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Cronache

Scontri tra detenuti in cella, 16 decapitati e 57 morti nelle celle di Altamira

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E’ salito a 57 il numero delle vittime seguite ai duri scontri registrati lunedi’ all’interno del carcere regionale di Altamira, in Brasile. Lo riferisce la Soprintendenza del sistema carcerario dello stato nordorientale di Para’ (Susipe) aggiornando il primo bilancio fornito ieri, che parlava di 52 morti. Secondo quanto riferisce il portale “G1”, gli incidenti, iniziati in mattinata e durati cinque ore, sarebbero scoppiati nel momento in cui alcuni reclusi appartenenti all’organizzazione criminale Comando Classe A (Cca) hanno attaccato il ramo del carcere nel quale si trovavano esponenti dei rivali del Comando Vermelho (Cv), dando alle fiamme alcune celle. La Susipe parla di 41 detenuti morti per asfissia e 16 decapitati, secondo un macabro rituale sempre piu’ frequente nelle carceri brasiliane.

Nel corso degli scontri due agenti di polizia penitenziaria sono stati presi in ostaggio e liberati al termine di un negoziato cui avrebbero preso parte il personale di un tribunale locale, la procura e i dirigenti del corpo di sicurezza. Le autorita’ locali hanno riferito che le 46 persone ritenute responsabili degli scontri sono state portate via dal carcere teatro degli scontri. Tra questi, sedici detenuti identificati come leader delle fazioni criminali verranno trasferiti in prigioni federali, mentre gli altri verranno ricollocati in altre strutture dello stato di Para’. Gli incidenti hanno rilanciato le polemiche nel paese, tanto sulle condizioni in cui versano le carceri, quanto sull’intensita’ delle tensioni tra le diverse sigle criminali.

Il governatore di Para’, Helder Barbalho, ha rivendicato l’azione sin qui svolta per cercare di arginare i fenomeni criminali nelle carceri locali. “Con l’appoggio del ministero della Giustizia, abbiamo trasferito piu’ di 30 leader di fazioni criminali, agendo in maniera preventiva”, ha detto Barbalho. L’ordine degli avvocati brasiliano (Oab) ha pero’ denunciato il sovraffollamento della struttura indicando tra le cause della tragedia il fatto che dei 311 detenuti ospitati dal carcere, 145 erano arrestati in attesa giudizio. “L’Oab esige una immediata verifica delle circostanze che hanno causato li violento episodio, ma piu’ di tutto chiede” tra le altre cose garanzie sull’effettiva riabilitazione penale, sulla sicurezza degli agenti, misure contro il sovraffollamento carcerario.

Si tratta del secondo piu’ grande massacro in carcere nel 2019. Lo scorso 27 maggio 55 prigionieri erano stati uccisi all’interno di quattro diversi istituti penitenziari nell’area della capitale dello stato brasiliano dell’Amazonia, Manaus: 25 presso l’istituto penale Antonio Trindade (Ipat), sei presso l’unita’ di detenzione di Puraquequara (Upp), cinque presso il centro di detenzione provvisorio per uomini (Cdpm 1) e quattro presso complesso penitenziario Anisio Jobim (Compaj). In questo stesso istituto penitenziario appena 24 ore prima, domenica, 26 maggio, altre 15 persone erano state uccise nelle proprie celle a sbarre chiuse e davanti ai familiari nelle sale colloquio.

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Cronache

Tragedia a Muggia: madre ucraina uccide il figlio di nove anni, il bambino era stato affidato al padre

A Muggia, in provincia di Trieste, una madre ucraina ha ucciso il figlio di nove anni tagliandogli la gola. Il bambino, affidato al padre dopo la separazione, era in visita alla donna.

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Una tragedia sconvolgente ha scosso la comunità di Muggia, alle porte di Trieste. Una donna di nazionalità ucraina ha ucciso il figlio di nove anni, tagliandogli la gola con un coltello all’interno della loro abitazione in via Marconi, nel centro cittadino.

L’allarme è stato lanciato nella serata di ieri dal padre del bambino, che vive fuori dal Friuli Venezia Giulia e non riusciva a mettersi in contatto con l’ex compagna. Quando la Squadra Mobile di Trieste è arrivata nell’appartamento, il piccolo era già morto.


Una famiglia seguita dal tribunale e dai servizi sociali

La vicenda familiare era nota ai servizi sociali ed era seguita anche dal tribunale minorile. Dopo la separazione, la custodia del bambino era stata affidata al padre, ma la madre aveva mantenuto il diritto di incontrare il figlio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni del giudice.

I rapporti tra i due genitori erano difficili, come hanno riferito persone vicine alla famiglia. Ieri sera, l’incontro si è trasformato in tragedia.


Il corpo trovato in bagno, la madre in stato di choc

Quando i Vigili del Fuoco e gli agenti di polizia sono entrati nell’abitazione, il corpo del bambino era già senza vita da diverse ore e si trovava nel bagno di casa.

La donna è stata trovata in stato di choc e soccorsa sul posto. Gli inquirenti stanno ricostruendo la dinamica dei fatti e le eventuali motivazioni del gesto, mentre la Procura di Trieste ha aperto un’inchiesta per omicidio volontario aggravato.

