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Economia

Scatta l’aumento per i presidi, fino a 260 euro

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Novità in arrivo per i 6.500 dirigenti scolastici italiani. E’ stato firmato il contratto collettivo nazionale dell’Area dirigenziale Istruzione e ricerca, triennio 2019-2021. A cambiare non sarà solo lo stipendio dei presidi, con un aumento medio del 3,78% parte dei quali destinati a retribuzione di risultato, che arriverà a 260 euro lordi al mese. E’ previsto il lavoro agile, un tutor esperto per i dirigenti neoassunti nei primi due anni, viene mantenuta la retribuzione di parte variabile per i dirigenti scolastici in servizio nelle scuole italiane all’estero ed eliminato l’automatismo del licenziamento in caso di recidiva alla sospensione.

Viene raddoppiata dal 30 al 60% la percentuale dei posti riservati alla mobilità interregionale e introdotta la clausola di salvaguardia della retribuzione in caso di assegnazione ad istituzione scolastica di fascia inferiore a seguito del dimensionamento. Soddistatti i sindacati che però non concordano sulla cifra degli aumenti: “Si tratta di 195 euro lordi effettivi al mese che i dirigenti avranno sullo stipendio. Aran inserisce nel computo anche le risorse che la finanziaria 2020 ha stanziato per consolidare il Fun dei dirigenti, in sofferenza a seguito della massiccia immissione in ruolo di circa 2000 dirigenti bel 2019.

Tali risorse sono già state utilizzate dal 19/20 per la retribuzione di parte variabile e risultato dei dirigenti quindi non rappresentano aumenti effettivi in busta paga”. I sindacati chiedono adesso al governo “di mettere mano alla trattativa per il nuovo triennio 2022-2024”, sottolineano Flc Ggil e Cisl Scuola. Ma è stata anche la giornata in cui il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha approvato il disegno di legge di riforma dei contratti della ricerca. Nello specifico, fa sapere il ministero, si prevedono forme di collaborazione da parte di studenti durante il corso di laurea o di laurea magistrale per un massimo di 200 ore l’anno. Gli studenti potranno fornire assistenza all’attività di ricerca in aggiunta alla collaborazione ai servizi universitari.

Il compenso può arrivare a 3.500 euro/anno. Si introducono poi due tipologie di borse di assistenza all’attività di ricerca: una junior, destinata ai laureati magistrali o a ciclo unico per iniziare percorsi di ricerca sotto la supervisione di un tutor; una senior per i dottori di ricerca che potranno svolgere attività di ricerca. In entrambi i casi la durata va da un minimo di un anno a un massimo di tre. Arriva poi il contratto postdoc che potrà essere sottoscritto dal dottore di ricerca. In questo caso potranno essere svolte attività di ricerca, nonché di collaborazione alle attività di didattica e terza missione.

La durata va da un minimo di un anno a un massimo di tre. Rimangono i contratti di ricerca, introdotti nel 2022, per i quali è in corso la contrattazione Aran-sindacati. Viene poi introdotta la figura del Professore aggiunto (Adjunct professor), che potrà svolgere nelle università specifiche attività di didattica, di ricerca e di terza missione. Il contratto potrà avere una durata minima di tre mesi fino ad una durata massima di tre anni. “Si tratta di una ‘cassetta degli attrezzi’ a disposizione di Università, Epr e istituzioni Afam – spiega la ministra Bernini che apre al confronto – Un intervento con cui si intende superare il precariato storico che affligge da tempo il settore e iniettare nuova linfa con strumenti diversificati per attrarre e trattenere i migliori talenti nel circuito della ricerca e dell’innovazione scientifica”. Critico il senatore Francesco Verducci, della Commissione Cultura: “Questa riforma ha un solo nome, precariato e sfruttamento”. Sulla stessa scia Alfredo D’Attorre, responsabile Università nella segreteria nazionale del Pd: “La precarizzazione della ricerca è una scelta irresponsabile”.

