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Cronache

Scoperto un software-spia, centinaia di italiani intercettati

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Centinaia di italiani intercettati, forse per errore, da un software spia programmato per i dispositivi Android dalla societa’ calabrese eSurv, che sembra essere sparita dal web. A scoprire ‘Exodus’, cosi’ si chiama lo spyware che sarebbe stato utilizzato tra il 2016 e l’inizio di quest’anno, sono stati i ricercatori della societa’ no profit Security without borders che hanno realizzato un lungo report pubblicato dal sito ‘Motherboard’ nel quale si parla di “malware governativo”.

Una storia i cui contorni sono ancora tutti da chiarire e sulla quale sta lavorando la procura di Napoli, che ha da tempo aperto un fascicolo in quanto la prima individuazione del malware è avvenuta proprio nel capoluogo campano, delegando gli accertamenti alla Polizia Postale, al Gico della Guardia di Finanza e al Ros dei Carabinieri. Anche il Copasir, il Comitato di controllo sui servizi segreti, vuole vederci chiaro e nei prossimi giorni chiederà informazioni al Dis, il Dipartimento che coordina le agenzie d’intelligence. “E’ un fatto gravissimo – dice il garante della privacy Antonello Soro – su cui c’e’ grande preoccupazione. Faremo i dovuti approfondimenti per quanto concerne le nostre competenze, poiche’ la vicenda presenta contorni ancora assai incerti ed e’ indispensabile chiarirne l’esatta dinamica”. A spiegare cosa e’ accaduto sono gli stessi ricercatori, che hanno avvisato Google. “Abbiamo identificato copie di uno spyware sconosciuto che sono state caricate con successo sul Google Play Store piu’ volte nel corso di oltre due anni. Queste applicazioni sono normalmente rimaste disponibili per mesi”. Dal canto suo la societa’ californiana ha rimosso le app malevole sfuggite al controllo sicurezza e ha promesso di “rilevare meglio le future varianti di queste applicazioni”, ma non ha voluto far sapere il numero totale di vittime, spiegando che si tratta di meno di un migliaio, tutte italiane. Alcuni esperti hanno poi riferito a Motherboard che l’operazione potrebbe aver colpito vittime innocenti “dal momento che lo spyware sembrerebbe essere difettoso e mal direzionato”, oltre che “illegale”.

Le prove raccolte da Security Without Borders indicherebbero che il software spia e’ stato sviluppato da eSurv, un’azienda con base a Catanzaro, in Calabria che tra l’altro – dice Motherboard – avrebbe vinto un bando della Polizia per lo sviluppo di “un sistema di intercettazione passiva e attiva”. Un indizio curioso che indica l’origine si troverebbe in due stringhe di codice: “mundizza” e “RINO GATTUSO”. Ma “la vera pistola fumante”, dicono ancora gli esperti, sarebbe il server di comando e controllo usato da diverse app trovate sul Play Store per rimandare agli operatori del malware i dati esfiltrati. Secondo i ricercatori il server condividerebbe il certificato web TLS (quello che garantisce l’identita’ di un sito) con altri server che appartengono ai servizi delle videocamere di sorveglianza di eSurv. Ma la società calabrese, almeno su internet, sembra essere sparita. Digitando sul web il nome eSurv compare la scritta “notfound” mentre sulla pagina Facebook della societa’ appare la dicitura “questo contenuto non e’ al momento disponibile”.

Non e’ chiaro se i siti siano stati chiusi per volonta’ dell’azienda o siano stati in qualche modo oscurati. Exodus era progettato per camuffarsi da comuni applicazioni, come quelle per ricevere promozioni da operatori telefonici o migliorare le performance del dispositivo. Una volta installato agiva in due fasi. Nella prima raccoglieva informazioni base per identificare il dispositivo infetto, come il codice Imiei che consente di identificare in maniera univoca un telefono. Nella fase due prendeva il controllo del telefono con intercettazioni ambientali, cronologia dei browser, geolocalizzazione, i log di Facebook Messenger, le chat di WhatsApp. Secondo i ricercatori, inoltre, poiche’ il malware non e’ stato programmato per usare la crittografia, che rende segrete le informazioni, qualunque malintenzionato connesso alla stessa rete wifi del dispositivo infettato poteva hackerarlo.

