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Scandalo Europarlamento, trovati sacchi di banconote in casa Kaili: socialisti nel mirino

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Sacchi di banconote, fughe precipitose, imbarazzo generale: lo scandalo delle presunte tangenti del Qatar a eurodeputati e funzionari del Parlamento Ue si aggrava gettando nello sconforto il gruppo dei Socialisti e, molto probabilmente, segnando la carriera politica di Eva Kaili. La vice presidente dell’Eurocamera è agli arresti dopo che la polizia ha trovato nella sua abitazione borse piene di contanti. Una flagranza di reato che ha polverizzato l’immunità di cui godono gli europarlamentari. Mentre Fdi e Lega vanno all’attacco, con il partito di Matteo Salvini che ha chiesto una commissione d’inchiesta a Bruxelles e la convocazione urgente del Copasir sul caso.

I quattro italiani fermati venerdì, tra cui l’ex eurodeputato di Pd e Articolo 1 Antonio Panzeri, il sindacalista Luca Visentini e l’assistente parlamentare di Andrea Cozzolino, Francesco Giorgi, restano agli arresti e sulla convalida del fermo la procura di Bruxelles deciderà nelle prossime ore. Ma le perquisizioni sono proseguite: gli uffici di due assistenti parlamentari (una delle quali italiana) legati agli eurodeputati Maria Arena e Marc Tarabella, entrambi belgi e membri di S&d, sono stati sequestrati. Il padre di Kaili è stato anche lui arrestato mentre, secondo il quotidiano L’Echo, stava fuggendo con una valigia zeppa di contanti. Immagini che danno la misura di un caso con pochi precedenti nelle istituzioni europee. La plenaria a Strasburgo della settimana prossima alzerà ulteriormente la temperatura dell’Eurocamera. I Socialisti, dopo aver sospeso Kaili, alla conferenza dei presidenti chiederanno che l’ex presentatrice tv greca sia sostituita nel team dei 14 vice-Metsola. La proposta in Aula deve ottenere la maggioranza dei due terzi dei votanti.

E’ difficile che a subentrare a Kaili non sia un esponente socialista. Ma fonti parlamentari non escludono che, da un punto di vista politico, l’inchiesta porti ad una sorta di isolamento di S&d e della sua compagine italiana in primo luogo. Indebolendo ulteriormente quell’asse tra Socialisti e Popolari già messo a dura prova dal dialogo tra il Ppe e i partiti della destra. “La sinistra ammette solo il contante nelle cucce”, è stato l’attacco del capogruppo meloniano alla Camera Tommaso Foti, con riferimento alle polemiche sul tetto al contante in manovra. “E’ una vicenda sporca, dalla sinistra una vergognosa ipocrisia”, ha rincarato la dose la leghista Susanna Ceccardi. “In questa fase non possiamo commentare le indagini in corso”, ha spiegato la presidente Roberta Metsola. Puntualizzando però due elementi: “L’Eurocamera collaborerà con le autorità e si schiera con fermezza contro la corruzione”.

Le indagini sono affidate a Michel Claise, specialista dei reati finanziari della Procura di Bruxelles. Ed è un’inchiesta che ha un suo ramo anche in Italia, dove sono in stato di fermo la moglie e la figlia di Panzeri, sospettato di essere intervenuto per influenzare le decisioni dell’Eurocamera non solo a favore del Qatar ma anche del Marocco. Un ruolo potrebbe averlo avuto la ong Fight Impunity, fondata da Panzeri e con un board d’eccezione – dall’ex commissario Avramopoulos a Federica Mogherini – che si è dimesso in massa dopo la notizia dell’inchiesta. Due le decisioni all’Eurocamera su cui le indagini potrebbero essersi concentrate: il voto sulla liberalizzazione dei visti qatarini in commissione Libe (dossier che presto sarebbe finito in plenaria) e la risoluzione sulle violazioni dei diritti dei lavoratori a Doha.

