutti i figli, anche per il bambino speciale di cui parliamo. Sono dispiaciuta perché la mamma del bimbo che frequenta la materna con mia figlia, non solo era a conoscenza della nostra iniziativa autorizzata dalla dirigente ma era anche d’accordo. Poi come un fulmine a ciel sereno è spuntata la sua intervista ad una giornale con dichiarazioni assurde”. Chi parla è S. A., una mamma che ci ha contattati via Messenger per raccontarci una versione dei fatti diversa. “Abbiamo solo pulito le aule, non è stato gettato alcun gioco del bambino, vi sono alcune foto (che pubblichiamo, ndr) che lo dimostrano. Tutti i suoi giochi sono sempre lì, li abbiamo messi un due sacchi di plastica e portati in un’altra aula perché la mamma potesse poi prenderli e pulirli. Confermo che non vi era alcun ausilio speciale che gli sarebbe stato sottratto. E ribadisco che i giocattoli di questo bimbo non sono stati rotti. C’è un flipper di vetro con cui può farsi male, il vetro ha una grossa spaccatura, non spettava a noi eliminarlo e lo abbiamo messo nel sacco con gli altri” spiega questa mamma che ci contattati perché indignata per quando letto anche sui social. E il camioncino rosso a cui è così affezionato il bimbo autistico, davvero lo avete buttato? “Falso. Quel camioncino c’è. È stato messo da parte anche quello, nonostante abbia parti elettriche scoperte e le batterie non venivano cambiate da mesi. Ed un’insegnante e una dirigente scolastica penso debbano sapere che può essere dannoso per i bambini. Ma non lo abbiamo buttato, non siamo così stupide da pensare che i problemi dello spettro autistico si trasmettano attraverso i giochi. E purtroppo da giorni veniamo offese in modo violento sui social da gruppi di genitori con bimbi con problemi gravi in specie dal gruppo Autismo adulti. Ma sono un genitore e non ci sto ad essere condannata ingiustamente da chi per rabbia forse ha perso la lucidità in questa triste vicenda”. Chi vi ha autorizzato a pulire l’aula? “La dirigente scolastica ha autorizzato il gruppo di noi mamme, dopo mesi e mesi di proteste al suo indirizzo, perché le aule non vengono pulite e sanificate” spiega sempre A.S..
Solo questa volta potevate entrare nelle aule a pulire? “No, saremmo andate in accordo con la dirigente ogni 15 giorni. Sono ormai sette mesi che la cooperativa non va più a fare igienizzazione. Non solo: le due bidelle incaricate di pulire 5 classi fanno ciò che possono, ma fanno pulizie un’ora al giorno dato che dalle 16.30, che è orario di uscita, hanno solo un’ora circa. Non possono andare oltre poiché non sono coperte dall’assicurazione del loro contratto. Da mesi non vi è possibilità di lavare con il sapone i bambini e abbiamo trovato tra i banchi, tra i giochi di tutti i piccoli, resti di insetti. Come anche dietro i mobili e sui pavimenti c’è una situazione igienica indecorosa. Abbiamo le foto” dice questa mamma. Le foto ci vengono consegnate e le pubblichiamo.
L’allarme vermi intestinali a scuola
In questa scuola di Marano si sarebbe verificato una sorta di allarme vermi intestinali (ossiuri). Una allarme che ha mobilitato tutti i genitori degli alunni della Ranucci che hanno chiesto la chiusura provvisoria dell’istituto scolastico e la disinfestazione immediata. Allarme che la dirigente ridimensiona ma che le mamme invece presentano come situazione oggettivamente seria. “Ma stiamo scherzando? – sostiene con forza S.A. -. C’è anche mia figlia, che è una degli 8 bambini, per la precisione 5 della materna e 3 delle elementari, che hanno avuto questo problema. E c’è anche un caso di grave infezione delle vie urinarie. Dopo giorni di febbri dal 22 dicembre scorso e sintomi inequivocabili la diagnosi e la cura le è stata fatta la notte del 9 gennaio alle ore 23.53, dove al triage dell’ospedale Santobono di Napoli i sanitari ci hanno detto: venite dalla scuola di Marano? Dovete cortesemente aspettare con la bambina fuori, le procuriamo una sedia mobile. Lì abbiamo capito quanto la situazione fosse seria. E la cura è anche pesante, così siamo tornati alla carica con la dirigente scolastica che ha autorizzato me ed altre mamme, tra cui una incinta al 7° mese di gravidanza, ad entrare nelle aule”. Cosa vi augurate ora? “Che si facciano controlli seri e una pulizia generale e che con la mamma del bambino davanti a testimoni venga fuori che non abbiamo mai buttato i suoi giochi e non lo abbiamo mai discriminato! Il vero ed unico problema sono le condizioni igieniche della scuola, e i rischi per la salute di tutti i bambini, compreso quel bambino speciale che noi mamme amiamo e non avremmo mai discriminato”.
