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Politica

Schlein ai gruppi ripropone Braga e Boccia ma Bonaccini vuole discutere di tutto l’organigramma

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La segretaria del Pd Elly Schlein tira dritto. All’incontro fissato con i parlamentari, in vista del voto di martedì, parlerà del nuovo corso del partito e di tutti i temi a lei più cari: dal lavoro alla riconversione ecologica. Ma poi rilancerà la sua proposta sui capigruppo. Una proposta che, secondo quanto si apprende, dovrebbe essere la stessa di cui ha parlato sin dall’inizio con Stefano Bonaccini: Chiara Braga alla Camera e Francesco Boccia al Senato. Il presidente Dem, parlando con i suoi, aveva rilanciato la palla nel campo di Schlein dicendo di voler attendere da lei una “proposta complessiva”, sia sui capigruppo sia sulla segreteria, per lunedì. Ma l’idea della segretaria sembra sia quella, non solo di riconfermare la candidatura del tandem Braga-Boccia, ma anche di affrontare una cosa per volta: prima si chiude il capitolo capigruppo, poi si apre quello della segreteria. Sulla cui composizione, al momento, non ci sono certezze neanche in termini di dimensioni.

A limitare il campo di azione di Bonaccini, osserva più d’uno nella maggioranza, sarebbe stata la decisione dei neoulivisti, vicini a Enrico Letta e Marco Meloni, di disertare l’incontro con il presidente. Facendogli così mancare le forze necessarie per sostenere eventuali rivendicazioni. I neoulivisti spiegano lo strappo con Bonaccini dicendo di averlo fatto in nome dell’ unità, per evitare che il partito continuasse a logorarsi in liti e scontri interni, ma in parte della maggioranza interna si osserva che anche se il fine era buono, è stata comunque “un’ operazione di correnti”, con “i lettiani che hanno lasciato Bonaccini solo con Base riformista dopo averlo appoggiato per tutta la fase congressuale”.

“Esattamente quello che con il nuovo corso Schlein si era detto non dovesse mai più accadere”. La leader Dem, comunque, nell’incontro, intende riaffermare “una linea chiara da condividere con i parlamentari”, che lei ha già “chiamato uno ad uno”, spiegando quale fosse l’accordo preso con Bonaccini sin dall’inizio: presidenza per lui, capigruppo proposti da lei. Nel rispetto ovviamente dell’ autonomia dei gruppi che martedì dovranno dire la loro. Ma la segretaria, che sta “lavorando sui follow up dei dossier bruxellesi” discussi già con il resto della “famiglia socialista in Europa”, pensa già al futuro, non solo alle prossime Europee, ma anche alle imminenti amministrative in vista delle quali medita una trasferta in Friuli Venezia Giulia. Ma, soprattutto, è concentrata sul come rendere sempre più incisiva l’opposizione al governo Meloni.

E a questo proposito, sarebbe intenzionata a giocarsi la carta di una sorta di “esecutivo ombra” sperimentato già da Achille Occhetto nel 1989 e da Walter Veltroni nel 2008. Un’idea che potrebbe dare più visibilità all’azione dei Dem, ma che, se fatta al di fuori della segreteria, potrebbe creare perplessità tra i bonacciniani che vorrebbero continuare ad avere un peso nel partito. Il “governo ombra” potrebbe trovarsi ad avere un ruolo più operativo della segreteria e potrebbe essere composto anche da esterni al partito visto che l’idea della leader sembra sia di continuare a rapportarsi con il mondo che l’ha sostenuta sinora: dall’associazionismo, agli intellettuali, alcuni dei quali hanno firmato in Campania l’ appello dei 168 in suo favore, alla piattaforma della mozione che conta ormai 30mila iscritti.

Questo ‘team’, insomma, dovrebbe diventare una specie di “governo parallelo” che ribatta punto per punto, con proposte alternative, le decisioni del centrodestra. Puntando su 3 temi centrali che sono “le grandi lacune” dell’Esecutivo: lotta alle disuguaglianze, conversione ecologica e lavoro. Ora Schlein vorrebbe che si pensasse solo a questo, senza perdersi in liti sull’organizzazione del partito. Ma di dividersi ora che il Pd, grazie all’effetto Schlein registra 15mila iscritti, nessuno se la sente perché “stavolta la gente non capirebbe”, ribadiscono alcuni dei lettiani ormai in maggioranza.

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Politica

Offese a Kyenge, Calderoli condannato a 7 mesi

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Il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli è stato condannato a 7 mesi, con pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario, in Tribunale a Bergamo nel nuovo processo per la vicenda delle offese all’allora ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, che il 13 luglio 2013 definì “orango” alla festa della Lega di Treviglio (Bergamo) durante un comizio. L’accusa era diffamazione aggravata dalla matrice razziale. Kyenge non si era costituita parte civile. La Cassazione aveva annullato le precedenti condanne in primo e secondo grado. A dicembre il reato andrà in prescrizione.

