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Sconto a Payback dispositivi medici ma rischio forniture

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Lo ‘sconto’ di 350 milioni su quanto le aziende fornitrici di dispositivi medici dovranno versare alle regioni (fissato a 500 milioni per il periodo 2015-2018) sulla base del meccanismo di payback – per contenere le spese entro i tetti previsti (come succede anche per la spesa farmaceutica) – non rassicura le imprese che temono da sempre la ricaduta economica sui bilanci, al punto di correre il rischio di dover rinunciare alle forniture a ospedali pubblici e asl. Si tratta di un settore industriale che conta 4.641 aziende in Italia (molte in Emilia Romagna e Toscana), che occupano 117.607 dipendenti e sviluppa un mercato di oltre 18 miliardi tra export e mercato interno, fornendo alle strutture sanitarie dai bisturi ai cerotti, dai macchinari diagnostici alle sirighe.

Conflavoro PMI Sanità, Confapi Sanità e Fifo e all’indomani del Consiglio dei Ministri, hanno espresso subito la massima preoccupazione per la decisione del Governo di non recepire le proposte avanzate nei mesi scorsi dalle rappresentanze delle Piccole e Medie Imprese del comparto dispositivi medici. Nonostante il parziale sconto del 75% previsto, le modalità di pagamento “rimangono insostenibili per migliaia di PMI italiane che rappresentano il cuore produttivo del settore e garantiscono concorrenza e prezzi tra i più bassi d’Europa”. Le associazioni chiedono dunque al Governo di: cancellare definitivamente il meccanismo del payback per le PMI e introdurre subito una franchigia minima di 5 milioni di euro ma anche di bloccare immediatamente i procedimenti esecutivi avviati dalle Regioni. La mancata introduzione di una franchigia di pagamenti a 5 milioni in sostanza spalma su grandi aziende multinazionali e piccole il pagamento alle regioni, penalizzando quelle di dimensioni ridotte.

“È inaccettabile che un comparto fatto al 95% di imprese italiane venga sacrificato sull’altare di logiche di lobby delle multinazionali del MedTech. Oggi assistiamo a un uso distorto di risorse pubbliche, destinate a chi ha margini milionari e sedi fiscali all’estero, mentre le PMI sane e innovative vengono spinte al fallimento. La misura più logica e giusta sarebbe stata cancellare definitivamente questo payback iniquo per le PMI italiane. Chiediamo al Presidente Meloni di intervenire subito per fermare questa emorragia industriale che impoverirà il Paese”.

Rincara la dose Michele Colaci, presidente di Confapi Sanità: “Siamo di fronte a un evidente sbilanciamento: le grandi industrie internazionali ottengono garanzie e liquidità, mentre le piccole e medie imprese italiane – senza utili milionari e con margini ridotti – non avranno alcuna possibilità di onorare questo debito assurdo. Questa scelta finirà per concentrare il mercato nelle mani di pochi grandi gruppi stranieri, con costi più alti per la sanità pubblica e meno competitività per il Paese. È una manovra da rivedere immediatamente, partendo dal blocco delle azioni esecutive e dall’abolizione del payback”. Ad accogliere le istanze delle aziende Orfeo Mazzella, senatore del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali.

“Con estremo ritardo, dopo aver ignorato le nostre innumerevoli sollecitazioni, il governo ha varato un decreto con l’obiettivo manifesto di ‘sistemare’ il disastro del payback sui dispositivi medici, ma se le bozze che circolano dovessero essere confermate si tratterebbe solo dell’ennesimo spot. Si cerca di mettere una toppa a una voragine che rischia di affossare intere aziende e con esse servizi sanitari essenziali per i cittadini. Intanto le conseguenze sono gravissime: dispositivi salvavita che rischiano di non arrivare negli ospedali, assistenza sanitaria sempre più debole, imprese sull’orlo del collasso e lavoratori che rischiano il posto”.