Una centrale di riciclaggio di denaro nel cuore di Rona. Nel quartiere Esquilino, a due passi dalla stazione Termini, soggetti di nazionalità cinese hanno messo in atto “sistematiche” operazioni di ripulitura del contante, un fiume di denaro proveniente dalla attività di spaccio, che veniva poi spedito in Cina. E’ quanto emerge da una indagine della Guardia di Finanza coordinata dai pm della Dda di piazzale Clodio. Complessivamente 33 le misure cautelari emesse dal gip. Ad applicarle uomini del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Roma e dal Gruppo di Fiumicino, coadiuvati dallo Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (Scico) della Guardia di Finanza e dalla Direzione Centrale Servizi Antidroga (Dcsa).
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti gli esercizi commerciali in zona Esquilino, esistenti solo formalmente, fungevano in realtà da “centri di raccolta” del denaro di provenienza illecita destinato a essere trasferito all’estero (prevalentemente in Cina) in maniera anonima e non tracciabile. Questa intermediazione finanziaria illegale, si fondava sul metodo “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”), che consiste nel virtuale trasferimento del denaro all’estero. Nei fatti, il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, venendone invece trasferito il solo “valore nominale” alla controparte/broker presente nel Paese estero.
La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici “diretti” di importo frazionato (al fine di aggirare i vincoli antiriciclaggio) ovvero a mezzo di trasferimento. A capo dell’organizzazione c’era Zheng Wen Kui, classe 1968. Era lui, secondo quanto accertato dagli inquirenti, che si occupava anche del reclutamento dei nuovi associati e di prendere accordi con i “clienti”, tra cui anche i ‘narcos’ attivi nella zona di Tor Bella Monaca e San Basilio.
Zheng, inoltre, offriva supporto “logistico” ai corrieri di valuta, per conto dei quali pianificava e organizzava dettagliatamente i viaggi aerei con cui trasportare il denaro all’estero con l’obiettivo di eludere i controlli alle frontiere. Gli inquirenti hanno proceduto, infine, al sequestro di circa 10 milioni euro nei confronti dei “money mule” incaricati di trasferire fisicamente la valuta fuori dal territorio ed hanno accertato conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese a Roma per oltre 4 milioni di euro.
“Purtroppo non era un guard rail ma una ringhiera”. Le immagini delle telecamere sul luogo dell’incidente di Mestre appaiono unanimi: si vede il pullman guidato da Alberto Rizzotto salire lentamente lungo la parte destra della rampa del cavalcavia, nonostante il semaforo forse verde, e poi piegarsi, sfondare con estrema facilità il guard rail e precipitare di sotto. La domanda che tutti oggi si fanno è come sia stato possibile che un pullman, per quanto del peso ragguardevole di 13 tonnellate perchè elettrico, possa aver spazzato via la barriera di protezione tagliandola come fosse un coltello nel burro. In quel punto dalla notte scorsa sono state poste deli limitatori di jersey in cemento.
E il primo ad aver più di un dubbio sul fatto che la protezione a destra non abbia fatto il suo dovere è lo stesso amministratore delegato di ‘La Linea’, la compagnia di trasporto coinvolta nell’incidente, Massimo Fiorese. “C’è una telecamera fissa sopra il cavalcavia di cui ha visto solo frammenti di immagine: si vede l’autobus che a una velocità minima si appoggia su un guard rail – accusa – che purtroppo non è un guard rail ma una ringhiera”. E aggiunge: “in questi casi è colpa di tutto e di niente perchè non è stato il guard rail che è andato addosso all’autobus. Però sicuramente quel guard rail…. “.
Tanto è vero che, dice ancora l’amministratore delegato, “mi sembra che lo stiano sostituendo e ci sono dei lavori in corso, giusto poco prima” del punto dell’incidente. E in effetti da diverse settimane il Comune di Venezia ha avviato i lavori di rifacimento del cavalcavia, attualmente in pessimo stato e corroso dalla ruggine. Un progetto, spiega l’assessore comunale ai trasporti Renato Boraso, del costo di oltre 6 milioni di euro. Nel piano, assicura, era compresa anche una nuova barra di protezione a difesa dalle uscite di strada. Sulla tempistica della realizzazione, però, non vi è alcuna data certa.