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Ambiente

Il crollo delle elettriche affonda il mercato dell’auto

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Il crollo delle elettriche ha un forte impatto sul mercato europeo dell’auto e spinge i produttori a chiedere all’Unione Europea “di presentare misure di soccorso urgenti “per il settore. In tutti i Paesi si registrano pesanti cali delle vendite e si parla di 30.000 posti di lavoro a rischio nel gruppo Volkswagen con una riduzione degli investimenti previsti. Intanto Bruxelles e Pechino provano a dialogare sui dazi definitivi sulle e-car importate dalla Cina alla ricerca di “una soluzione accettabile”. Le immatricolazioni in Europa occidentale nel mese di agosto sono state 755.717, il 16,5% in meno del 2023. Da inizio anno sono state vendute complessivamente 8.661.401 auto, con una crescita dell’1,7% sull’analogo periodo del 2023.

Le elettriche vendute sono 125.000, il 36% in meno di un anno fa, mentre considerando solo l’Unione Europea la flessione è del 43,9%. Stellantis ha immatricolato nel mese di agosto 103.612 auto, il 28,7% in meno del 2023 con il calo della quota di mercato dal 16,1 al 13,7%. A Mirafiori si vedono, intanto, i primi modelli cinesi Leapmotor C10 spediti in Europa e destinati al mercato italiano: le vetture verranno messe a punto per una settimana da una ventina di operai delle carrozzerie in cassa integrazione. In questo contesto difficile va avanti il negoziato tra l’Ue e la Cina che “hanno concordato di intensificare gli sforzi per trovare una soluzione efficace, applicabile e compatibile con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio per il caso delle auto elettriche”. Il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis ha avuto un incontro definito “costruttivo” a Bruxelles con il ministro del Commercio cinese Wang Wentao.

Bruxelles e Pechino hanno deciso “di riesaminare gli impegni sui prezzi”, dando “istruzioni ai rispettivi team affinché si impegnino al massimo per raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile”. La Ue precisa, però, che la volontà di lavorare a una soluzione condivisa “non pregiudica l’indagine” sui possibili maxi-sussidi sleali del Dragone alle sue imprese. I timori delle case automobilistiche europee, insidiate dalla concorrenza cinese che tende a conquistare quote sempre più rilevanti, sono forti. L’Acea esprime preoccupazione per la fattibilità del raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni previsti entro il 2025. “Ci mancano le condizioni cruciali – spiega – per ottenere il necessario impulso alla produzione e all’adozione di veicoli a emissioni zero: infrastrutture di ricarica e rifornimento dell’idrogeno, nonché un ambiente produttivo competitivo, energia verde a prezzi accessibili, incentivi fiscali e di acquisto e un approvvigionamento sicuro di materie prime, idrogeno e batterie”. Anche gli operatori italiani del settore chiedono maggiore chiarezza all’Europa sui target delle emissioni di CO2, sui dazi alle importazioni e sulle politiche di incentivazione per dare certezze agli operatori e ai clienti, sia consumatori che aziende.

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Economia

Nel primo semestre utile Mfe-Mediaset sale a 104 milioni

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Nel primo semestre dell’anno il gruppo Mfe-Mediaset ha registrato un utile netto di 104,7 milioni, in crescita del 20,2% rispetto allo stesso periodo del 2023, con ricavi netti consolidati a 1.476,5 milioni (+7,8%). Il risultato operativo (Ebit) è positivo per 136,3 milioni, in aumento del 12,7% rispetto al primo semestre del 2023. I risultati sono superiori al ‘consensus’ della vigilia degli analisti. Per l’intero 2024, Mfe “conferma l’obiettivo di mantenere un risultato operativo, un risultato netto e una generazione di cassa consolidati nettamente positivi, la cui entità dipenderà principalmente dal livello della raccolta pubblicitaria dell’ultimo trimestre”.

– In Italia il risultato operativo di Mfe-Mediaset cresce del 53,5% arrivando a 59,9 milioni rispetto ai 39 milioni del 2023. In Spagna è pari a 76,3 milioni rispetto agli 81,7 milioni del 2023. L’indebitamento finanziario netto consolidato al 30 giugno 2024 è pari a 662 milioni, in netto calo rispetto agli 902,8 milioni del 31 dicembre 2023. I costi operativi complessivi consolidati (costi del personale, costi per acquisti, servizi e altri oneri, ammortamenti e svalutazioni di diritti e di altre immobilizzazioni) sono pari a 1.340,3 milioni (1.248,7 milioni di euro nello stesso periodo del 2023), “con una variazione principalmente legata alle variazioni del perimetro di consolidamento”, spiega la società.