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Onorevoli morosi, un buco nelle casse dei partiti

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Onorevoli morosi, che non pagano le quote dovute ai propri partiti: il problema è ricorrente nei bilanci del 2024 di diverse forze politiche, da Forza Italia al Pd, passando per il M5s. Mentre è in controtendenza Sinistra italiana, che vede aumentare i contributi dei propri parlamentari (da 204 mila a 281 mila euro), tutti tra i 42 mila e i 55 mila euro. Il M5s, che ha un avanzo di oltre 2 milioni di euro, iscrive a bilancio 2,8 milioni di euro di crediti verso parlamentari e consiglieri regionali, e 1,4 milioni per indennità di fine mandato. Come “leva per la riscossione dei contributi”, il tesoriere Claudio Cominardi, nella relazione, richiama la regolarità contributiva come “requisito fondamentale per concorrere ed eventualmente mantenere il ruolo nelle cariche associative”.

Rispetto al 2023, per il Pd cala di 55 mila euro la voce crediti verso senatori e deputati, a 441 mila euro. Come spiega la relazione al rendiconto (in avanzo di 650mila euro, con l’incasso record di 10,2 milioni dal 2xmille), “è continuata l’azione di recupero” verso eletti nelle varie legislature, con 9 azioni giudiziarie aperte e 4 accordi transattivi. Anche nel bilancio di Europa verde si prevede un ricorso per decreto ingiuntivo per mancato pagamento spontaneo dei contributi associativi contro Eleonora Evi, deputata passata l’anno scorso fra i dem.

Mentre aumentano di 2 milioni i contributi da terzi e di oltre 300 mila euro le quote associative, la “discontinuità dei versamenti” dovuti “da parte di alcuni eletti” è un aspetto critico del rendiconto di FI (disavanzo di 307 mila euro e un passivo di 90 milioni che continua a essere garantito dagli eredi di Silvio Berlusconi): “Occorrerà adottare decisioni più rigorose per ottenere i pagamenti”, si legge nella relazione, “anche facendo leva” sulle norme interne che per i morosi prevedono ineleggibilità e decadenza dagli incarichi nel partito. I versamenti degli eletti sono in calo anche per +Europa, da 28.530 a 22.950. In FdI i contributi dei parlamentari nazionali ed europei sono volontari, e il bilancio (in disavanzo di 681 mila euro, a fronte di un avanzo di 4,9 milioni di euro nel 2023) registra un calo delle erogazioni liberali (da 3,9 a 2,7 milioni) e delle quote associative annuali (da 2,8 a 2,3 milioni). Nel bilancio 2024 in disavanzo di per 1,4 milioni, anche per la Lega calano le contribuzioni da persone fisiche e giuridiche (da 4,5 a 3,8 milioni), mentre aumentano le quote associative (da 58.624 a 63.227 euro).

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Maxi ricorso sui vitalizi, giovedì la sentenza

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E’ prevista per giovedì prossimo la sentenza del Collegio d’appello di Montecitorio sul taglio dei vitalizi, oggetto di un maxi ricorso da parte di circa 900 ex deputati che chiedono di rivedere la delibera del 2018 sugli assegni. Il “tribunale” di secondo grado interno alla Camera, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fdi), è composto da altri quattro deputati (Ingrid Bisa della Lega, Pietro Pittalis di Fi, Marco Lacarra del Pd e Vittoria Baldino di M5s) tutti avvocati, ed ha un ruolo giurisdizionale e non politico. La decisione giunge dopo una lunga istruttoria – partita un anno fa – che ha registrato un’accelerazione nelle ultime due settimane. Ad argomentare le proprie ragioni gli avvocati dei ricorrenti, principalmente ex deputati anagraficamente più giovani di quelli che nel 2022 hanno beneficiato di una sentenza che di fatto ha azzerato per loro la delibera Fico.