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Sangue infetto, la famiglia di un militare napoletano morto nel 2005 sarà risarcita con un milione di euro

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Dopo quasi vent’anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento per i familiari di un militare napoletano, deceduto nel 2005 a seguito di complicazioni derivanti da una trasfusione di sangue infetto. La sentenza storica condanna l’ospedale Piemonte e Regina Margherita di Messina, stabilendo un risarcimento di oltre un milione di euro ai familiari del defunto.

Il militare, trasferitosi da Napoli a Sicilia per lavoro, subì un grave incidente durante il servizio che necessitò un intervento chirurgico d’urgenza e la trasfusione di quattro sacche di sangue. Anni dopo l’intervento, si scoprì che il sangue trasfuso era infetto dall’epatite C, portando alla morte del militare per cirrosi epatica. La complicazione si manifestò vent’anni dopo la trasfusione, rendendo il caso particolarmente complesso a livello legale.

In primo e secondo grado, i tribunali di Palermo e la Corte d’Appello avevano respinto le richieste di risarcimento della famiglia, giudicando prescritto il diritto al risarcimento. Tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione ha ribaltato questi verdetti, affermando che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento del fatto lesivo ma dal momento in cui si manifesta la patologia collegata al fatto illecito.

Questa sentenza non solo porta giustizia alla vittima e ai suoi cari ma stabilisce anche un importante precedente per la tutela dei diritti dei pazienti e la responsabilizzazione delle strutture sanitarie. Gli avvocati della famiglia hanno sottolineato l’importanza della decisione, che apre nuove prospettive nel campo della giustizia sanitaria e sottolinea l’obbligo delle strutture ospedaliere di rispettare protocolli medici dettagliati, anche in situazioni di urgenza.

Il caso di Antonio (nome di fantasia) sottolinea la necessità di garantire la sicurezza nelle procedure mediche e di monitorare con rigore le condizioni di sicurezza del sangue donato, indipendentemente dalle circostanze. La sentenza rappresenta un passo significativo verso una maggiore giustizia e sicurezza nel sistema sanitario italiano, ribadendo che nessuna circostanza può esimere dal rispetto delle norme di sicurezza e prudenza necessarie per proteggere la salute dei pazienti.

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Addio a Italo Ormanni, magistrato e gentiluomo napoletano

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Italo Ormanni, magistrato, è scomparso all’età di 88 anni. Dopo una vita dedicata alla giustizia e alla lotta contro la criminalità organizzata, Ormanni ci lascia ricordi indelebili di un uomo che ha saputo coniugare serietà professionale e un vivace senso dell’umorismo. È deceduto ieri a Roma, nella clinica Quisisana, dove era ricoverato e aveva subito un’angioplastica.

La carriera di Ormanni, iniziata nella magistratura nel 1961, è stata lunga e fruttuosa, con servizio attivo fino al 2010. Tra i casi più noti che ha seguito, ci sono stati quelli che hanno toccato i vertici della camorra a Napoli, sua città natale, e importanti inchieste su eventi di cronaca nazionale, come il rapimento di Emanuela Orlandi e l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Anche nel suo ruolo di procuratore aggiunto a Roma, Ormanni ha gestito casi di grande risonanza, contribuendo significativamente alla sicurezza e alla giustizia in Italia.

Oltre al suo impegno nel campo giudiziario, Ormanni ha avuto anche una breve ma memorabile carriera televisiva come giudice-arbitro nella trasmissione “Forum”, dove ha lasciato il segno con la sua capacità di gestire le controversie con saggezza e empatia.

Amante delle arti e della cultura, Ormanni ha sempre cercato di bilanciare la durezza del suo lavoro con le sue passioni personali, dimostrando che dietro la toga c’era un uomo completo e poliedrico. I suoi funerali si terranno a Roma, nel primo pomeriggio di lunedì, dove amici, familiari e colleghi avranno l’occasione di rendere omaggio a una delle figure più influenti e rispettate del panorama giudiziario italiano.

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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