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Scontro Rutte-Sanchez alla Nato,’Madrid non ha deroghe’

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L’intenzione, come sempre, è quella di proiettare un’immagine di forza e unità. Ma in realtà tra i 32 alleati della Nato serpeggiano divisioni e recriminazioni. La richiesta di Donald Trump di mettere sul piatto il 5% del Pil per la difesa ha generato scosse telluriche tra le capitali e solo il colpo di genio del segretario generale Mark Rutte – l’ormai celebre 3,5+1,5 – ha salvato la giornata. Peccato che il premier spagnolo Pedro Sanchez, pubblicando per esigenze politiche interne la lettera in cui Rutte accorda un trattamento speciale a Madrid, abbia fatto saltare il banco.

“La Spagna non ha deroghe, l’intesa è sul 5%”, ha ribattuto l’ex premier olandese nel corso della conferenza stampa pre-summit. Chi ha ragione allora? Semplice: tutti. Perché l’arabesco diplomatico escogitato in extremis prevede l’equiparazione degli obiettivi di capacità appena concordati alla ministeriale Difesa di giugno all’impegno sul 3,5%, ovvero la spesa militare classica, che più preoccupa i Paesi ad alto debito e a bassa propensione bellica. Rutte, nella lettera, accorda a Sanchez “la flessibilità per determinare il proprio percorso sovrano per raggiungere gli obiettivi di capacità: capisco che la Spagna è convinta di poter raggiungere i target con una traiettoria inferiore al 5%”. Peccato che le analisi del comparto militare Nato indichino tutt’altro. E cosa accadrà se altri Paesi imboccheranno la variante Sanchez? “Adesso Rutte avrà una bella rogna da risolvere”, confida una fonte diplomatica alleata, che non prevede però fuoco e fiamme da parte di Trump.

“Sulla carta c’è e ci sarà scritto il 5%, su questo ha ragione Rutte”, nota ancora la fonte. Eppure già iniziano i distinguo. Robert Fico si è subito accodato. Come la Spagna, ha scritto sui social, la Slovacchia deve “riservarsi il diritto sovrano di decidere a quale ritmo e in quale struttura è disposta ad aumentare il bilancio del ministero della Difesa” per “raggiungere il piano della Nato entro il 2035”, precisando che Bratislava “è in grado di soddisfare i requisiti anche senza un sostanziale aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil”. Rutte, chiamato in causa, ha tenuto il punto.

“Madrid ha concordato i target di capacità, crede di poter raggiungere gli obiettivi col 2% mentre noi reputiamo servirà il 3,5%: si vedrà nel quadro della revisione del 2029”, ha dichiarato, ricordando che ci saranno “rapporti annuali” sulla traiettoria di spesa effettiva di ogni singolo Paese (ma non saranno vincolanti). Riassumendo. Davanti ad uno scenario di harakiri politico prevale l’istinto di conservazione e gli altri membri del club lo capiscono (fino ad un certo punto). Lo scenario di sicurezza è però cambiato in modo tanto drastico che c’è piena comprensione, in Europa, di quanto sarà necessario fare nei prossimi anni, sia per mettersi in sicurezza nei confronti della Russia sia per attrezzarsi ad un graduale disimpegno degli Stati Uniti. Detto questo, inutile impiccarsi ora sui numeri precisi. La speranza è che la maggior coordinazione ed efficienza sul piano industriale – non a caso l’Ue e il Canada hanno siglato un’intesa sulla sicurezza che aprirà le porte ad una maggiore cooperazione – possa portare ad un abbassamento dei prezzi e dunque ad “ottenere di più con meno”.

I nodi però non finiscono qui. Il terremoto-Iran sta planando sul vertice. “Apre i giornali, i leader ne parleranno a margine del vertice, anche se non è in agenda”, ha concesso Rutte. La posizione degli alleati è chiara: l’Iran non dovrà mai avere la bomba atomica. “Non sono d’accordo con chi dice che l’attacco americano viola il diritto internazionale”, ha poi notato. In coda, l’ultima grana. Tre su quattro dei partner asiatici, ovvero Giappone, Sud Corea e Australia, avrebbero cancellato la loro partecipazione al vertice al livello di leader (era prevista la loro presenza alla cena offerta dai reali d’Olanda, martedì sera, e ad una tavola rotonda con Trump e Rutte, mercoledì pomeriggio) per motivi non chiari. La notizia rimbalza sui media asiatici e la Nato non conferma né smentisce: “Chiedete a loro”. Alcuni parlano di ritiro dopo l’operazione iraniana, altri di pressioni da parte della Cina e altri ancora di “difficoltà” ad avere accesso a Trump. Comunque sia, non un segnale eccellente: era dal 2022 in poi che non mancavano all’appuntamento.