All’approvazione della liberalizzazione dei visti in commissione Kaili era presente e votò, pur non essendo membro della Libe. La risoluzione sul Qatar in Plenaria fu invece approvata per alzata di mano. Era un testo in cui si condannava il trattamento dei migranti che hanno lavorato agli stadi del Mondiale e si chiedeva a Doha di fare un passo in più sui diritti. In Aula intervenne proprio Kaili: “Il Qatar è in prima linea per i diritti dei lavoratori”, furono le sue parole mentre varie inchieste avevano già ampiamente documentato gli abusi e le morti. Era il 21 novembre scorso.

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Esteri

Zelensky in Europa: accordi con Grecia, Francia e Spagna per superare l’inverno di guerra

Zelensky torna in Europa e ottiene aiuti da Atene, Parigi e Madrid: gas per l’inverno, un accordo storico sulla difesa con Macron e nuovi sostegni dalla Spagna.

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Volodymyr Zelensky è tornato in Europa in uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra. L’offensiva russa prosegue, mentre gli aiuti Ue restano bloccati e quelli Usa dipendono dalle oscillazioni della politica di Donald Trump. In questo quadro di incertezza, Grecia, Francia e Spagna hanno scelto di tendere la mano all’Ucraina.

L’intesa energetica con la Grecia

Ad Atene, prima tappa del tour, Zelensky ha puntato tutto sull’emergenza energetica. Il governo di Kyriákos Mitsotákis ha assicurato una fornitura di gas da gennaio a marzo 2026, per un valore di due miliardi di euro. Il finanziamento sarà coperto grazie ai partner europei.

Il Gnl arriverà in Ucraina tramite la Grecia, ma la provenienza è americana: una triangolazione che divide la partita energetica con Washington. Atene, intanto, rafforza il ruolo di hub europeo del Gnl diretto verso l’Europa centrale e orientale.

Parigi prepara un accordo “storico”

La tappa decisiva sarà Parigi: Zelensky firmerà con Emmanuel Macron un «accordo storico» sulla difesa. I dettagli non sono ancora pubblici, ma il presidente ucraino ha anticipato un rafforzamento dell’aviazione da combattimento, della difesa aerea e di altre capacità militari.

Un passo avanti notevole della Francia, in una fase in cui il sostegno europeo a Kiev appare in stallo.

Madrid chiude il tour

L’ultima tappa sarà Madrid, altro partner considerato «forte» da Zelensky. In programma anche una visita al Reina Sofia, dove è esposto il Guernica di Picasso: nel 2022 Zelensky paragonò il massacro di Mariupol proprio alla tragedia della città spagnola.

La guerra continua senza sosta

Mentre Zelensky cerca sostegni in Europa, la guerra in Ucraina resta feroce. Mosca rivendica la conquista di due villaggi nella regione di Zaporizhzhia. A Pokrovsk gli ucraini resistono, ma in inferiorità numerica.

Secondo Kiev, negli ultimi sette giorni la Russia ha sganciato 980 bombe sull’intero Paese. Una sola notizia positiva sul fronte umanitario: il rilascio di 1.200 prigionieri ucraini dalle carceri russe.

L’appello alla pace

Dal Vaticano, Papa Leone XIV ha rinnovato il suo appello: «Non possiamo abituarci alla guerra e alla distruzione». Anche il presidente Sergio Mattarella, da Berlino, ha richiamato l’urgenza della pace.

Ma un negoziato appare lontano. Yuri Ushakov, consigliere di Vladimir Putin, ha confermato contatti con gli Usa basati sul vertice di Anchorage tra Trump e lo Zar. Un punto di partenza che potrebbe non favorire né l’Ue né Kiev.

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Arrestato in Europa Pipo Chavarria, il boss dei Los Lobos: «Lo abbiamo cercato fino all’inferno»

Il presidente Noboa annuncia l’arresto di Pipo Chavarria, capo dei Los Lobos, catturato in Europa dopo anni di latitanza. Il boss aveva finto la morte e continuava a ordinare omicidi dall’estero.