Quest’ultima stabiliva che il vitalizio – su suggerimento dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri – fosse calcolato con criteri contributivi: in pratica l’assegno veniva ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno. Un taglio che, dall’oggi al domani, è arrivato anche al 90%. “Il ricorso riguarda una minoranza che subisce ancora un trattamento fortemente discriminato rispetto alla maggioranza dei deputati e a tutti i senatori per i quali dagli organi del Senato è stato applicato il principio costituzionale della legittima aspettativa”, ha lamentato l’Associazione degli ex parlamentari che respinge con forza le accuse di “casta” e di “assalti alla diligenza” prospettando anzi, grazie alle sue proposte relative agli adeguamenti derivanti dall’aumento, risparmi “notevoli” per le casse della Camera.

Tra coloro che lamentano i tagli, molti sono i nomi noti e vanno da Paolo Guzzanti a Ilona Staller, dagli ex sindaci di Napoli Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino all’ex primo cittadino di Imperia, ora alla guida della Provincia del ponente ligure, Claudio Scajola, fino a Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Margherita Boniver. La lista, lunga, vede tra i ricorrenti anche Italo Bocchino, Mario Landolfi, Gianni Alemanno, ma anche Mario Capanna, l’ex magistrata Tiziana Maiolo, l’ex olimpionica Manuela Di Centa, l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, Giovanna Melandri e Angelino Alfano.

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Tensioni sui dazi Usa-Ue, Meloni frena: “Serve accordo equo”, ma le opposizioni attaccano

Dopo la mossa di Trump sui dazi al 30%, Giorgia Meloni cerca un’intesa con Washington. Le opposizioni criticano la linea del governo e chiedono un’azione più decisa.

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La mossa di Donald Trump, che ha annunciato possibili dazi del 30% contro i prodotti europei, ha colto di sorpresa anche il governo italiano. Giorgia Meloni prova a contenere l’impatto, ribadendo la necessità di arrivare a “un accordo equo” e respingendo l’idea di uno scontro commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea. A Palazzo Chigi si sottolinea che mancano ancora 19 giorni alla scadenza del negoziato e che Washington potrebbe aver solo voluto mostrare i muscoli.

Il governo italiano segue la via diplomatica

Nessuna intenzione di seguire il modello francese: mentre Macron e von der Leyen parlano di contromisure, l’Italia invita a mantenere la calma. “Confidiamo nella buona volontà di tutti”, si legge nel comunicato ufficiale, in cui si ribadisce il sostegno alla Commissione europea. Il 30% proposto da Trump resta ben lontano dal 10% che Roma considera accettabile. Il vicepremier Antonio Tajani volerà a Washington martedì per incontrare il segretario di Stato Marco Rubio, cercando una mediazione diretta.

Le critiche delle opposizioni

Non si è fatta attendere la reazione delle opposizioni. Elly Schlein ha denunciato la “follia autarchica” americana e ha accusato Meloni di non prendere “una posizione netta e forte”. Per Giuseppe Conte, l’Italia ha “svenduto l’interesse nazionale” e “non si è fatta rispettare”. Matteo Renzi attacca l’“incapacità e irrilevanza” dell’attuale governo, mentre Carlo Calenda parla di una “strategia di sottomissione” verso gli Stati Uniti.

L’offensiva della Lega contro Bruxelles

Anche all’interno della maggioranza si registrano tensioni. La Lega punta il dito contro Bruxelles, sostenendo che l’Italia paga il prezzo di “un’Europa a trazione tedesca”. Claudio Borghi e Alberto Bagnai accusano l’Unione di imporre dazi che danneggiano l’Italia, sostenendo che una trattativa bilaterale con Washington sarebbe stata più vantaggiosa.

Il fronte interno e la pressione parlamentare

La questione sarà al centro anche del dibattito parlamentare. Nicola Fratoianni definisce Trump un “gangster” e chiede una risposta immediata da parte dell’Europa, in particolare sulle big tech. Per Angelo Bonelli, il governo deve bloccare gli acquisti di gas e armi dagli Usa promessi ad aprile. Le richieste di chiarimenti in Aula si moltiplicano, ma Palazzo Chigi per ora insiste: serve freddezza, non polarizzazione.

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