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Biden: “Ho concesso io le grazie, l’autopen è legale e usato anche da Trump”

Joe Biden chiarisce al New York Times di aver concesso personalmente tutte le grazie firmate con autopen. “Sistema legale, usato anche da Trump”.

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Joe Biden rompe il silenzio e risponde alle accuse mosse dai repubblicani riguardo al suo stato cognitivo e al presunto mancato controllo sulle grazie presidenziali emesse a fine mandato. In un’intervista concessa al New York Times, l’ex presidente americano ha chiarito che tutte le decisioni di clemenza e grazia annunciate negli ultimi giorni della sua presidenza sono state personalmente autorizzate da lui.

Le accuse dei repubblicani

Negli ultimi giorni, alcuni esponenti del Partito Repubblicano hanno sollevato dubbi sulla lucidità mentale di Biden, insinuando che non sarebbe stato in grado di decidere autonomamente e che le grazie siano state firmate da altri a sua insaputa. In particolare, hanno puntato il dito sull’uso dell’autopen, uno strumento che replica automaticamente la firma del presidente.

La difesa di Biden: “Tutto legale, anche Trump lo ha fatto”

Biden ha spiegato che l’uso dell’autopen è assolutamente legale e ampiamente utilizzato: “Lo ha usato anche Donald Trump”. L’ex presidente ha precisato che tutte le grazie e commutazioni sono state decise oralmente da lui, e poi i suoi collaboratori hanno proceduto a formalizzarle con lo strumento automatico, dato l’elevato numero di persone coinvolte.

Grazia preventiva ai familiari

Biden ha anche ammesso di aver concesso la grazia preventiva a familiari e membri della sua amministrazione, una mossa pensata per proteggerli da eventuali ritorsioni del suo successore alla Casa Bianca. Una decisione controversa, ma secondo Biden necessaria: “Era un atto di responsabilità”, ha affermato.

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Trump: “Missili Patriot all’Ucraina, pagherà l’Unione Europea”

Donald Trump annuncia l’invio di missili Patriot all’Ucraina: “Ne hanno bisogno, noi non pagheremo nulla. Coprirà tutto l’Unione Europea”.

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Donald Trump durante una conferenza stampa con sfondo bandiere americane e militari.


Trump annuncia l’invio dei missili Patriot all’Ucraina: “Pagherà tutto l’Unione Europea”

Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti invieranno i sistemi di difesa aerea Patriot all’Ucraina, affermando che si tratta di un equipaggiamento “di cui hanno disperatamente bisogno”. Il presidente americano ha parlato con i reporter, sottolineando che, sebbene non sia stato ancora deciso il numero esatto di missili, l’invio avverrà a breve.

L’incontro con il segretario generale della NATO

Nel suo intervento, Trump ha anche confermato che incontrerà domani il segretario generale della NATO, Mark Rutte, per discutere delle forniture militari all’Ucraina e della sicurezza europea. Il colloquio si inserisce in un momento delicato della guerra, in cui Kiev continua a chiedere maggiore supporto militare per difendersi dagli attacchi russi.

Nessun costo per gli Stati Uniti, secondo Trump

Noi non pagheremo nulla”, ha puntualizzato Trump, precisando che l’intero costo dell’operazione sarà a carico dell’Unione Europea. “Loro (gli ucraini, ndr) ne avranno un po’, perché hanno bisogno di protezione”, ha dichiarato. Il presidente ha inoltre aggiunto che gli ucraini pagheranno il 100% per gli altri equipaggiamenti militari sofisticati che saranno forniti da Washington.

Un messaggio politico e strategico

Le parole di Trump arrivano in un contesto di crescente pressione su NATO e Unione Europea per il sostegno all’Ucraina. Il leader americano, pur ribadendo il supporto militare, ha marcato con decisione la linea del “niente spese per gli Stati Uniti”, segnando una chiara posizione di disimpegno economico diretto, ma non operativo.


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Abu Mazen: Hamas rilasci gli ostaggi e consegni le armi all’Anp

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Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud Abbas (Abu Mazen), ha esortato Hamas a rilasciare gli ostaggi israeliani che ancora detiene e a consegnare le armi alla stessa Anp, sottolineando che il gruppo islamista “non governerà la Striscia di Gaza” dopo la fine della guerra in corso con Israele. Lo riportano l’agenzia di stampa palestinese Wafa e i media dello Stato ebraico. In un incontro ad Amman con l’ex primo ministro britannico Tony Blair, Abbas ha chiesto anche il rilascio dei prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, un cessate il fuoco immediato nella Striscia di Gaza e l’ingresso senza ostacoli di aiuti umanitari nell’enclave palestinese. Abu Mazen è tornato a chiedere anche che all’Anp venga concesso il controllo della Striscia di Gaza, un’idea a lungo respinta da Israele.

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