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«Lo abbiamo cercato fino all’inferno». Con queste parole il presidente Daniel Noboa ha annunciato la cattura di Pipo Chavarria, leader dei Los Lobos, definito «il delinquente più ricercato della regione». L’arresto è avvenuto in Europa grazie a una collaborazione tra Ecuador e polizia spagnola.

La falsa morte e la rete criminale internazionale

Secondo quanto spiegato da Noboa, Chavarria aveva finto la propria morte, cambiato identità e trovato rifugio in Europa, da dove continuava a impartire ordini. Dall’estero dirigeva omicidi in Ecuador e controllava il traffico di droga insieme al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

Un arresto simbolico nel giorno del referendum sulla sicurezza

La cattura arriva nel giorno del referendum promosso da Noboa su temi cruciali della sicurezza nazionale, diventando un segnale politico fortissimo. «Oggi le mafie indietreggiano. Ha vinto l’Ecuador», ha dichiarato il presidente, celebrando un risultato definito come un punto di svolta nella lotta al crimine organizzato.

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Regno Unito, stretta storica sull’asilo: fine del permesso quinquennale e revisione continua dei rifugiati

Il governo Starmer annuncia una stretta senza precedenti sull’asilo: permesso ridotto a 30 mesi, revisione continua e residenza permanente solo dopo 20 anni. Polemiche da destra e sinistra.

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Basta asilo a tempo indeterminato. Il Regno Unito del dopo Brexit cambia paradigma e annuncia una stretta senza precedenti rispetto alla sua storica tradizione di accoglienza. A farlo è il governo laburista di sir Keir Starmer, in piena crisi di consenso e sotto la pressione crescente di forze come Reform UK di Nigel Farage.

Mahmood: «Fine del golden ticket per i richiedenti asilo»

La ministra dell’Interno Shabana Mahmood, figlia di immigrati pachistani, ribadisce alla Bbc la linea dura:

  • permesso di soggiorno ridotto a 30 mesi;

  • revisione periodica obbligatoria;

  • rimpatrio possibile se il Paese d’origine torna “sicuro”;

  • residenza permanente solo dopo 20 anni, quattro volte più del regime attuale.

La normativa vigente garantisce 5 anni di permesso ai rifugiati e accesso quasi automatico alla residenza permanente alla scadenza del quinquennio.

Londra guarda alla Danimarca e punta a frenare gli arrivi via Manica

Il governo Starmer si ispira alla linea durissima di Copenaghen, che ha ridotto le richieste di asilo ai minimi da 40 anni. L’obiettivo è scoraggiare gli arrivi via Manica sulle small boat, aumentati nonostante le promesse: nel 2025 sono già 39.000 le persone sbarcate, più di tutto il 2024.

La Francia attribuisce a Londra parte del problema, sostenendo che le norme britanniche finora troppo permissive abbiano reso difficile il controllo dell’immigrazione illegale.

Critiche da destra e sinistra

Le opposizioni conservatrici e i seguaci di Farage definiscono la stretta “superficiale” e insufficiente.
Dall’altro lato, ong, sinistra del Labour e Verdi denunciano una violazione dei principi di solidarietà e diritti umani.

Mahmood respinge ogni accusa:
«È la più grande revisione della politica d’asilo dei tempi moderni. Non sto accettando gli argomenti dell’estrema destra: è una missione morale».

Starmer cerca ossigeno in un clima politico esplosivo

Il premier laburista tenta così di frenare un’emorragia di consensi data per inarrestabile dai sondaggi, mentre anche dentro il Labour monta il malcontento. La questione migratoria diventa quindi un terreno decisivo per la sopravvivenza politica del governo.

La promessa, però, resta tutta da verificare nella sua efficacia.

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