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Politica

Stop ai controlli sul Pnrr,tensione Corte conti-governo

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Nessun passo indietro, ma la promessa di trovare un nuovo “modello” di relazioni, “nel rispetto delle competenze”. E per elaborare, insieme, un “codice dei controlli”, che fissi una volta per tutte le regole. Nel giorno in cui ufficialmente cambia i poteri della Corte dei Conti sul Pnrr, escludendo il “controllo concomitante” per i progetti legati al Piano, il governo incontra i magistrati contabili per spiegare la ratio dell’intervento e cercare di chiudere uno scontro istituzionale che si è trascinato per giorni. Proprio mentre il presidente della Corte, Guido Carlino, siede di fronte a Raffaele Fitto e al sottosegretario Alfredo Mantovano a Palazzo Chigi, alla Camera le commissioni votano l’emendamento della discordia, che esclude il Pnrr dal check in corso d’opera dei magistrati contabili e che, in aggiunta, proroga di un altro anno, fino a giugno 2024, lo scudo alla responsabilità erariale, bocciato ripetutamente dalla Corte.

“Il controllo concomitante può accelerare le opere” anche del Pnrr, aveva spiegato poco prima Carlino alla commissioni congiunte Affari costituzionali e Lavoro, difendendo la bontà dell’azione della Corte a supporto delle attività delle amministrazioni. Una azione preventiva utile anche a non incorrere in errori, bocciature successive e pure nel rischio di essere perseguiti per danno erariale. Ma sul Pnrr alla Corte è affidato “il controllo ex post”, ha precisato Fitto in Aula, cercando al contempo di smorzare la polemica e di assicurare che non era in corso alcuno “scontro” tra poteri. Lo stesso ragionamento che il titolare del Piano ha esposto anche ai giudici a Palazzo Chigi, affiancato da Mantovano. Il risultato di un’ora e mezza di confronto è un messaggio, veicolato da Palazzo Chigi, di pace fatta. Di condivisione della necessità di una “leale collaborazione” assieme a quella di stringere i bulloni di una interlocuzione che, evidentemente, in queste settimane ha subito qualche intoppo. La promessa è di rivedersi già la prossima settimana per aprire un tavolo per la “revisione della disciplina della responsabilità erariale, del meccanismo di controllo concomitante e dell’adozione di un codice dei controlli”.

Bisogna poi impostare “un modello di relazione e scambio di informazioni più intenso e puntuale”. La volontà, insomma, è quella di gettare acqua sul fuoco di uno scontro stigmatizzato duramente dalle opposizioni, che invano hanno cercato la via della non ammissibilità dell’emendamento del governo al decreto Pa. Criticata duramente, in particolare dai Dem, anche la scelta di votare proprio mentre era in corso l’incontro a Palazzo Chigi. Il governo è pronto a mettere mano anche allo scudo erariale per dare “stabilità” alla disciplina, ferma restando la proroga attuata pur avendo “preso atto della contrarietà della Corte”. Si tratta di una norma “transitoria” in attesa della riforma in materia di responsabilità amministrativa e contabile”, ha assicurato sempre Fitto, ribadendo che l’intenzione dell’esecutivo è quella di accelerare sull’attuazione del Pnrr.

Nel frattempo è anche già stata avviata “dal 18 maggio”, come precisa via Twitter, l’interlocuzione con Bruxelles sul nuovo capitolo legato al RepowerEu, che avrà due linee di intervento sostanziali, sulle “infrastrutture energetiche” e sugli “incentivi per dare una risposta per l’efficientamento energetico per famiglie e imprese”. “Siamo pronti a collaborare”, ha assicurato da Torino il commissario europeo Paolo Gentiloni. Precisando però, interpellato sulla scelta dell’esecutivo italiano rispetto alla Corte dei Conti, che non spetta all’Europa il controllo di “fenomeni di frode, di corruzione, di doppia spesa dei diversi fondi”.

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Economia

L’ultima di Visco, ora si apre il nodo successione a Bankitalia

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Poche parole ‘a braccio’ di ringraziamento ai colleghi di 50 anni di lavoro nella Banca, una relazione senza sconti su quei temi e proposte che non condivide ma con toni pacati e un lungo applauso finale. Le ultime considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco si svolgono, nel salone dei partecipanti di Palazzo Koch, come da tradizione dopo la parentesi del Covid: platea gremita di banchieri, industriali, autorità e sindacalisti. In prima fila gli alti vertici della banca e l’ex premier e numero uno di Via Nazionale e della Bce Mario Draghi. Assente, come d’abitudine, il governo che da ora fino a novembre, quando scadrà il secondo mandato del governatore, dovrà trovare il nome del sostituto. Una casella ‘pesante’ nel puzzle delle nomine che molti indicano verrà occupata da Fabio Panetta, ora nel board della Bce ma con un lungo e inappuntabile curriculum in Banca d’Italia.

A Via Nazionale è arrivato fino alla carica di direttore generale prima di essere chiamato a Francoforte a inizio 2020. Altre soluzioni, quella interna con l’attuale dg della banca Luigi Federico Signorini o di un outsider esterno riscuotono quotazioni inferiori negli ambienti finanziari e della maggioranza parlamentare. L’iter della nomina tuttavia vede un ruolo non notarile del Presidente della Repubblica al quale, secondo la legge, spetta il decreto di nomina su “proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”. Va poi ricordato come la banca sia parte dell’Eurosistema Bce che non deflette sulle caratteristiche di autonomia e indipendenza. Per il momento Visco incassa le parole di elogio dei diversi attori della scena finanziaria. Per Gros Pietro “il governatore è un grande economista, un bravissimo economista” mentre il presidente di Unciredit Pier Carlo Padoan (che occupava la carica di ministro dell’economia ai tempi delle crisi bancarie con Visco governatore), “”il paese deve essere grato a Ignazio Visco” per ” il suo contributo personale a quello che ha fatto la Banca d’Italia in questi anni”.

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