La generazione di cassa caratteristica (free cash flow) è positiva per 223,4 milioni rispetto ai 220,1 milioni dei primi sei mesi 2023. “Sulla base dell’attuale visibilità, la raccolta pubblicitaria di Mfe nei primi 9 mesi del 2024 ha mantenuto un andamento al di sopra delle aspettative e in linea con quello del primo semestre dell’anno, nonostante la concomitanza di eventi sportivi internazionali (gli Europei di Calcio fino a metà luglio e le Olimpiadi di Parigi tra fine luglio e la prima parte di Agosto) non nella disponibilità del Gruppo sia in Italia che in Spagna”, aggiunge il Biscione.

“Per la restante parte dell’esercizio la visibilità del mercato pubblicitario in entrambe le aree geografiche resta piuttosto bassa, tenuto conto dell’instabilità del contesto geopolitico (il perdurare dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente, le elezioni presidenziali Usa a Novembre) e di quello macroeconomico generale. Inoltre, gli ultimi mesi dell’anno si confronteranno con un andamento estremamente sostenuto dei ricavi pubblicitari di Mfe in Italia nello stesso periodo del 2023”, conclude il gruppo televisivo.

“Siamo un modello unico in Europa: grazie alla dimensione internazionale del gruppo – una diversificazione geografica che attutisce gli squilibri nei diversi mercati – e grazie al nostro sempre più evoluto sistema ‘crossmediale’, anche questo semestre abbiamo ottenuto risultati al di sopra di ogni previsione”. Lo afferma l’amministratore delegato di Mfe-Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, commentando i risultati del gruppo televisivo del primo semestre dell’anno. “In un periodo che ha visto anche a livello internazionale flettere i conti di tutto il settore dei media, con drastici tagli all’occupazione, Mfe registra una costante crescita in termini di raccolta pubblicitaria, di redditività e di utili”, aggiunge Pier Silvio Berlusconi.

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Economia

Neva punta sull’innovazione con due fondi da 500 milioni

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Neva Sgr, la società di venture capital del gruppo Intesa Sanpaolo, raggiunge gli obiettivi con un anno di anticipo e lancia due nuovi fondi con una capacità di investimento di 500 milioni di euro. La vita di Neva è “già piena di successi. Visti i risultati ottenuti, siamo convinti che sia arrivato il momento di crescere ancora”, afferma Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. I nuovi fondi Neva II e Neva II Italia, dedicati a investimenti in società che si impegnano a fornire soluzioni di business a problemi globali, avranno una capacità raddoppiata rispetto ai 250 milioni di euro dei fondi Neva First. In quattro anni di attività “siamo diventati un punto di riferimento non solo in Italia per il venture capital dedicato all’innovazione”, spiega il presidente Luca Remmert.

Risultati ottenuti anche grazie al supporto di Intesa Sanpaolo e alla collaborazione con Intesa Sanpaolo Innovation Center. Per presentare, oltre ai due nuovi fondi, i risultati conseguiti negli ultimi quattro anni e le prospettive di crescita, la società di venture capital di Intesa Sanpaolo, ha riunito alle Officine grandi riparazioni di Torino una platea di investitori istituzionali, esperti, imprenditori e startupper da tutta Italia e da numerosi altri Paesi, Stati Uniti in testa. Per i nuovi fondi sono stati fissato importanti obiettivi. Neva II punta a una raccolta finale di circa 400 milioni di euro, da investire nelle migliori aziende emergenti altamente innovative a livello mondiale, mentre Neva II Italia prevede di raccogliere 100 milioni di euro da riservare alle realtà italiane. Entrambi i fondi concentreranno l’attenzione su società che operano principalmente nei settori delle scienze della vita, la transizione energetica, la trasformazione digitale, la produzione manifatturiera di nuova generazione e l’aerospazio.

Neva ha deciso di costruire un fondo da 500 milioni perchè “ci presentiamo come un partner robusto solido e consistente”, afferma Mario Costantini, amministratore delegato e direttore generale. In particolare con Neva II Italia “consentiremo – aggiunge – ai fondi pensione, casse di previdenza e fondazioni bancarie di poter entrare in questo mercato”. Grande soddisfazione per le attività svolte negli ultimi quattro anni. Dall’agosto del 2020, nonostante le difficoltà causate dalla pandemia nei primi due anni, Neva ha raggiunto in anticipo gli obiettivi prefissati, arrivando a investire con i suoi primi tre fondi circa 170 milioni di euro in oltre 40 società altamente innovative e in forte crescita.

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