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Inchiesta sui cellulari in carcere: perquisizioni ad Avellino, 18 indagati tra detenuti ed ex detenuti

I Carabinieri di Avellino e la Polizia Penitenziaria hanno eseguito perquisizioni nel carcere “Antimo Graziano” e in altre sedi: 18 indagati per uso illecito di cellulari in carcere, uno anche per stalking.

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I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Avellino, insieme alla Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale e al Nucleo Investigativo Regionale per la Campania, hanno eseguito un decreto di perquisizione locale e personale a carico di 18 indagati, tutti detenuti o ex detenuti dell’istituto penitenziario “Antimo Graziano” di Avellino.

Gli indagati sono gravemente sospettati del reato di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti (articolo 391 ter del codice penale). In un caso si procede anche per atti persecutori (articolo 612 bis).


L’operazione nel carcere “Antimo Graziano”

Le perquisizioni, disposte dalla Procura della Repubblica di Avellino, hanno interessato le celle ancora occupate dagli indagati con l’obiettivo di rintracciare e sequestrare dispositivi elettronici e schede SIM detenuti illegalmente.

Il provvedimento nasce da un’indagine condotta dai Carabinieri di Avellino a partire da febbraio 2025, mirata a contrastare il fenomeno dell’uso di smartphone e cellulari all’interno delle carceri, spesso utilizzati per comunicazioni non autorizzate o per accedere ai social network.


La rete dei contatti e i profili social

Le investigazioni hanno rivelato una vera e propria rete di telefoni connessi, una “connected cell” che consentiva ai detenuti di mantenere rapporti continui con l’esterno. Attraverso l’analisi di tabulati telefonici e telematici, spesso riferiti a utenze intestate a soggetti fittizi, gli investigatori hanno ricostruito il circuito relazionale dei detenuti, identificando familiari e amici contattati illegalmente.

Su alcuni profili social riconducibili agli indagati sono stati trovati messaggi e immagini di rilievo investigativo, che confermano l’uso illecito dei dispositivi per comunicazioni e attività potenzialmente criminali.


Un caso di stalking tra i reati scoperti

Le indagini hanno inoltre evidenziato che i telefoni venivano utilizzati anche per commettere altri reati. In particolare, un detenuto è risultato gravemente indiziato di atti persecutori ai danni della vedova dell’uomo da lui ucciso, utilizzando lo smartphone per continuare a molestarla anche dal carcere.

L’inchiesta resta aperta, mentre la Procura di Avellino valuta ulteriori sviluppi per accertare eventuali responsabilità all’interno dell’istituto penitenziario.

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Scoperto bunker-serra di marijuana nell’Aspromonte: denunciati padre e figlio a Platì

I carabinieri scoprono un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla a Platì: coltivavano marijuana con un impianto elettrico abusivo. Denunciati padre e figlio.

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Un bunker sotterraneo nascosto sotto una stalla in mezzo alla vegetazione aspromontana è stato scoperto dai carabinieri della Stazione di Platì, insieme ai militari dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e del 14° Battaglione “Calabria”, nel corso di un’operazione di controllo del territorio contro la produzione di sostanze stupefacenti.

Padre e figlio, entrambi denunciati in stato di libertà, sono ritenuti responsabili di aver realizzato una vera e propria serra “indoor” per la coltivazione di cannabis, trasformando un capanno agricolo in disuso in un sofisticato laboratorio sotterraneo.

Il cavo elettrico che ha svelato il bunker

L’operazione è scattata dopo una lunga attività di osservazione. Durante una perlustrazione in un’area rurale, i carabinieri hanno notato un cavo elettrico che si perdeva tra gli alberi. Seguendone il tracciato per centinaia di metri, sono giunti all’ingresso di un capanno apparentemente abbandonato.

Dietro un pannello basculante azionato da un sistema di contrappesi, nascosto alla vista, si celava l’accesso a un bunker sotterraneo. All’interno, i militari hanno trovato una piantagione di marijuana con piante alte tra 70 e 110 centimetri, illuminate e ventilate da un impianto elettrico e di aerazione alimentato da un allaccio abusivo alla rete pubblica.

Una serra illegale tecnologicamente avanzata

La struttura era interamente realizzata abusivamente e dotata di tutto il necessario per garantire la crescita indisturbata delle piante: trasformatori, ventilatori, lampade e sistemi di ventilazione ricreavano le condizioni ottimali di una serra professionale.
Tutto era stato studiato nei minimi dettagli per nascondere l’attività e mantenerla attiva in modo costante, lontano da occhi indiscreti.

L’operazione dei carabinieri di Locri

L’intervento rientra in una più ampia strategia di contrasto al narcotraffico condotta dai carabinieri della Compagnia di Locri, che da tempo intensificano i controlli nelle aree più impervie dell’Aspromonte, spesso utilizzate per la produzione e lo stoccaggio di droga.

In una nota, l’Arma ha sottolineato come “la conoscenza del territorio e l’esperienza operativa dei militari restano un baluardo fondamentale contro l’illegalità”, ribadendo l’impegno quotidiano nel controllo delle zone rurali più isolate della Calabria.

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