“Quel guard rail è vetusto. Sapevamo di dover mettere in sicurezza il cavalcavia – rassicura – il cantiere è già avviato”. Che quel guard rail possa aver avuto un ruolo nell’incidente ne è convinto anche il presidente dell’Asaps, l’associazione di amici e sostenitori della Polizia Stradale, Giordano Biserni. “Parliamo di ipotesi – dice – ma da quello che abbiamo potuto accertare attraverso i nostri referenti, quello era un guard rail a unica onda alto un metro e mezzo e non il triplo, come sarebbe stato necessario per il contenimento di un veicolo che può raggiungere le 18 tonnellate. Un guard rail così può contenere un’auto ma un bus del genere è difficile”. Il prefetto di Venezia, Michele Di Bari, preferisce essere più cauto. Alla domanda dei giornalisti se erano in corso lavori di ammodernamento e rifacimento sul cavalcavia che riguardassero espressamente anche il guard rail risponde: “questo non lo so, so che ci sono dei lavori in corso per consolidare dei piloni. Questo da quanto emerge anche visivamente”.
Sono due le ipotesi al vaglio della magistratura veneziana, che sta indagando sulla caduta del bus dal cavalcavia di Mestre; una manovra azzardata, con l’affiancamento a un altro bus e un guardrail vecchio; oppure, sommato a questo, un malore dell’autista che non è riuscito a controllare il mezzo, poi precipitato.
APERTA UN’INDAGINE CONTRO IGNOTI
La Procura della repubblica di Venezia ha aperto un fascicolo per ora contro ignoti, con l’ipotesi di reato di omicidio stradale plurimo. Il Procuratore capo Bruno Cherchi ha precisato che sono stati posti sotto sequestro il guardrail, la zona di caduta del bus e la carcassa del mezzo, con la ‘scatola nera’ “che sarà esaminata – ha rilevato – solo quando si saprà che non è un’operazione irripetibile”.
IL VIDEO CON LA CADUTA DELL’AUTOBUS
Sembra comunque da escludere un urto o una manovra per evitare un mezzo che tagliava la strada. Nel pomeriggio è stato diffuso un video tratto dalle telecamere di sicurezza della “Smart control room” del Comune di Venezia. Si vede l’autobus scendere la rampa del cavalcavia, quindi affiancare un altro bus che indica con la freccia di svoltare a sinistra, ‘sparire’ alla vista ma poi si nota che piega verso destra e cade dal bordo della carreggiata. L’altro bus accende le luci dei freni e le quattro frecce di emergenza.
LA ‘STRISCIATA’ DI 50 METRI CONTRO IL GUARDRAIL
Il Procuratore di Venezia ha escluso il ‘contatto’ con altri mezzi: “La dinamica – ha riferito – ha visto il bus toccare e scivolare lungo il guardrail per un cinquantina di metri, e infine, con un’ulteriore spinta a destra, precipitare al suolo. Non ci sono segni di frenata, né contatti con altri mezzi. Non si è verificato alcun incendio, né c’è stata una fuga di gas delle batterie a litio, che hanno provocato fuoco e fumo”. Anzi, proprio l’altro bus ha chiamato i soccorsi, e l’autista ha anche lanciato un suo estintore verso il mezzo precipitato.
SALVINI PUNTA IL DITO SULLE BATTERIE
Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini esclude un “problema di guardrail”, e ha puntato il dito sulle batterie elettriche del bus, che “prendono fuoco più velocemente di altre forme di alimentazione e in un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico uno spunto di riflessione è il caso di farlo”.
L’AUTOPSIA SULL’AUTISTA
L’attenzione degli investigatori si accentrerà dunque su un eventuale malore dell’autista del bus, Alberto Rizzotto, per cui verrà disposta l’autopsia, assieme all’esame del suo cellulare “e di quanto possa permettere di dare certezze su quanto è accaduto”, ha aggiunto Cherchi. Quanto alle condizioni dell’autista il direttore operativo della compagnia La Linea assicura che “stava guidando da tre ore e mezzo, peraltro non continuative” e che “non era certo stanco: Non lavorava dal giorno prima, quindi aveva goduto abbondantemente delle ore di riposo previste”.